Il mare in versi

Le ho vedute per caso, sono scritte per terra e sono poesie che raccontano il mare.
Sono versi di celebri poeti, sono rime che profumano di salmastro, risuonano come onde o come lente maree a noi che distratti camminiamo in queste strade davanti a questo mare.
Tre.
Ne ho vedute solo tre.
E so, tuttavia, che ne sono state viste altre nelle vie della città della Lanterna.
Lettere bianche, i verbi, i suoni, il senso di questa bellezza assoluta, i versi di Ungaretti.

Camminare, leggere, pensare.
E soltanto trovarsi davanti questa armonia.
Le parole intense e la languida malinconia di Camillo Sbarbaro, nostro amato poeta.

Sotto a queste poesie si legge un hashtag e si legge anche che questo è un messaggio ecosostenibile e temporaneo: la bellezza è spesso così, effimera e fugace.
Le poesie scritte per terra preannunciano un evento curato e promosso dall’Università di Genova che si terrà al Porto Antico dal 16 al 18 Maggio, il Festival del Mare offre prospettive diverse e spunti di riflessione legati alla tematica del mare, sono previsti laboratori, conferenze, spettacoli e mostre, qui trovate il programma completo della manifestazione.
E camminando per le strade di Genova prestate attenzione, potreste trovare il suono potente e ritmato di una poesia di Quasimodo, è il mare in versi come evanescente spuma marina che fragile si disfa davanti ai vostri piedi.

Tra mare e nuvole

Tra il mare e le nuvole c’è una linea perfetta che si staglia contro l’orizzonte.
È per noi un disegno inconfondibile quello della ringhiera della passeggiata di Nervi, con le sue curve sinuose oltre le quali a volte risuonano onde fragorose.
Ed è un’armonia, una bellezza consueta che amiamo sempre ritrovare, con il suo fascino per noi immutato.
Ieri sono stata ancora sulla passeggiata Anita Garibaldi e tra mare e cielo lente sono arrivate certe nuvole pigre ed evanescenti.
E sono rimaste, immobili e sospese, senza vento, lasciando filtrare appena la luce del sole che si posava sul mare calmo.
Questo quadro di febbraio mi ha rammentato i versi di un poeta molto amato, cantore della nostra Liguria.
È l’incipit di una sua poesia, ha le suggestioni di una diversa stagione, calda e luminosa, ha uno sfavillio inquieto e intermittente.
Come quando il sole attraversa le nuvole e brilla d’argento l’acqua del mare.

La trama delle lucciole ricordi
sul mar di Nervi, mia dolcezza prima?

Camillo Sbarbaro

La strada di casa di Camillo Sbarbaro

La strada di casa del poeta Camillo Sbarbaro è da lui ricordata in certe sue pagine intense pubblicate in Trucioli 1941 per Elena edito da San Marco dei Giustiniani.
E inizia così quella memoria, con un viaggio: il tram numero 21 giunge in Piazza Manin con il suo carico di passeggeri per poi scendere giù lungo la tortuosa e ripida Via Montaldo, questa è la strada di casa di Sbarbaro.

“La via che faccio e rifaccio quotidianamente con andatura di bestia rassegnata.
Quartiere fuori centro; dove si dà del lei alla portinaia per esserne ricambiati.”

Ed è difficile immaginare quella via veduta da Sbarbaro, egli racconta un mondo che non è più e lo mostra a noi con la forza evocativa delle sue parole.
Ha toni lividi la verdura offerta da una certa fruttivendola, occhi di fanciulla sbirciano da dietro una persiana, due uomini se ne escono da una rivendita di vino.
A tratti è tetra e desolante, a tratti ce la mostra tanto amata proprio per certe sue rare semplicità come un vaso da poco valore decorato con conchiglie marine oppure come quei fiori che sbocciano diversi ad ogni nuova stagione in una casa della via.
Cose di nessun conto e tuttavia immensamente belle, oserei dire.
E poi erbe selvatiche che invadono un giardino, i tavoli vuoti di un’osteria ormai chiusa, le foglie cadute sulla strada.
Ed è un racconto di inquietudini e di variegati moti dell’animo, cercate queste pagine in Trucioli, troverete la memoria di Sbarbaro.
Qui egli visse, al civico 13, qui egli usava scendere seguendo le curve sinuose di Via Montaldo.

