Piazza dei Truogoli di Santa Brigida: la Madonna con il Bambino e San Giovannino

È una bella edicola collocata nella città vecchia e così la si ammira in Piazza dei Truogoli di Santa Brigida.
Sfiorata dall’aria del mare di Genova e rischiarata dal sole che illumina questi caruggi, in questa sinfonia di colori armoniosi.

L’edicola è sita in questa piazza così caratteristica e un tempo attraversata dalle molte massaie che ai truogoli lavavano i loro panni, in quei giorni diversi dai nostri le preghiere e le voci si mescolavano al suono argentino dell’acqua limpida.

Ricca e raffinata è la decorazione della nicchia che ospita la statua oggetto di antica devozione.

È la Madonna con il Bambino e San Giovannino, la statua attualmente presente nella Piazza è un calco dell’opera originale che è invece custodita al Museo di Sant’Agostino.

E nel museo che racchiude le antiche ricchezze e le storie della Superba così si staglia la bella immagine di Maria.
La scultura risale al 1617 ed è attribuita ad uno scultore appartenente alla scuola di Leonardo Mirano o di Gio. Domenico Casella.

Questa dolcezza materna attraversa il volto di Maria.

È un’opera preziosa che come si vede non è giunta integra fino a noi ma oggi è preservata tra le mura di un magnifico museo.
Sguardi di un tempo diverso dal nostro si posarono fiduciosi su queste figure.

Ancora oggi, se passerete in questa zona dei nostri caruggi, i vostri occhi troveranno questa immagine sacra: la Madonna con il Bambino e San Giovannino nella Piazza dei Truogoli di Santa Brigida.

La Madonna Immacolata di Salita del Prione

Ritorniamo insieme nei miei amati caruggi e percorriamo la bella e ariosa Salita del Prione che da Piazza delle Erbe conduce al cospetto delle Torri di Porta Soprana.
Mentre salite osservate alla vostra sinistra e potrete notare una maestosa edicola che ospita la statua della Madonna Immacolata.

Tra due colonnine, due angeli reggono la sua corona.

La sovrasta il Padre Celeste.

E ai suoi piedi si nota un’iscrizione latina.

Nella luce radiosa che rischiara questi caruggi.

Maria ha le mani giunte, il suo sguardo è rivolto verso il cielo e verso Dio.
Questa statua aggraziata che si ammira nel nostro centro storico è un calco dell’originale che risale al 1600 circa ed è conservato al Museo di Sant’Agostino.

Là, tra quelle mura, ecco la preziosa e antica statua che un tempo si venerava in Salita del Prione.

Così eterea e colma di grazia, il suo manto pare smosso da vento lieve e Lei così si staglia nella sua bellezza perfetta.

Ancora resta la sacra immagine della Madonna Immacolata, nel luogo dove sempre a Lei si levarono suppliche e preghiere.
In Salita del Prione, nel cuore di Genova antica.

Sui passi di Niccolò Paganini

Forse non tutti sanno che è possibile camminare per le strade di Genova seguendo i passi di uno dei suoi più celebri figli, il musicista e compositore Niccolò Paganini.
Nella sua città natale gli è stato dedicato un percorso, a dire il vero non so quanti genovesi conoscano le targhe che sono poste nei luoghi della vita del grande violinista, in ogni caso basta recarsi all’Ufficio di Promozione Turistica del Comune e lì troverete un opuscolo con una cartina sulla quale sono i segnati i luoghi della Genova di Paganini.
Io ho trovato una di queste targhe per caso diverso tempo fa e in seguito ho veduto le altre, a volte a Genova bisogna camminare guardando per terra.
Passate in Via Lomellini e fermatevi davanti alla Chiesa di San Filippo Neri.

Luccica la targa di ottone e racconta di un ragazzino appena undicenne che suona per la prima volta da solista in questa chiesa.

Spostatevi poi in Via Garibaldi e precisamente all’inizio del Vico del Duca, il caruggio posto di fronte a Palazzo Tursi.

E qui si ricorda ai passanti che il prezioso violino del celebre musicista è conservato proprio a Palazzo Tursi.

Ed è ancora giovanissimo il nostro Niccolò quando si esibisce per la seconda volta nella Basilica delle Vigne davanti ad ammirati spettatori.

Accade nel giorno della la festa di Sant’Eligio, patrono degli Orefici, antica corporazione che elesse questa bella chiesa a propria sede religiosa.

