La visita ai Sepolcri nelle Chiese di Genova

La visita ai Sepolcri è uno dei riti di questo tempo che precede la Pasqua: il Giovedì Santo è infatti usanza allestire nelle chiese gli altari della Reposizione dove viene posta l’Eucarestia.
Gli altari, abbelliti con fiori e foglie, restano così fino al Venerdì Santo, la consuetudine vuole che se ne visitino in numero dispari e ho già avuto modo di mostrarveli in passato ma quest’anno desidero farlo di nuovo.
E allora vi porterò con me a visitare sette chiese di Genova, con la speranza che queste immagini siano gradite a tutti voi e in particolare ai genovesi lontani dalla Superba.
Il mio giro è iniziato dalla Chiesa di San Camillo, sulla balaustra delle ortensie rosa e a terra un grande mazzo di ulivo.

Ricco e suggestiva, come sempre accade, è la composizione esposta nella Chiesa del Gesù dove spiccano una grande ancora e le parole: in te Domine confidemus.

È invece all’insegna della sobrietà l’allestimento che ho trovato nella Chiesa di San Matteo.

Luccica di ori la ricca Cattedrale di San Lorenzo ed è la semplicità dei fiori ad abbellirla.

Candidi petali bianchi sono invece là, nella Chiesa di Nostra Signora del Carmine e di Sant’Agnese.

Candele accese e un’armonia di colori ravvivano la magnifica Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

E infine ecco ancora i toni della primavera, nella Chiesa di San Donato che è a me tanto cara: così si è svolta la mia visita ai Sepolcri nel Giovedì Santo di questo tempo così particolare.

Chiesa di San Matteo: la Deposizione nel Sepolcro di Maragliano

È un’opera magnifica di uno scultore celebre e molto apprezzato, Anton Maria Maragliano visse tra la seconda metà del ‘600 e la prima metà del ‘700, le sue numerose opere si trovano in molte diverse chiese di Genova e della Liguria.
Uno dei capolavori di Maragliano è collocato in San Matteo, la chiesa genovese che si affaccia sulla piazza omonima e che fu un tempo chiesa gentilizia della famiglia Doria.
La scultura lignea, così raffinata e di forte impatto emotivo, raffigura la Deposizione di Gesù nel sepolcro.
Ed è una rappresentazione intensa, toccante, capace di suscitare reali emozioni, si leggono affetto sincero e gratitudine nello sguardo di colui che così regge il corpo del Cristo.

E le mani di Gesù martoriate dai chiodi raccontano il Suo sacrificio sulla croce.

La luce sfiora le Sue dita e le Sue membra giovani.

Da sapiente artista Maragliano scolpì in tale maniera le sue figure nel legno restituendo così all’osservatore una gamma variegata di sensazioni.
Ed è stupore, tristezza, riconoscenza, amore per Lui che ormai così giace.

Tra Nicodemo e Giuseppe di Arimatea ecco Gesù ormai senza più vita: e la luce così rischiara il Figlio di Dio che venne tra gli uomini per la salvezza del mondo.

La spada di Andrea Doria e il destino di un ladro

C’era, in un tempo lontano, un uomo nobile e prode la cui gloria risuonò nei secoli a seguire, il nome dell’Ammiraglio Andrea Doria brilla ancora per la sua grandezza e per il valore della sua figura.
Tale caratura fu a lui riconosciuta anche nella sua epoca e l’evento che vado a raccontarvi si collega ad un onore tributato ad Andrea Doria da Papa Paolo III.
Correva l’anno 1538 quando Sua Santità volle donare una magnifica e preziosa spada di onore e da parata proprio ad Andrea in quanto “propugnatore fortissimo della fede di Cristo”.
L’arma di così rara bellezza aveva il pomo e la cintura d’oro e l’elsa tempestata di pietre preziose, sulla sua lama si potevano distinguere le incisioni in oro dei Santi Pietro e Paolo e la scritta Paulus III Pont. M. Anno I.
La spada rimase in possesso di Andrea Doria per tutta la sua vita e lui dispose che alla sua morte essa fosse posta accanto al suo sepolcro.
Là, nella Chiesa di San Matteo che si affaccia sulla piazza omonima, dove si trovano anche le dimore dei Doria e che fu chiesa gentilizia di questa celebre famiglia genovese.