E a sera, egli racconta, la valle si accende di luci sfavillanti che squarciano la scura tenebra.
Trascrivo per voi le sue parole, così il poeta ricorda la strada di casa nei suoi lucenti bagliori notturni.

“È un cielo rispecchiato nel buio d’una vasca, un firmamento capovolto.

Dalla ringhiera mi spenzolo a figgere gli occhi in basso dove accampano le masse cubiche delle case, stilettate dai fanali verdognoli. E a momenti mi capita, per la commozione, di giungere le mani quasi a render grazia d’esser nato.

Così anche dalla strada di casa cavo un poco di gioia – come dalla vita, a forza di strizzare.”

Camillo Sbarbaro – Trucioli 1941 per Elena

Le vicende di Ponte Pila

C’era un tempo il Ponte Pila, il ponte che non esiste più si trovava su quella parte del Bisagno ora coperta da un’ampia strada: l’acqua fluiva e separava l’attuale Corso Buenos Aires da Via Cadorna, in quel tratto c’era il Ponte Pila.
Come sempre ne scrive con precisione il solito fidato Amedeo Pescio e narra che nei secoli venne più volte ricostruito non sempre nel medesimo punto.
Narra anche che poi venne denominato Ponte Pila quello che era noto come il Ponte di Santa Zita in quanto Borgo Pila comprendeva anche la zona circostante la chiesa di Santa Zita.
Il ponte, scrive Pescio, subì nei secoli diverse rovine, nel 1780 crollò e così quelli che stavano al di là del Bisagno dovettero servirsi di piccole barche per raggiungere Genova.
E poi ancora, fu sempre la piena del Bisagno a travolgere il ponte e a causarne la distruzione alla fine del ‘700 e nel 1822.
Venne nuovamente ricostruito, era fondamentale per le zone del levante.

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Poi giunse il nuovo secolo con nuove esigenze, alla fine degli anni ‘20 si ultimò la copertura del Bisagno e così il ponte svanì dalla prospettiva di Genova.
Tuttavia non tutte le sue parti sono andate perdute, le ringhiere e i lampioni disegnati da Gino Coppedè hanno avuto una nuova destinazione.
Sono stati infatti collocati sempre sul Bisagno, sul ponte dedicato allo scultore Giulio Monteverde di fronte all’ingresso principale del Cimitero Monumentale di Staglieno.

Questi lampioni sono per me dei veri capolavori.

E ad essere sincera a volte mi sembra che in questa epoca non sia così comune progettare bellezze armoniche e così perfette, forse sbaglio, forse è solo il mio gusto personale.

Lo stesso vale per le ringhiere con i loro raffinati decori, io le trovo davvero belle.

Genova ottocentesca ancora ci circonda con le sue architetture.

Osserviamo il passato e il presente, troveremo delle differenze e qui ringrazio i miei amici Eugenio Terzo e Giancarlo Moreschi per il cortese prestito delle splendide immagini antiche.
Là sorgeva il Ponte Pila attraversato da carri con le ruote cigolanti, qualcuno andava di fretta, altri si fermavano pigramente davanti alla ringhiera ad osservare il panorama.
Cosa si nota sullo sfondo?
La stazione Brignole e dietro di essa la bella villa dell’Ingegner Cesare Gamba, oltre ancora la città che si arrampica sulle alture.

E cosa si nota in primo piano?
Osservate bene l’immagine antica: ai nostri tempi le lampade sono ospitate in dei globi, all’epoca invece quella parte del lampione era ben diversa.
E sebbene gli attuali non mi dispiacciano, penso che sarebbe sempre meglio rispettare il progetto originale, è solo la mia modesta opinione naturalmente.

Decori, teste leonine, un lavoro molto raffinato.

E una luce che si accende sul tempo svanito.

A volte non si notato i dettagli, a volte i dettagli si perdono nella visione d’insieme e non facciamo caso a ciò che invece dovremmo vedere.