Il geniale talento di Paganini lo conduce poi sul blasonato palcoscenico del Teatro Carlo Felice.

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Ed è il trionfo, a questa prima esibizione ne seguirà un’altra e l’incasso sarà interamente devoluto a famiglie di persone in grave difficoltà.

Troverete questa ed altre informazioni nell’opuscolo dedicato alle targhe, la breve guida è curata con grande attenzione dall’Associazione Amici di Paganini, sono riportati anche dei brani tratti dalla Gazzetta di Genova dell’epoca con la narrazione degli eventi ai quali si riferisce una certa targa.
E non vi svelo nulla di più, vi lascio il piacere di scoprire per conto vostro certi dettagli.
Luci ed ombre, nella vita di Paganini ci fu anche il carcere, il nostro geniale violinista finì nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale.

Accadde a causa di una relazione che egli ebbe con una certa Angiolina Cavanna, di quella storia travagliata ho già avuto modo di scrivere in questo articolo dedicato agli amori appassionati del musicista.
La traccia di quella vicenda resta in una targa che trovate nelle vicinanze del carcere dove Paganini venne recluso.

In questo percorso manca un luogo molto importante ed è assente per una precisa ragione in quanto non esiste più, tuttavia io aggiungo questa tappa alla nostra passeggiata.
Infatti, malgrado l’edificio sia stato demolito, c’è ancora la memoria della casa in cui nacque il nostro Niccolò e per trovarla vi basterà oltrepassare questo archivolto che si trova in Campo Pisano.

Al di là di esso c’è questo luogo dove vado poco volentieri, dire che lo detesto è veramente riduttivo.


Qui nulla vi parla di Genova e della sua vera anima, soltanto il Ponte di Carignano risveglia la memoria di luoghi ormai scomparsi.

La casa natale di Niccolò Paganini si trovava in Passo di Gatta Mora, anche di questo luogo perduto ho già avuto modo di scrivere in passato in questo articolo, sulla facciata c’era un’edicola con una Madonnetta ora conservata al Museo di Sant’Agostino.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Sono stata in questi giardini solo per fotografare la targa che rammenta la storia di questo luogo.
La lastra sottostante non è chiaramente leggibile e così sotto la foto riporto il testo.

ALTA VENTURA SORTITA AD UMILE LUOGO
IN QUESTA CASA
IL GIORNO XXVII DI OTTOBRE DELL’ANNO MDCCLXXXII
NACQUE
A DECORO DI GENOVA E DELIZIA DEL MONDO
NICOLÓ PAGANINI
NELLA DIVINA ARTE DEI SUONI INSUPERATO MAESTRO

Resta di Niccolò Paganini l’atto di battesimo, lo trovate nella Chiesa di San Donato.

Luoghi del quotidiano per noi.
A Genova guardate a terra, qualche volta.

La grandezza di un artista non si perde come le pietre di un’antica casa demolita dalla mano dell’uomo, la grandezza di Paganini sopravvive alle cose terrene e rimane eterna nella sua musica e nelle sue note.

Opera conservata presso l’Istituto Mazziniano
Museo del Risorgimento

Questo percorso vi conduce nei luoghi della sua vita, le tappe sono 11 ed io ve ne ho mostrate di proposito soltanto alcune, in certi punti di Genova riluce una targhetta di ottone sulla quale è incisa la firma di un grande musicista.
Cercate queste targhe, scopritele ed emozionatevi.
In memoria di un grande genovese, in memoria di Niccolò Paganini, eternamente vivo nelle sue inconfondibili note.

Palazzo Ducale: le antiche lapidi della Superba

Sono tornate sotto gli occhi della città, davanti agli sguardi dei genovesi.
Sono tornate nel luogo dove si trovavano, nel palazzo che fu un tempo dimora del Doge e cuore del potere, il nostro Palazzo Ducale oggi prestigiosa sede di mostre ed eventi culturali.

Sono affisse sui muri del Cortile Maggiore, dopo essere state a lungo conservate nel Museo di Sant’Agostino le epigrafi del passato di Genova sono state restaurate e sono divenute così ancor più preziose.

Narrano storie di uomini e della città, sono testimonianze antiche, alcune risalgono alla fine del’200, altre agli ultimi anni del ‘700.
Le lapidi collocate su questo muro si riferiscono a lavori effettuati in porto.