Qui dormono il loro sonno eterno i valorosi rappresentanti della famiglia Doria, troverete i loro nomi incisi sul marmo.

In fondo alla navata sinistra una piccola porticina cela le scale che conducono alla sottostante cripta.

Là riposa Andrea Doria e come già scrissi secondo la volontà dell’ammiraglio alla sua morte sopravvenuta nel 1560 la spada donatagli dal papa venne posta accanto alla sua tomba.

Trascorsero ben 16 anni e un giorno la spada scomparve, sottratta dalle leste mani di un abile ladro.
Un simile affronto era intollerabile e così Giovanni Andrea Doria, nipote dell’ammiraglio, offri 200 scudi d’oro a chi avrebbe riportato la spada.
Ahimè, l’arma preziosa non venne restituita, tuttavia tra le mani della giustizia cadde colui che l’aveva rubata: il ladro di chiamava Mario Calabrese ed era un sottocomito di una delle galee della Repubblica.
Colui che aveva avuto l’ardire di mettere le mani sulla spada dell’Ammiraglio pagò con la vita il suo delitto e venne crudelmente giustiziato in maniera singolare: come narrano le cronache sapientemente riferite dallo storico Michelangelo Dolcino, Mario Calabrese fu impiccato con una corda d’oro nella Piazza di San Matteo e forse di questo evento a lungo si parlò nei caruggi della Superba.

La lama della spada di Andrea fu rinvenuta diverso tempo dopo in una fogna nella zona di Ponte Calvi, non furono mai ritrovate l’elsa con le gemme, il pomo d’oro e tutte le parti preziose.
Così venne lasciata e ancora si conserva, nella Chiesa di San Matteo, in una teca illuminata, muta testimone di un passato lontano e del valore dell’Ammiraglio Andrea Doria.

5 Maggio 1379: il coraggio di Luciano Doria

5 Maggio, è il giorno di un eroe, lui appartiene ad un’importante famiglia e il suo nome è Luciano Doria.
Siamo nel 1379, all’epoca di duri conflitti tra Genova e Venezia, Luciano è destinato a scrivere una pagina di storia che gli renderà onore.
È lui l’Ammiraglio a capo della flotta che solca l’Adriatico in quella lontana primavera, lui è già stato trionfatore a Zara contro Vettor Pisani e sfiderà ancora le navi nemiche.
Su Luciano Doria e sulla sua tempra sono stati tramandati aneddoti che hanno il sentore della leggenda, Amedeo Pescio nel suo testo Croce e Grifo narra un episodio emblematico e riferisce di un povero rematore che in preda alla fame chiede aiuto a Luciano e questi, senza esitare, si toglie la fibbia d’oro della cintura e la dona al bisognoso.
E sempre Pescio racconta quell’impresa eroica per la quale Luciano passò alla storia.
In quell’epoca instabile forte è il timore che le navi di Venezia vengano ad infestare il mare di Genova e Luciano, alle testa delle sue galee, parte per difendere la patria.
È un viaggio non privo di scontri e di ostacoli ma all’alba del 5 Maggio Luciano Doria giunge davanti a Pola, di fronte al nemico sventola gagliardo il vessillo con la Croce di San Giorgio.

Davanti a lui è schierata la flotta veneta, Vettor Pisani e la sue navi restano asserragliati nel porto di Pola.
E qui uso le parole di Pescio, io non saprei trovarne di migliori:

Rugge San Marco. Il Grifo stride e chiama tutte le navi indietro.

Sembra così che i genovesi si ritirino, come se temessero lo scontro.
Avanza con la sua flotta Vettor Pisani che crede di sbaragliare in un sol colpo i suoi nemici ma non ha fatto i conti con l’astuzia di Luciano.
Dieci galee di Genova, celate dietro al promontorio, si gettano contro le navi nemiche e sferrano l’attacco alle navi di Venezia.
È una lotta sanguinosa, entrambe le parti subiscono gravi perdite ma Genova sembra prevalere, l’epica della battaglia è coronata da quel grido rivolto al Santo protettore della Superba: San Zorzo! San Zorzo!
Tra le navi della Serenissima una sola sembra resistere ed è capitanata da Donato Zeno, il contrasto si fa sempre più aspro.
Nell’impeto del combattimento Luciano Doria scosta la visiera dal volto e ripete ancora il grido e il nome del Santo che protegge Genova.
E accade in quel momento: la spada di Donato Zeno spezza la vita di Luciano Doria e l’eroe cade nel sangue.
Non bisogna esitare, non si può permettere che i genovesi si scoraggino: Ambrogio Doria, fratello di Luciano, prende l’elmo, la corazza e l’arma dell’eroe caduto e continua a combattere nelle vesti di lui.
I genovesi tornano così vittoriosi in patria portandosi dietro 15 galee cariche di prigionieri e un bottino di guerra davvero notevole, è il trionfo di Luciano.
L’eroe della battaglia di Pola morto per la gloria di Genova viene onorato dal popolo e dalla Repubblica.
Per la sua grandezza e in memoria della battaglia di Pola, si ordina che nella chiesa di San Giorgio sia dedicato un altare a Giovanni Battista e ogni anno per celebrare questa ricorrenza il Magistrato dovrà portare in quella chiesa un pallio d’oro.

