Le pietre d’inciampo nelle vie di Genova

In questa Giornata della Memoria ritorno a parlarvi delle pietre d’inciampo di Genova.
Le pietre d’inciampo, come ben saprete, sono targhe in ottone realizzate nell’ambito di un progetto voluto da un artista tedesco in ricordo delle vittime dell’Olocausto e posizionate in luoghi significativi come ad esempio la casa di una persona o il posto nel quale venne arrestata.
Ebbi già modo di scriverne tempo fa in questo post e oggi vi mostrerò altre pietre d’inciampo in memoria di alcune persone che vissero esistenze drammatiche.
La prima di queste targhe fu posizionata diverso tempo fa, le altre che seguiranno sono state invece messe martedì scorso.
Andiamo allora in Corso Monte Grappa, davanti al civico 37.

Sapete, mi sono recata appositamente in questa via e mentre mi trovavo lì, intenta a fotografare la targhetta che si trova davanti al palazzo, il portone si è aperto ed è uscita una signora che mi ha sorriso e ha proseguito per la sua strada.
È semplicemente la banale quotidianità: aprire il portone, uscire di casa, incamminarsi per le incombenze di ogni giorno.
Per qualche istante mi sono ritrovata a ripensare alla diversa tragica quotidianità di quei tempi cupi.
Qui visse un uomo che alla sua casa non ritornò: Italo Vitale, questa pietra d’inciampo è in sua memoria.

Riflettere, pensare, ricordare.
Non dimenticare. Mai.
In Via Bertora, traversa di Via Assarotti, troverete alcune pietre d’inciampo che ci parlano dei membri di una famiglia e delle loro vite spezzate.
Dovrete recarvi là, davanti alla Sinagoga.

Lì a lato c’è un cippo in memoria del Rabbino Riccardo Pacifici.

E proprio davanti ci sono quattro targhe: quattro cuori, quattro anime.
Questa è la famiglia del custode del tempio Albino Polacco, accanto al suo nome si leggono i nomi di sua moglie Linda e dei loro bambini Roberto e Carlo che avevano sei e cinque anni.

Andiamo infine in Salita San Francesco, al civico 7, l’elegante palazzo che si erge al termine della mattonata.

Qui due pietre d’inciampo sono state poste in memoria di due sposi, Emanuele Cavaglione e Margherita Segre: il loro triste destino è così inciso nell’ottone e rimane sotto i nostri sguardi.
Queste pietre sono un monito per ognuno di noi, perché sappiamo imparare dal passato custodendo le storie e i nomi di coloro che furono trascinati via dalle loro case e uccisi.
Queste sono le pietre d’inciampo nelle vie di Genova.
Per non dimenticare, mai.

Scendendo in Salita San Francesco

Continuo a portarvi con me nelle mie camminate genovesi, lungo le nostra amate e bellissime creuze che conosco a memoria.
E ripartiamo insieme da Salita alla Spianata di Castelletto, ne abbiamo percorso insieme un lungo tratto, in questo post.
E ancora sì scende per questa creuza che così si snoda tra le case.

Passo dopo passo lasciandosi alle spalle le facciate dai colori vivaci e un ritaglio di cielo blu.

E la via diviene sempre più ampia.

L’elegante palazzo che si nota sulla sinistra è l’edificio di Salita San Francesco dove si trova la casa che ospitò il poeta Paul Valéry che qui visse La Nuit de Gênes, la notte di Genova, un’esperienza per lui fondamentale.

E ancora ecco luce e ombra di Salita San Francesco.

Questa ripida mattonata regala una magnifica prospettiva su Via ai Quattro Canti di San Francesco, un caruggio che ne è la naturale prosecuzione.
Ed è una magia di luce, colori ed altezze vertiginose.

Salita San Francesco termina con una scalinata che sbuca in Piazza della Meridiana, proprio all’inizio della nostra elegante Strada Nuova.

E prima di arrivare laggiù si oltrepassa il portone di Palazzo della Meridiana, con le bandiere della Superba che sventolano sulla creuza, sotto uno squarcio di azzurro in questa luce di ocra e di mattoni rossi in Salita San Francesco.