Munifici e generosi questi genovesi, alcuni spendevano le loro ricchezze per il bene della città.
E allora si tramandi ai posteri il nome di coloro che aprirono i cordoni della borsa per la Superba e per la sua grandezza, sia ricordato Bartolomeo Lomellino che nel 1778 donò molti dei suoi denari per l’ampliamento del porto.

Tra i tanti spicca un nome illustre inciso su ben 2 lapidi: è quello di Marino Boccanegra, fratello di Guglielmo che fu Capitano del Popolo.
E anche in questo caso si tratta di lavori per l’ampliamento del porto, Marino non vuole essere dimenticato e fa lasciare traccia del suo operato su questo marmo.
Correva l’anno 1295, quanto tempo è trascorso?

E il nome di lui si legge chiaramente, il nome di lui è ancora qui, nel cuore di Genova.

E ancora questa epigrafe è dedicata a Marino Boccanegra.

Troverete una legenda che vi spiegherà il significato di ogni singola lapide, ognuna è un frammento di storia, ognuna racconta giorni che non abbiamo vissuto.
E così scoprirete che questa epigrafe riguarda il prolungamento di Ponte Calvi effettuato nel 1590.

E quest’altra si riferisce invece la ristrutturazione dell’Ufficio dell’Annona nel 1694.

Sventola nel cielo azzurro la nostra Croce di San Giorgio.

E sul muro di fronte ecco altre testimonianze.

Anche in questo caso un’esaustiva legenda vi permetterà di comprendere il significato di questi marmi.
Uno di essi è la memoria di tempi difficili, all’epoca in cui queste nostre terre erano occupate dagli austriaci.
E in quel 1747 i devoti abitanti di Sant’Olcese misero in salvo le reliquie del loro Santo protettore, il nome di lui è qui scritto Urcisinus, la lapide riguarda proprio la traslazione delle ceneri del Santo.

E poi ancora, altri marmi riguardano illustri figure cittadine, altri ancora si riferiscono all’acquedotto della città.
Questo marmo, ad esempio, è testimonianza di certi lavori di pulizia che vennero fatti ad una vasca situata nella zona dell’Oratorio di Sant’Antonio della Marina.

Tra tante lapidi scritte in latino una è invece nella nostra lingua ed è quindi comprensibile a tutti.
Risale al 1724 ed era affissa sull’acquedotto presso la chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

Non ve le ho mostrate una ad una, se passerete al Ducale potrete vederle con i vostri occhi e magari anche a voi sembrerà che quel passato lontano sia poi, in realtà, ancora presente: è parte del nostro cammino, è parte della nostra storia personale.

Ed è rimasto inciso nel marmo, eterna memoria di un tempo distante.

Tra tutte queste preziose testimonianze una è di immensa importanza in quanto si riferisce ad un diritto fondamentale dell’uomo e a ciò che è da considerarsi valore assoluto per tutti noi: la libertà.
E allora non vi parrà tanto estraneo quest’uomo dall’animo nobile di nome Domenico, forse se potessimo parlare con lui capiremmo le sue buone ragioni.
E noi uomini di questo millennio troveremmo dei punti in comune con questa persona generosa che visse in tempi aspri e difficili.
Egli lasciò all’Ufficio preposto alla liberazione degli prigionieri l’ingente cifra di 200 Lire annue perché venissero spese per coloro che non avevano mezzi per liberarsi dalle catene della prigionia.
In nome di un diritto fondamentale di ogni uomo, nella nostra epoca come in quella di Domenico: in nome della libertà.

Via San Luca: l’edicola della Madonna con il Bambino

Venendo a Genova, alla scoperta dei miei amati caruggi, spero che troviate il sole lucente a baciare le pietre.
Ed è così che vi apparirà Via San Luca con la vertigine della sua prospettiva, con i suoi palazzi che si stagliano contro l’azzurro.

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Regala questi incanti il sole, in certe strade antiche.
In questa frequentata via della città vecchia sarà proprio la luce a permettervi di apprezzare una certa testimonianza della nota devozione dei genovesi per la Madre di Dio.

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All’angolo con Vico del Santo Sepolcro vedrete una bella edicola che ospita l’effigie della Madonna con il Bambino.

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Sopra questa figura un’iscrizione latina: ut appareret eis via.
Si tratta di una citazione biblica, il suo significato letterale è il seguente: affinché si rischiari ad essi la via.

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E sono sempre gli angeli ad accompagnare la figura di Lei.

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La luce sfiora la statua, la luce cade sui drappeggi di quel manto.

