Una ragazza di provincia.
La prima volta che sentii parlare di lei ero giovane, andavo a scuola, ma ciò che si apprende sui banchi del liceo difficilmente rimane impresso.
Che noia la storia! Che noia studiare a memoria le date, i nomi, gli eventi.
E poi venne il 1989, anno del bicentenario della Rivoluzione Francese.
Era luglio, ero al mare.
In televisione, una volta a settimana, davano dei film di produzione francese dedicati ai personaggi salienti di quel periodo storico, forse qualcuno di voi li ricorda?
Io rinunciavo ad uscire per vederli e ho sempre atteso che li riproponessero, ma purtroppo non è mai accaduto.
Fu allora che Charlotte Corday ebbe un volto, un carattere, una fisionomia che non avrei mai dimenticato.
Marie-Charlotte Corday d’Armont, una ragazza di provincia, abitava a Caen con la zia.
E proprio lì, il 7 luglio del 1793, si riuniscono i girondini.
Si tiene una parata militare, con la speranza che molti aderiscano alla causa che ha lo scopo di scalzare dal potere i giacobini, ma non sarà così, il numero dei volontari è decisamente esiguo.
E su quell’erba, ad ascoltare parole infuocate di furore, c’è anche lei, Charlotte.
Ha appena 25 anni, è una bionda bellezza piena di grazia ma la vita è già stata dura con lei, la madre le è mancata in tenera età, il padre è poco attento alla cura dei figli.
A 13 anni Charlotte è entrata nel convento dell’Abbaye-aux-Dames, la ragazza ama i libri, tra i suoi antenati si annovera persino un nome illustre, il drammaturgo Pierre Corneille.
Lei legge Plutarco, Rousseau, i filosofi del suo tempo.
E lì, su quel prato di Caen, Charlotte si convince della sua missione, liberare la Francia da Marat, medico, giornalista e rivoluzionario, colui che lei considera il nemico della pace.
Il 9 luglio, dopo aver donato ai suoi amici i suoi cari libri, Charlotte lascia la sua Normandia e parte con la diligenza alla volta di Parigi.
Soggiorna in un albergo, nelle vicinanze di Rue des Victories.
Parigi, Parigi in quei giorni è tutta un fermento e in quel 13 luglio, vigilia delle celebrazioni della presa della Bastiglia, la città è decorata con nastri tricolori.
E nella fiumana di gente che affolla la capitale francese c’è anche la piccola normanna, la temeraria Charlotte che ha ben chiaro il suo progetto.
Entra in un negozio di ferramenta e acquista un coltello da cucina con una lama molto affilata.
Vuole uccidere Marat durante una seduta della Convenzione, vuole che il suo gesto sia pubblico ed eclatante.
Ma lui, il suo nemico, giace a casa malato.
Marat soffre di una malattia della pelle resa ancor più grave dal caldo persistente dell’estate, i bagni di acqua fredda sono il suo solo conforto.
Charlotte Corday non si arrende, sa bene che Marat è pronto ad accogliere nella sua casa chiunque intenda fare rivelazioni su persone da denunciare.
E così si reca al numero 20 Rue de Cordelier, dove al primo piano vive Marat.
Charlotte sale le scale, ma viene fermata dalla sorella del suo nemico che le fa sapere che Marat è troppo debilitato per riceverla.
Lei gli scrive una lettera, gli dice che ha importanti comunicazioni da dargli, attende una risposta che mai arriverà, in quanto Charlotte ha dimenticato di lasciare il suo indirizzo.
A sera la ragazza torna davanti a quel palazzo e riesce ad arrivare al cospetto di Marat.
Lui è adagiato nella vasca da bagno, la fanciulla gli siede accanto e snocciola una lista di nomi, Marat le comunica che per questi traditori è pronta la ghigliottina.
Non sa che per lui la fine è vicina: la ragazza di provincia, avvolta nel suo scialletto di seta, estrae dal petto il coltello e con un fendente sotto la clavicola lo colpisce a morte.
L’urlo di Marat squarcia Parigi, accorre la fidanzata di lui, un vicino di casa esperto di arti mediche tenta inutilmente di prestargli soccorso.
E poi le guardie, gli amici di lui e Charlotte, calma e imperturbabile, che non intende sottrarsi al proprio destino, ha persino indosso i documenti, la identificano e la arrestano.
E mentre la conducono nel carcere dell’Abbaye, una folla di parigini chiede che sia vendicata la fine di Marat.
La condannano a morte e la trasferiscono alla Conciergierie.
Scrive due lettere di addio, una delle quali è indirizzata al padre e chiede, come ultimo desiderio, di poter essere ritratta dal pittore Jean-Jacques Hauer.
Durante il processo a Charlotte, il pittore era in aula e lei aveva notato quell’uomo chino sui suoi fogli, intento a tracciare i suoi lineamenti.
Qui trovate l’immagine di quel quadro, nel quale si può notare il volto quieto di Charlotte Corday.
Colui che lei uccise, invece, venne ritratto in quella vasca nella quale trovò la morte in un’opera universalmente nota del pittore Jacques-Louis David, qui potete ammirare quel quadro.
E non so cosa sia per voi Parigi, per me nelle sue strade si respira ancora l’aria della Rivoluzione, si può camminare lungo quei viali e credere di vedere con i propri occhi ciò che un tempo accadde.
E si può andare a quel 19 luglio del 1793, in quella cella buia della Conciergerie.
E’ quasi sera, Charlotte è in posa per il suo ritratto.
Non c’è più tempo, entrano le guardie che la condurranno sul patibolo.
Lei prende le forbici e taglia una ciocca dei suoi capelli biondi per donarla al pittore.
Come si usava a quel tempo, le fanno indossare una cappa rossa e la mettono sul carretto che la porterà al luogo della sua morte.
Lei rifiuta i conforti religiosi e non chiede di sedersi, rimane ritta in piedi, orgogliosa nel suo manto scarlatto.
E il corteo parte, per le strade di Parigi, attraversa il Pont Neuf e la Rue Sant-Honoré, dove una folla rabbiosa attende che lei sia giustiziata.
E i nuvoloni grigi che sovrastano la città riversano sulle strade uno di quei temporali forti ed improvvisi, come spesso accade nelle estati parigine.
E Charlotte è lì, in piedi sul carretto, con i vestiti inzuppati e le gocce di pioggia che le scendono sulla pelle.
E il sole torna a baciare Parigi, mentre tra la folla che trepida per assistere all’esecuzione si riconoscono volti noti, tra loro ci sono Danton e Robespierre.
La testa di Charlotte Corday cade sotto il colpo del boia, un suo aiutante la raccoglie e in un gesto estremo di spregio la schiaffeggia suscitando non poco orrore tra gli astanti.
Ma non è questa l’immagine di Charlotte Corday che desterà più impressione.
A lasciare una traccia è la sua calma, la sua tranquilla e orgogliosa compostezza, il suo coraggio, così reale e percepibile.
Il coraggio di Mademoisselle Marie-Charlotte Corday d’Armont, una ragazza di provincia.