Nella casa che ospitò un celebre poeta

A volte accadono cose molte belle in maniera del tutto inaspettata.
Io guardo Genova con il desiderio di conoscere la storia di ogni sua pietra, io entrerei in ogni portone e salirei su ogni terrazzino.
Ed io sono passata spesso sotto ad un certo edificio sul quale è affissa una lapide di marmo in memoria di un celebre poeta che in anni lontani soggiornò qui.
Si può solo alzare lo sguardo e giocare con l’immaginazione, pensare a lui, credere di poterlo vedere affacciato a una di quelle finestre.
E poi un giorno accade una cosa molto bella, inattesa e sorprendente.
Ricevo una mail da una persona che non conosco, ricevo un invito a visitare la casa nella quale lei abita, una dimora privata non accessibile a chiunque.
E un tempo qui visse la famiglia Cabella. Forse non vi dice nulla questo nome?
In un giorno del 1892 in  quell’appartamento giunse il nipote ventunenne di Gaetano e Vittoria Cabella, non era la prima volta che visitava Genova.
Il giovane è di madre italiana e di padre corso, il suo nome è Paul Valéry.

Targa (2)

E così mi trovo in quella casa in Salita San Francesco, nelle stanze dove un tempo rimbombò il suono dei passi del poeta, nelle stanze dove Valéry visse La nuit de Gênes, la notte di Genova, che suscitò in lui una profonda crisi esistenziale, di quell’evento vi ho già parlato in questo articolo.

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Valéry e Genova, tante volte la mia città ricorre nelle sue parole, Genova e la sua vera anima.
Valéry e questa casa, una sorprendente meraviglia per diverse ragioni.
Entriamo piano, con il dovuto rispetto per chi mi apre le porte di casa sua.
Una dimora ottocentesca, sale splendenti, soffitti che resteresti ad ammirare per lungo tempo.

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E ci si perde a guardare la raffinatezza degli stucchi.

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Stanza dopo stanza, guarda su.

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E poi, specchiere.
E riluce e brilla lo splendore di questo salone in questi specchi antichi, si crea uno stupefacente e scenografico effetto prospettico, guardi, osservi e non vedi la fine della stanza, si perde laggiù, in quello specchio.

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E sovrapporta e piccoli putti graziosi.

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Li vedete anch’essi riflessi nello specchio.

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E vi circonda una dolce armonia.

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E si spande nell’aria il profumo delle rose bianche appena dischiuse.

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Le sorprendenti case di Genova, la città che non finisce di stupire mai.

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E poi ancora, guarda su.

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E certo non basta avere una casa così, per poterla valorizzare occorre anche gusto raffinato e vero amore per la bellezza,  ai proprietari certo non mancano.
Una deliziosa, chiara bomboniera.

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E sbocciano delicati mazzi di fiori.

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E le porte chiuse si spalancano su altre meraviglie.

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E al muro c’è uno strappo sulla tappezzeria, come mai?

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La padrona di casa mi racconta che questo edificio  venne colpito durante il bombardamento navale del ’41 e poi apre una cristalliera e posa sul tavolo una scheggia di una bomba che era appunto conficcata in quel muro.

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E ancora specchi luminosi e chiari.

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Nella casa che ospitò Paul Valéry guizzava il fuoco in questo camino.

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E anche la cucina è in parte rimasta come allora, che stupore!

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E poi si sale su per una scala e si va a vedere la stanza nella quale dormì Paul Valéry, è una camera raccolta e silenziosa, quella notte però il fragore del temporale fece sussultare l’animo del poeta.
Qui, davanti a questa finestra.

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Apri e guarda fuori, immagina quel clangore e il suono della pioggia.
Qui, davanti a questa finestra.

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E poi, da altre finestre, Genova è davanti a voi.
Laggiù la Torre degli Embriaci e poi campanili e tetti e ardesie e terrazzi.
Genova, la città amata da Paul Valéry, a lei dedicò queste parole.

Genova città di gatti. Angoli Neri.
Si assiste alla sua ininterrotta costruzione dal tredicesimo al ventesimo secolo.

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Il profilo di luoghi noti.
Casa, casa mia e una luce rarefatta di un giornata dal cielo a tratti coperto di nuvole.

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Casa, casa mia, dove d’improvviso, quando non te lo aspetti, arriva il sereno.
E conta gli abbaini sopra ai tetti spioventi.

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E ancora la prospettiva tra Palazzo Bianco e Palazzo della Meridiana.

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La mia città nelle parole di Paul Valéry.

Io preferisco Genova a tutte le città in cui ho abitato. Mi ci sento sperduto e a casa mia – fanciullo e straniero.