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E se osservate con attenzione il gruppo scultoreo noterete che ci sono alcune mancanze, soprattutto per quanto riguarda il Bambino Gesù.

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La statua collocata in Via San Luca è un calco dell’originale che attualmente è conservato al Museo di Sant’Agostino insieme ad altre immagini sacre che un tempo popolavano i nostri vicoli.
Se visiterete il Museo accanto ad essa troverete una legenda dove è specificato che questa statua marmorea per stile e fattura è riconducibile a Tommaso Orsolino e alla sua bottega, questo artista visse nel lontano ‘600.
La bella Madonnetta antica non è andata perduta, è al sicuro nella sala di un Museo.

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Una copia di questa preziosa opera ancora presidia la nostra Via San Luca.

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Sotto alle geometrie del cielo dei vicoli.

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Accarezzata dal sole, nella nicchia a Lei dedicata.

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Nel cuore di una città che sempre Le è stata devota.

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Le mercedi del Custode delle Carceri della Malapaga

Nel corso della mia entusiasmante visita al deposito lapideo del Museo di Sant’Agostino ho avuto modo di fare diverse interessanti scoperte.
E sapete, le persone curiose come me osservano tutto e cercano di comprendere ogni dettaglio, a volte non è affatto semplice.
Appoggiato a un muro, quasi nascosto dietro ad altre lastre marmoree, ho intravisto un marmo sul quale erano incise parole che hanno attirato la mia attenzione: Carceri della Malapaga.

Mura della Malapaga 2
La Malapaga era la fosca prigione dove i genovesi rinchiudevano coloro che non pagavano i loro debiti, chi aveva dei conti da saldare andava a finire laggiù, potete leggere la storia della Malapaga in questo articolo dove troverete anche alcune vicende che accaddero in quel luogo.

Mura della Malapaga

Mura della Malapaga

La lapide in questione era in parte nascosta e pure capovolta, pertanto immaginatemi mentre tento in ogni modo di fotografarla.
In mio soccorso è poi giunto il Dottor Adelmo Taddei, appassionato conservatore del Museo, colgo l’occasione per ringraziarlo ancora, il Dottor Taddei ha posizionato la lastra in modo che fosse visibile ed io sono tornata al Museo per leggerla e fotografarla.
Eccolo qua il misterioso marmo, è scritto in italiano e si riferisce alla paga dovuta al custode delle carceri.

Malapaga

TEMPORE FRANCISCI REBESONI ANNO 1650

TARIFFA DELLE MERCEDI DEL CUSTODE DELLE CARCERI
DELLA MALAPAGA

DA LIRE VENTI A BASSO SI PAGANO SOLDI DIECI
DA VENTI SINO IN CINQUANTA SOLDI VENTI
DA CINQUANTA SINO A CENTO SOLDI TRENTA
OLTRE LIRE CENTO SOLDI TRENTAQUATTRO
PER LE LICENSE GENERALI SOPRA IL VERO DEBITO
MA SE IL CREDITORE NON HAVERA FATTO DETENERE IL
DEBITORE PER MESSO E POI UN ALTRO GIORNO PER
SOTTO CAVALERO IL CREDITORE DOVER PAGARE LUI
LA MERCEDE DELLA DETENTIONE

Ho riportato qui le parole per una più semplice comprensione di quanto inciso su quel marmo.
Ditemi sinceramente, a voi è tutto chiaro?
Io ammetto che questo testo ha suscitato la mia perplessità e pertanto per la sua interpretazione ho chiesto l’aiuto di un caro amico abituato a interpretare certi linguaggi a volte ostici: Don Paolo Fontana, responsabile dell’Archivio Diocesano di Genova.
Ed ecco che a poco a poco si sono svelate usanze di quel tempo, correva l’anno 1650.
La parte iniziale è forse più facilmente intuibile, vi si legge che al custode delle carceri spetta una cifra definita e si calcola in questa maniera:

DA LIRE VENTI A BASSO SI PAGANO SOLDI DIECI
DA VENTI SINO IN CINQUANTA SOLDI VENTI
DA CINQUANTA SINO A CENTO SOLDI TRENTA
OLTRE LIRE CENTO SOLDI TRENTAQUATTRO
PER LE LICENSE GENERALI SOPRA IL VERO DEBITO

Per un debito da 20 lire in giù al custode sono dovuti 10 soldi.
Da 20 a 50 prenderà 20 soldi.
Da 50 a 100 gli spettano 30 soldi.
Per le licenze generali sul vero debito più di 100 lire e 34 soldi.