Questo ponte è collocato in una zona piuttosto trafficata e naturalmente lo si attraversa, tuttavia è cambiata la nostra maniera di vivere la città, è mutato il nostro modo di percorrerla e di sentirla.
Il tempo scorre veloce, il progresso cambia le nostre abitudini e noi ci adeguiamo ad esso, è anche normale che sia così.

Noi però cerchiamo qualcuno che sappia condurci in quell’altro tempo, qualcuno capace di narrare e di mostrare ai nostri occhi increduli ciò che non ci è stato concesso di vedere.
Ed è quasi sera, sul Ponte Pila.
C’è un uomo che osserva, non rimarrà sconosciuto.
La prospettiva non è poi tanto mutata ma c’è una differenza: lui guarda Genova dal Ponte Pila, da quel ponte che noi non possiamo percorrere.
Ed è cambiato anche il ritmo delle nostre esistenze, ora è più frenetico e veloce.
Rimbombano i passi sul ponte, è la vita che scorre tra pensieri, incombenze del quotidiano, progetto forse irrealizzabili.
Camminiamo tra la folla di genovesi che attraversa il Ponte Pila.
C’è una signora elegante, si ripara dal sole con un ombrellino chiaro, c’è anche una giovane fanciulla, si volta indietro a guardare.
Posiamo la mano sulla ringhiera, come farebbe lei.

Ed è estate.
C’è un uomo che osserva, non rimarrà sconosciuto, è un poeta, il suo nome è Camillo Sbarbaro.
Ed è lui a portarci là, a guardare il tramonto in una calda e languida sera genovese.

“D’estate si assiste da Ponte Pila al più superbo avvento della notte.
Bisogna attendere, volti al cuore di Genova, all’ora che la riga di rossi vapori all’orizzonte o la fulva mole della nuvola sospesa, che compendiano il tramonto in città, principiano a perdere il loro lume.
Già la prima sera lagrima oro; sbiadito oro di lampioni a gas che l’uomo della pertica va accendendo per Via dell’Edera, tra le aiuole di Piazza Brignole…
I palazzi ghermiti dall’ombra incupiscono le facciate. Il cielo diventa di stagnola.
Quand’ecco fuoco s’appicca da un capo all’altro: tramuta in braciere, lassù, Piazza De Ferrari, in pozzi di luce le strade.
Scampano dal fuoco, tintinnando, coronati di tizzi i carri elettrici: e la folla che si riversa ha negli occhi o nelle chiome impigliata qualche scintilla dell’allegro incendio.”

Camillo Sbarbaro da La Gazzetta di Genova
tratto da Ma se ghe penso…
Realizzazione Grafica Artigiana 1972

Nel cortile del Liceo Classico Colombo

Ditemi, siete mai più tornati nel vostro liceo?
Certo, quelli tra voi che hanno figli adolescenti magari avranno avuto modo di ritornare nella loro scuola in veste di genitori, io non andavo al Colombo dai tempi della maturità.
E trovarmi di nuovo nella mia scuola è stato un bellissimo turbine di emozioni, mi è venuto spontaneo voltarmi indietro per vedere se c’erano i miei compagni.
E c’erano eccome, tutti.

Liceo Colombo (2)

Salivamo le scale e ci accoglievano i versi che ogni studente del Colombo rammenta a memoria: sol nella libertà l’anima è intera.
Adesso si entra da un’altra parte e così quei gradini non ho potuto salirli e neanche vedere la famosa lapide.
Toh, guarda, da una di quelle finestre ricordo di aver lanciato le penne e le matite della mia compagna di banco, povera Rita!

Liceo Colombo (3)

E dunque, eccomi nel cortile della mia scuola.
Muretto, chiacchiere e il prode Cristoforo seduto e pensoso.

Liceo Colombo (4)

E a proposito di nostalgia ovviamente io ho conservato anche l’annuario della scuola, che ve lo dico a fare!

Liceo Colombo (5)

Il porticato, il posto dei quadri, tutto sembra davvero immutato.

Liceo Colombo (5a)

C’è qualche novità, ci sono le lapidi in memoria degli studenti illustri.