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E si intravede imperiosa tra quei tetti la Torre Grimaldina.

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E ancora guardi, osservi, Genova dall’alto è la meraviglia che non ti aspetti, cambi punto di osservazione e lei muta, ti mostra ciò che di lei non avevi mai veduto in questa maniera.
Finestre sui caruggi, case, tetti e mare.

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Genova è una cava d’ardesia, scriveva Paul Valéry.

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La persona che mi ha aperto la porta della sua casa ha compiuto un gesto generoso animata da un sincero desiderio di condividere tanta bellezza e  a lei va il mio ringraziamento per avermi permesso di vedere tutto ciò, sono regali preziosi questi.
In cielo sfrecciavano i gabbiani, planando nel cielo della sera, la sera di Genova.

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E ancora uno sguardo verso la città in una cornice unica e affascinante, uno sguardo oltre il davanzale, dalla casa che ospitò Paul Valéry.

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5 Ottobre 1892, la Nuit de Gênes di Paul Valéry

E’ autunno, una notte d’autunno con un tempo inclemente e piovoso, una di quelle notti nella quali infuria, impietoso, il temporale e i lampi squarciano il buio del cielo, illuminando l’oscurità.
Notte di pioggia, potente e forte.
Notte di paura, di terrore, di emozioni grandi ed immense, di moti dell’animo capaci di mutare per sempre una vita.
E tutto accade qui, in questo palazzo, al civico 7 di Salita San Francesco, la mattonata che da Piazza della Meridiana sale verso Castelletto.

Ospite di parenti, in quella casa, si trova il poeta francese Paul Valéry.
Valéry è giovane, ha appena ventun’anni quando si trova a vivere questa esperienza che segnerà il suo futuro.
Non è un caso che il poeta si trovi nella Superba; sua madre, infatti, è genovese e lui, nella sua infanzia, ha trascorso molte delle sue estati nella nostra città.
Valéry conosce bene Genova e la descriverà come anche noi possiamo vederla, come noi la sentiamo, nella vertigine delle sue salite trafitte dalla tramontana.

Questa città, tutta visibile e presente a se stessa, rifilata con il suo mare, la sua roccia, la sua ardesia, i suoi mattoni, i suoi marmi. In lavorio continuo contro la montagna.

E poi i caruggi, con il suo popolo di donne e bambini, così scrive Valéry: si cammina nella vita complicata di questi profondi sentieri come si entrerebbe nel mare.
E gli odori, i profumi, ve li fa sentire tutti il poeta francese, il formaggio e il caffé, il cacao e le spezie.
Gli odori di una città che per lui è cava d’ardesia.
Una città che in una notte d’autunno flagellata dalla pioggia cambierà il destino di Paul Valéry.
E’ la notte del 5 Ottobre del 1892.
Il temporale, i suoni, la potenza dell’acqua, la prepotenza della luce dei fulmini che filtra nella stanza, notte tremenda ed insonne, notte di sussulti.
Quando si ha una sensibilità fuori dal comune, quando si è altro, rispetto alla banalità di molti, un simile vissuto lascia una traccia profonda nell’animo.
Paul Valéry, intellettuale, filosofo e poeta attribuì a quella notte e alla potenza di quel temporale la sua ferma decisione di raffrontarsi in maniera diversa con il suo mondo poetico allontanandosi da esso e abbandonando la poesia per lungo tempo per  votare la propria esistenza al culto dell’intelletto.
E nel suo ricordo di quell’esperienza, nelle parole che Paul Valéry scrive, si legge una sorta di rivoluzione interiore, totale e definitiva.

Temporale spaventoso questa notte. L’ho passata seduto sul mio letto.
Abbagliante per ogni lampo, tutto il mio destino si giocava nella mia testa. Io sono tra me e me sofferto enormemente. Ma io voglio disprezzare tutto ciò che passa dentro le tempie.
Stato insopportabile. Stato critico. Stato di trasformazione. Può essere effetto di questa tensione e di questi scoppi improvvisi.

Quella notte che lui definisce spaventosa ed infinita svelò al poeta quale fosse il suo destino e Valéry così scriverà.

Voglio ricordarti che tutta la mia vita intellettuale è dominata dall’evento del 1892.

Sul palazzo in Salita San Francesco, in alto è posizionata una lapide, a memoria di quanto accaduto in quelle terribili ore buie, la Nuit de Gênes di Paul Valéry.