Mura della Malapaga (2)

Mura della Malapaga

La parte finale, in base a quanto mi ha spiegato Don Paolo, si riferisce al fatto che al creditore spettava pure il compito di darsi da fare per far arrestare colui che gli doveva dei soldi.
Leggete questo passaggio:

MA SE IL CREDITORE NON HAVERA FATTO DETENERE IL
DEBITORE PER MESSO E POI UN ALTRO GIORNO PER
SOTTO CAVALERO IL CREDITORE DOVER PAGARE LUI
LA MERCEDE DELLA DETENTIONE

Significa che se il creditore non avrà fatto arrestare il debitore per mezza giornata e un altro giorno intero avvalendosi del sotto cavaliere (un funzionario del tribunale) toccherà proprio al creditore pagare la mercede della detenzione.
Non so dirvi nulla di più a proposito di questa targa che stava affissa in quella cupa galera, era mio desiderio condividere con voi questa curiosa scoperta in quanto credo che non conosciamo mai abbastanza le pieghe del nostro passato e certi lati oscuri di tempo lontani.
Della Malapaga tornerò a scrivere presto, quello è il luogo dove venivano rinchiusi i debitori.

Malapaga (2)

Natalina Pozzo, la fruttivendola di Sarzano

In certi quartieri ci si conosce tutti, nel passato la città era anche più raccolta e credo davvero che fosse noto a molti il viso di Natalina Pozzo, fiera fruttivendola di Piazza Sarzano.
Là lei aveva la sua bottega, come ogni abile commerciante avrà esposto la sua merce con cura.

Piazza Sarzano

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

E mai l’avrebbe detto, Natalina, che un giorno avrebbe fatto un fatale incontro.
È il 1834, nella città di Genova c’è un uomo in fuga, le guardie sono sulle tracce, è implicato in un tentativo d’insurrezione che non è andato a buon fine.
E lui scappa e cerca la salvezza con indomita caparbia, arriva così in Sarzano ed è Natalina a giungere in suo soccorso.
Non c’è tempo da perdere, lei lo fa entrare nel suo negozio e lo nasconde agli occhi del mondo, il fuggiasco uscirà da quella bottega indossando abiti da contadino.
Il suo nome è destinato ad essere scritto nei libri di storia, il celebre fuggitivo è Giuseppe Garibaldi.

Garibaldi (2)

Opera esposta all’Istituto Mazziniano Museo del Risorgimento

Ora, ai nostri tempi, la bottega di Natalina non esiste più, mutano le città e con esse le nostre strade.
C’era, sopra la porta del suo negozio, una lapide in memoria di quell’evento, mai avrei pensato di vederla.
L’ho ritrovata al deposito del Museo di Sant’Agostino e perdonate la qualità della foto, la lastra era posata a terra in un punto non proprio agevole.
Tuttavia ecco cosa si può leggere su quel marmo:

Lapide

SALUTI REVERENTE IL POPOLO
QUESTA CASA
PER FRATERNA PIETA’ DI NATALINA POZZO
ACCOLSE FUGGIASCO
GIUSEPPE GARIBALDI
INIZIANTE LA GLORIOSA EPOPEA DELLE SUE GESTA
IL 4 FEBBRAIO 1834

Ho anche trovato un’antica foto di quella bottega, sopra la lapide si trovava un tondo all’interno del quale c’era il volto di Garibaldi.
La foto d’epoca non è tanto chiara ma ho avuto l’impressione che potrebbe trattarsi di questo altro pezzo che ho trovato a Sant’Agostino.

S. Agostino (17A)

Rimuoviamo i marmi e con essi la memoria delle storie che testimoniano, distogliamo lo sguardo dal nostro passato e così, poco a poco, perdiamo il ricordo di certi eventi e diveniamo in qualche modo più poveri.
La vicenda di Natalina Pozzo si collega ad altre due storie che hanno già avuto spazio su queste pagine, si narra infatti che altre due popolane abbiano aiutato Garibaldi durante la sua fuga: una è la fruttivendola Teresa Schenone e l’altra è l’ostessa Caterina Boscovich.
Donne del popolo, donne dei caruggi.
E un giorno io ho ritrovato lei, Natalina.
Quando ho veduto il suo nome inciso sul marmo mi è come venuto un tuffo al cuore e mi è parso quasi di scorgerla sulla soglia della sua bottega, donna semplice e coraggiosa che spalancò la porta all’eroe in fuga.
Un saluto a te, Natalina, fruttivendola genovese prodiga della tua fraterna pietà.