Per le sue gesta Luciano Doria aveva già conosciuto la gratitudine della sua città, Genova gli aveva donato una casa sita nell’attuale Vico Casana, un tempo detta Carroggio dei Promontorio.
Il libro di Amedeo Pescio da me consultato risale al 1914, in quell’anno l’autore parla di quella casa e scrive che ha subito dei restauri, aggiunge che il popolo usa fermarsi sotto la dimora dell’Ammiraglio immaginando le sue imprese.

Sono passati molti anni, c’è stata una guerra che ha causato molta distruzione nel centro storico di Genova, non so dirvi quali danni abbia subito questa specifica abitazione e quali eventuali cambiamenti siano stati fatti.
Io ho seguito le indicazioni di Pescio: nel 1914 egli scrive che sulla facciata della dimora di Luciano Doria presto verrà affissa un’antica lapide.
E lì si trova, a fianco al portone.

Questo marmo attesta che la casa non rimase a lungo agli eredi di Luciano in quando ne divennero proprietari i Clavesana.
Si legge chiaramente il nome di lui, è scolpito nella terza riga: Luciano De Auria.

Resta la memoria, in certi luoghi.
La figura di Luciano è anche ritratta insieme ad altri grandi della famiglia Doria nella Loggia degli Eroi a Villa del Principe.
Luciano è il secondo da sinistra, nell’immagine che qui sotto vedete.

Quando il suo corpo venne riportato in patria dapprima Luciano Doria venne sepolto in San Domenico, in seguito la sua salma fu portata in San Matteo, chiesa gentilizia della famiglia Doria.

Sotto il bagliore di questi ori riposano molti celebri rappresentanti della famiglia.

Qui, in San Matteo, la memoria delle gesta di Luciano è scolpita per i posteri.
Sulla facciata, nei marmi bianchi, sono incise le vicende che videro protagonisti alcuni eroici personaggi della famiglia Doria.

Non è semplice leggere questi caratteri gotici e non è possibile riportate qui la foto dell’intera scritta ma posso mostrarvi alcune salienti parole.
Anno 1379, in numeri romani, nella prima riga.
Pola, il luogo della sua fine, nella seconda riga.

Galeis capte, prese le galee.
E questo è il suo eroismo guerresco.

Fu il protagonista di questa giornata di un tempo lontano, era l’epoca delle Repubbliche Marinare e allora non si combatteva in nome del tricolore come accadde in un più recente e celebre 5 Maggio.
Lucianum D’Auria, così si legge sulla chiesa gentilizia della sua famiglia, nel cuore della sua città.
Questo è il suo nome ed è la memoria di lui e di quel 5 Maggio 1379, il giorno del coraggio di Luciano Doria.

Theodore Roosevelt: un turista americano a Genova

È un giorno di aprile del 1910 quando a Genova giunge un illustre visitatore, è stato presidente degli Stati Uniti d’America e con lui viaggiano la sua consorte e i suoi figli.
I Roosevelt sono stati prima a Roma e poi hanno raggiunto la ridente riviera ligure, hanno trascorso una notte all’Hotel Miramare di Sestri Levante e in seguito si sono fermati a Rapallo, da lì sono ripartiti alla volta della Superba.

A Genova tutti li attendono con trepidazione, a dar loro il benvenuto c’è il Console Generale degli Stati Uniti d’America, non manca un drappello di giornalisti americani ed italiani pronti ad incontrare il celebre ospite.
Lo aspettano nell’albergo che Theodore Roosevelt ha scelto per il suo soggiorno: l’Hotel Britannia in Via Balbi.