Liceo Colombo (6)

Ed una ricorda uno stimato professore.

Liceo Colombo (7)

Al liceo Colombo studiò anche un uomo perbene che tutti voi conoscete.

Liceo Colombo (8)

La foto di classe, ricordate?
Noi la facevamo qui.
Una prima fila di studenti accucciati, gli altri dietro, in piedi.
Sorridi.
E hai un ricordo dei tuoi anni di scuola.
Si fa ancora la foto di classe?
Non ditemelo, non voglio saperlo.

Liceo Colombo (10)

Pochi passi, apro la porta.
Naturalmente i professori pensano che io sia la mamma di uno studente venuta a chiedere conto di qualche votaccio.
Eh no, io sono qui per altre ragioni!
Salgo anche al piano di sopra, vado davanti alla mia classe, sento la voce cristallina di un’insegnante.
Emozione!
E ridiscendo ancora, nel corridoio.
E tutto è rimasto come allora.

Liceo Colombo (9)

E sì, alcune lapidi c’erano già a quei tempi anche se all’epoca proprio non ci facevo caso.

Liceo Colombo (11)

E ancora si scorrono le pagine del passato, in questa scuola passò un celebrato poeta.

Liceo Colombo (12)

E un artista molto apprezzato per le sue opere variopinte.

Liceo Colombo (13)

E frequentò il Liceo Colombo colui che diede voce all’anima di questa città con note e parole, anche lui è uno dei nostri poeti.

Liceo Colombo (14)

La porta dell’Aula Magna è socchiusa e come potrei non sbirciare?
I banchi, la lavagna, il cancellino e il gesso che ci impolverava le mani.
E quanto erano pesanti quei vocabolari.
E anche se avevi 4 di greco non importa, hai imparato molto comunque, a parte gli aoristi.
Memorie scritte per sempre.

Liceo Colombo (15)

E ancora, la biblioteca è stata intitolata a uno stimato docente di latino e greco, ai tempi molto temuto, non è stato tra i miei insegnanti ma di lui mi ricordo molto bene.

Liceo Colombo (16)

E poi il tempo passa e le cose cambiano, ho visto una macchinetta per le bevande e le merendine.
Eh no, noi studenti degli anni ’80 compravamo la striscia di focaccia dai bidelli, quella era la nostra splendida ricreazione!
Ecco, la si prendeva qui, presso questo tavolo.

Liceo Colombo (17)

Non tornavo qui da quei tempi.
E per un attimo ho avuto il timore di trovarmi davanti la prof di matematica e fisica.
Sarà meglio andare, non vorrei che mi interrogassero sulla forza di Coriolis e sulle leggi della termodinamica, quella roba non è mai stata nelle mie corde e tuttora è così!
E da un momento all’altro potrebbe suonare la campanella!

Liceo Colombo (18)

Attraverso il cortile, sotto il cielo azzurro.
Mi siedo a cavalcioni sul muretto e penso.
Penso che niente si perde.
Tutto resta, da qualche parte, in qualche modo.
E tu sei sempre tu, anche se è trascorso tanto tempo.

Liceo Colombo (19)

E sei ciò sei anche grazie a quei giorni di scuola e alle fatiche dello studio, agli amici ritrovati e a quelli che sono sempre rimasti.
E pure grazie ad Euripide, Kant e Platone, anche se allora non ti sembravano tanto comprensibili.
E sei ciò che sei anche se quella volta ti hanno dato un certo voto e ne meritavi uno più alto, anche se la tua pagella non era immacolata e non eri proprio uno studente modello.
Tutto resta, da qualche parte, in qualche modo.
Ciao Colombo, nulla si perde.

Liceo Colombo (20)

Da Corso Firenze all’Ascensore di Castelletto, ieri e oggi

Il tempo passa, mutano i luoghi del nostro quotidiano, eppure certe strade restano riconoscibili.
Vi porto per le vie del mio quartiere, ora inizia la bella stagione e con essa il tempo delle serate luminose e tiepide, inizia il periodo delle passeggiate a Spianata Castelletto con la coppetta di granita tra le mani.
Io vi raggiungerei a piedi, ci metto davvero poco, scendo giù da Corso Firenze.
Ehi, ma che fanno quei due signori fermi lì sulla curva?
Non penseranno mica di attraversare, vero?