Verdura

Gli sguardi di Giano Bifronte, simbolo di Genova

Correva l’anno 1536 e nella città di Genova veniva commissionata agli artisti Della Porta e a Nicolò Corte un’opera di pubblica utilità: un barchile e cioè una maestosa fontana che venne collocata in una delle piazze centrali della Superba, all’epoca si chiamava Piazza Nuova, oggi è invece intitolata a Giacomo Matteotti.

Piazza Matteotti

Vista da Palazzo Ducale

Sulla fontana troneggiava una scultura con i tratti di Giano Bifronte.
Questa figura ha una forte valenza simbolica per questa città, una leggenda infatti narra che si debba proprio al dio Giano la fondazione della Superba, alcuni ritengono che da lui derivi il toponimo Janua, antico nome della nostra Genova.
Va detto che nella storia di Genova sono varie le supposizioni sull’identità del fondatore Giano ma su questo non mi dilungherò.
Il dio romano degli inizi, il dio dai due volti.

Giano (2)

Mutano anche i visi delle città e così è accaduto anche in questo caso.
Nella prima metà del ‘600 la fontana trovò una nuova destinazione, si stabilì di collocarla in Piazza San Domenico, così si chiamava l’attuale Piazza De Ferrari.
Sul finire dell’Ottocento venne nuovamente spostata e fu messa in Piazza Marsala, dove ancora potete ammirarla.

Via Palestro

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

E anche al dio Giano fu trovata una nuova sistemazione, in un primo tempo venne posto su un’altra fontana che trovate nei caruggi, la sua storia è una delle prime che ho raccontato in questo articolo che vi conduce nella celebre Via Del Campo.
Là si trova la colonna d’infamia eretta nel 1628 per Giulio Cesare Vachero, traditore di Genova che fu punito con la morte per le sue colpe.
Oltre a ciò, secondo l’uso del tempo, la sua casa venne spianata e al suo posto fu costruita la colonna infame.
Tempo dopo i discendenti del Vachero ricorsero ad un astuto stratagemma.
Insomma, non era tanto onorevole trovarsi davanti agli occhi i misfatti del loro antenato, così quando venne costruita la Peschiera dei Raggio fecero in modo che fosse posizionata in maniera da oscurare la vista della colonna sulla quale sono incise le colpe dello stolto Vachero.
E su questa fontana fu collocato il busto di Giano.

Via del Campo

Non terminano qui le peregrinazioni genovesi del dio bifronte, alla fine dell’Ottocento fu destinato a Sarzano, la piazza che deriverebbe il suo nome da Arx Giani, rocca di Giano.

Piazza Sarzano (2)

Piazza Sarzano

Qui c’è una cisterna circondata da un tempietto e se guardate sulla sommità di quest’ultimo vedrete i due volti del nostro girovago Giano.

Piazza Sarzano (3)

Qui venne collocato e qui restò per molti anni, la statua che vedete attualmente non è altro che una fedele copia.

Giano

E dove si trova l’originale Giano Bifronte, colui che con i suoi sguardi misteriosi ha veduto scorrere la vita di Genova e i suoi secoli?
È conservato nel deposito del Museo di Sant’Agostino, insieme alle molte opere che hanno suscitato il mio e il vostro stupore, accanto alle pietre di Genova perduta.

Giano (3)

Lo si preserva e lo si difende dalle ingiurie del tempo ma merita certo di essere di essere esposto nelle sale del Museo.
Ed io spero che gli sguardi di Giano trovino ancora quelli dei genovesi e di tutti coloro che amano la storia di questa città.

Giano (4)

Il deposito del Museo di Sant’Agostino: Genova perduta

Un viaggio nella città perduta, tra marmi e tesori recuperati e adesso conservati nel deposito del Museo di Sant’Agostino.
In questo mese di febbraio potrete partecipare a una visita speciale che si tiene ogni mercoledì alle 16 e a guidarvi tra le meraviglie del passato di Genova sarà Adelmo Taddei, conservatore di questo importante museo genovese.
Vedrete ciò che resta di chiese scomparse e di strade demolite e ascolterete un racconto ricco di dettagli e certo non privo di forti emozioni, lascio a voi il piacere di scoprire le meraviglie di questa narrazione, io vi mostrerò alcuni reperti che più hanno colpito il mio sguardo.
Cammini in una città che non esiste più, una città che tuttavia si presenta a te e ti parla dei giorni che non hai potuto vedere.