E come potrete immaginare ad accoglierlo giungono tutte le massime autorità cittadine, c’è una certa fierezza nell’omaggiare un personaggio così importante, il Comune gli donerà alcune pubblicazioni, una di esse è la riproduzione degli Annali del Caffaro.
Tutti si offrono di accompagnare lui e la sua famiglia alla scoperta della città: il presidente del Consorzio Autonomo del Porto, Nino Ronco, si propone per fargli visitare Palazzo San Giorgio, il solerte assessore Caveri si mette a disposizione di Roosevelt per un giro nei musei.

Roosevelt è amabile e cortese, spende parole generose per l’Italia e per Genova, è grato per l’accoglienza riservatagli.
Spiega ai suoi ospiti che lui è già stato nella nostra città, è accaduto durante il suo viaggio di nozze e comunque riguardo ai programmi delle sue ore genovesi dice che dovrà sentire la sua signora.
Ed è proprio sua moglie, dopo breve tempo, a farlo chiamare dal direttore dell’albergo, è l’ora del tè e la bevanda si raffredda.
Per Roosevelt non è semplice accomiatarsi dalla folla di gente che gli gira intorno, tutti si affannano nel proporgli il loro aiuto ma l’ex presidente degli Stati Uniti declina cortesemente e dice che la sua è una visita privata, si fermerà solo un paio di giorni e poi proseguirà alla volta di Porto Maurizio.
La mattina dopo la sveglia suona di buon mattino, Roosevelt sbriga la corrispondenza e poi si gode una buona colazione all’Hotel Britannia assieme alla sua compagna di viaggio e di vita.
Inutile dire che la Direzione dell’Albergo è giustamente fiera di annoverare tra i suoi ospiti una figura così importante, un timbro apposto sul retro di certe cartoline ricorderà quel memorabile evento.

La giornata genovese di Theodore Roosevelt inizia in compagnia di un caro amico, insieme a lui egli visita la Chiesa di San Matteo e le tombe dei Doria.

Poi il nostro turista americano si gode una bella passeggiata in Strada Nuova, vedrà Palazzo Rosso e Palazzo Bianco e avrà modo di apprezzare i capolavori artistici di Genova.

E proprio in Via Garibaldi va a succedere uno spiacevole disguido!
Eh già, infatti il nostro desidererebbe visitare un certo palazzo ma a sbarrargli il passo trova due irremovibili portieri i quali, malgrado le rimostranze dei giornalisti presenti, si rifiutano di far entrare Roosevelt.
I due continuano a ripetere di non aver ricevuto alcuna direttiva dal padrone di casa e quindi non ci pensano neanche a far entrare visitatori non autorizzati!
Eh insomma, un po’ di elasticità, caspita!
Roosevelt non fa un piega e torna verso Via Balbi, dopo una rapida visita a Palazzo Durazzo Pallavicini rientra all’Hotel Britannia.

Qui attende di incontrare un celebre italiano, è lo scrittore Antonio Fogazzaro, uno dei massimi rappresentanti della nostra letteratura.
L’atteso incontro non si verificherà in quando Fogazzaro non si presenterà all’Hotel, purtroppo non conosco le circostanze di questo mancato appuntamento.
Roosevelt e la sua famiglia lasceranno Genova salutati dalle autorità cittadine con tutte le dovute celebrazioni e proseguiranno alla volta di Porto Maurizio con il treno, alla famiglia viene riservato dalle Ferrovie un vagone di prima classe.

Se vi interessa posso anche dirvi che il convoglio lasciò la stazione Principe in perfetto orario, il giornalista che ha raccontato questi giorni genovesi di Roosevelt ha precisato anche questo dettaglio.
Tutte le notizie che avete letto sono tratte dal quotidiano Il Lavoro del 9 e 10 Aprile 1910, le belle immagini antiche dell’Hotel Britannia appartengono al mio amico Eugenio Terzo che come sempre ringrazio.
A leggere i vecchi giornali si hanno sempre piacevoli sorprese, si scoprono frammenti del passato sempre degni di essere raccontati.
Accadde in primavera, era un giorno d’aprile e a Genova giunse un illustre visitatore: era Theodore Roseevelt, un turista americano nella Superba.