S. Agostino

Ed è una sequenza infinita di marmi, colonne, capitelli, statue, formelle, lapidi.
Tutto appartiene ai giorni lontani di Genova, come questo San Francesco D’Assisi, non si sa da dove provenga questa statua.

S. Agostino (2)

E poi angeli, dall’Altare Maggiore della Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo.

S. Agostino (4)

Dalla stessa chiesa proviene anche la statua di San Pietro Martire.

S. Agostino (5)

E una targhetta ricorda che su questi ripiani ci sono marmi e lapidi provenienti da Salita di Ripalta.

S. Agostino (7)

Usiamo la nostra immaginazione per ritrovare una via perduta, era nei dintorni dell’attuale Piazza Dante, c’era il negozio di paste e gallette di Pietro Terrile e la sartoria di Angela Zerega.
E c’era un mondo che non possiamo vedere.

S. Agostino (6)

A breve distanza, un frammento proveniente da una casa demolita, in Ponticello.

S. Agostino (8)

Da altre vie e luoghi perduti vengono questi volti, sguardi cupi ed espressioni torve.

S. Agostino (9)

S. Agostino (10)

E poi la dolcezza di una Madonna con il Bambino.

S. Agostino (10A)

E un’altra ancora.

S. Agostino (12)

Tre sovrapporta, pensa alla casa, alle sue finestre piene di vita e ai rumori dei passi di coloro che salgono i gradini.

S. Agostino (13)

Ancora una scultura, dalla chiesa di San Silvestro.

S. Agostino (14)

E non so spiegarvi il mio attonito stupore accompagnato da una sorta di vera amarezza per ciò che non abbiamo saputo difendere.

S. Agostino (15)

I leoni di Villa Scassi.

S. Agostino (16)

E a terra, colonne e busti di quattro patrioti, non so dirvi dove fossero collocati, tra essi Jacopo Ruffini.

S. Agostino (17)

E ancora, l’eroe dei due Mondi.

S. Agostino (17A)

E ancora, due lapidi perfette, una per Mazzini e una per Garibaldi, vi si legge che la Società Amici Sestiere Maddalena riconoscente pose.
Correva l’anno 1884, adesso le lapidi sono in un magazzino e io mi domando perché non le abbiano ricollocate, devo dirlo.

S. Agostino (19)

E ancora, una lapide per i caduti per l’Indipendenza e L’Unità D’Italia, la memoria di certi nomi svanisce presto, purtroppo.

S. Agostino (20)

Due angeli, a loro il compito di reggere candele dalla luce fioca.

S. Agostino (20A)

Una parete coperta di stemmi provenienti da San Domenico.

S. Agostino (22)

Li vedete così, un tempo erano ravvivati dal colore.

S. Agostino (23)

E ancora, pietra nera di promontorio.

S. Agostino (24)

E poi un viso dai tratti gentili.

S. Agostino (25)

Un angioletto, proviene dalla Chiesa o dal Convento di San Francesco di Castelletto.

S. Agostino (26)

Provengono da quella chiesa il gruppo marmoreo e le formelle delle foto che seguono.

S. Agostino (27)

S. Agostino (28)

E due sono i telamoni di un portale che un tempo era in Piccapietra.

S. Agostino (29)

E sul muraglione dell’Acquasola c’era questo Giano Bifronte opera dello scultore Santo Varni.

S. Agostino (30)

Avvisi per il Magistrato dello Spedale di Pammatone, così si legge su questo marmo.

S. Agostino (31)

E sempre da Pammatone provengono le campane.

S. Agostino (32)

Scandivano le ore e il tempo di chi ci ha preceduto e sono anche testimonianza di un’antica devozione.

S. Agostino (33)

S. Agostino (34)

Volti e storie che un tempo erano per le strade di Genova perduta: da sinistra Menandro e Metastasio, gli ultimi due sono Alfieri e Goldoni, incomprensibile il nome scritto sotto la figura centrale.

S. Agostino (35)

Questo si presume che sia un cancello di qualche chiesa, mirabile la bravura di colui che l’ha forgiato.

S. Agostino (36)

Un tempo perduto, una città che ritrovi conservata nei depositi di questo museo.

S. Agostino (38)
Ho tralasciato volutamente alcuni pezzi importanti e di questi tornerò a scrivere quanto prima, credo che meritino uno spazio dedicato.

S. Agostino (37)

Vi ho mostrato una piccola parte dei marmi che potrete ammirare durante la visita, ringrazio il Dottor Taddei per il suo racconto appassionato e per la dedizione che traspare dalle sue parole.
Andate anche voi al Museo di Sant’Agostino, qui ci sono tutti i dettagli per prenotare la vostra visita.
E troverete questa Madonnina scolpita nel marmo, la circondano bocci di fragili rose.

S. Agostino (39)

E questi angioletti che se ne stanno riposti su un ripiano.

S. Agostino (40)

Insieme a loro ce ne sono molti altri, custodiscono le storie di Genova perduta.

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Simonetta e Percivalle Lercari, la pietra del ricordo

Le vite degli uomini a volte imboccano percorsi imponderabili.
All’ombra dei secoli scorrono migliaia di nomi, la maggior parte di essi viene dimenticata, alcuni sono ricordati perché le pieghe del destino restituiscono frammenti di storie e di vite.
Loro erano due fratelli, Simonetta e Percivalle Lercari.
E a dire il vero mi piacerebbe potervi raccontare per intero le loro vicende, le vite di ognuno sono intessute di sogni e desideri, di costruzioni immaginarie del proprio futuro, di sconfitte e di vittorie.
Non so quasi nulla di Simonetta e Percivalle.
Fratello e sorella, vissuti in un tempo distante, in un’epoca immersa in altri suoni, in un secolo che conosceva durezze e asprezze che noi ignoriamo.
E passarono molti anni prima che i loro nomi rivedessero la luce, accadde il 7 luglio 1873.
Erano in corso certi lavori nei pressi della chiesa di San Giovanni di Prè, nel luogo dove un tempo si trovava il cimitero medievale della chiesa e dell’Ospedale di San Giovanni.
Restituita dalla polvere dei secoli riemerse una piccola lapide sepolcrale di grande valore artistico attualmente conservata nel Museo di Sant’Agostino dove si trovano veri tesori.
E’ la lapide di Simonetta e Percivalle, deceduti nel 1259 di peste, probabilmente mentre erano intenti nella cura dei malati.
Il passato rivive e rende visi che possiamo soltanto immaginare e sguardi che vorremmo poter incontrare.
La lapide è un reperto prezioso per la raffinatezza delle tecniche utilizzate, uno straordinario capolavoro di miniatura e oreficeria.
Al centro della lapide c’è una placca di bronzo, vi si riconosce il profilo di una chiesa, la figura della Madonna e i due fratelli inginocchiati in preghiera.

Simonetta e Percivalle Lercari

Ciò che realmente emoziona è il testo che si legge su quel marmo, l’epigrafe scritta in nero e rosso.
E ringrazio il Direttore del Museo di Sant’Agostino per avermi fornito una documentazione in merito curata dal Professor Lorenzo Coveri*.
Il Medioevo che ritorna, la vita che imbocca un percorso imponderabile.
E i nomi di Simonetta e Percivalle ancora sotto i nostri occhi, quella lapide di marmo esposta in un museo.
Le parole in loro memoria sono scritte in latino, l’ultima riga invece è in volgare, i due verbi inclusi in quella frase sono da leggersi in dialetto genovese.
E’ una sorta di supplica a coloro che si troveranno davanti a questa pietra, sono proprio loro, i due fratelli, a rivolgersi a chi legge.
E si sente un brivido, una profonda e toccante emozione.
E il tempo si dissolve, svanisce la distanza, si resta solo semplicemente uomini.
Per Simonetta e Percivalle Lercari, la pietra del ricordo.

Simonetta e Percivalle Lercari (2)

M°CC°LVIIII AD DIES XVI AUGUSTI ANTE TERCIA TRANSIERUNT DE HOC SECULO DOMINA SIMONETA ET PRECIVARIUS LERCARIUS EIUS FRATER QUE ANIME IN PACE REQUESCANT ANTE DEUN AMEN.

Nell’anno 1259 nel giorno 16 di Agosto prima dell’ora terza passarono da questo secolo Donna Simonetta e Percivalle Lercari suo fratello le cui anime in pace riposino davanti a Dio. Amen.

Ultima riga in volgare

TU QI QUI NE TROVI, PER DE NO NE MOVI
TU CHE QUI CI TROVI, IN NOME DI DIO NON CI RIMUOVERE

*Momenti (e documenti) di storia linguistica della Liguria. I. Il Medioevo