Corso Firenze 1

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Per carità, ci sono le macchine!
Con cautela, andiamo a cercare le strisce pedonali.

Corso Firenze 2

E’ una camminata piacevole, non c’è che dire, pochi passi e ci troviamo in una zona spesso frequentata da mamme con i loro bambini.

Corso Firenze 3

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

E come dicevo, il tempo passa.
E gli alberi crescono rigogliosi e ricchi di foglie, con gli anni si costruiscono nuovi palazzi sulle dolci colline di Genova.

Corso Firenze 4

E scendiamo, avviciniamoci alla Spianata.
Oh, ma guarda!
Si incontrano persone che hanno un certo stile, non trovate anche voi?
E volendo si potrebbe anche prendere il tram, sta passando il glorioso 25!

Corso Firenze 5

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Eh, anche i numeri non son più quelli di una volta, accontentiamoci del 36.
E se proprio volete saperlo il fatto che nella foto sottostante si veda l’autobus non è per niente casuale, ho aspettato che passasse per poter avere la stessa veduta ritratta nella cartolina antica.
La ringhiera è sempre quella di un tempo, peccato che non ci sia quell’elegante signore con il cappello, converserei volentieri con lui.

Corso Firenze 6

E poi, uno sguardo verso le alture, si distingue chiaramente la sagoma suggestiva di Castello Bruzzo.

Corso Firenze 7

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Là in mezzo, da qualche parte, è sorta anche casa mia e anche molti altri edifici che all’inizio del secolo scorso ancora non c’erano.

Corso Firenze 8

Ci siamo quasi, manca davvero poco, a breve giungeremo nella scenografica Spianata Castelletto, da dove si gode il panorama dei tetti e del mare di Genova.
Ci resta ancora da percorrere la parte finale di Corso Firenze, questa strada così deserta non l’ho proprio mai vista.
E ci sono pure gli alberi anche in quest’ultimo tratto!

Corso Firenze 9

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Eh, le cose cambiano!

Corso Firenze 10

Per fortuna però abbiamo ancora la nostra bella Spianata e davvero da lì si gode di una vista mozzafiato sulle bellezze di Genova.

Genova
E credo sia utile fornirvi qualche indicazione su come raggiungere la Spianata: come tutti i genovesi sanno, se volete arrivare qui e venite dal centro vi consiglio di prendere l’ascensore amato e decantato anche dal poeta Giorgio Caproni.

Spianata Castelletto

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Sospesa sull’azzurro e sulla città dei tetti.

Ascensore di Castelletto (3)

E questo è l’ascensore visto dal terrazzo di Palazzo Spinola di Pellicceria.

Ascensore da Palazzo Spinola

E che splendida prospettiva se si osserva l’ascensore e la Spianata da Villetta Di Negro!

Villetta Di Negro (31)

L’ascensore è davvero il mezzo più rapido e comodo che ci sia, non sono l’unica a dirlo, così recita la pubblicità della Società Anonima Lifts, esercente del suddetto ascensore e di altri impianti della città, ho trovato l’ immagine che segue  tra le pagine della mia Guida Pagano del 1926.
E voi visitatori sarete contenti di sapere che la galleria di accesso è illuminata sfarzosamente.
E il prezzo della corsa? Ma guarda un po’, venti centesimi a salire, quindici a scendere.

Ascensore di Castelletto

E poi lassù, sull’ascensore, c’è un caffè molto in voga, il Caffè Spertino.
E forse a quei tavoli si sarà seduto quel giovane elegante che abbiamo visto scendere da Corso Firenze, vi ricordate?
La Spianata è da sempre uno dei luoghi prediletti dai genovesi, quel locale era meta di poeti e intellettuali.
Le belle immagini in bianco e nero che avete veduto appartengono alla mirabile collezione di cartoline del mio amico Eugenio, lui mi ha raccontato che il Caffè Spertino si trovava sul terrazzo situato sopra la gabbia dell’ascensore.
Venne qui anche un celebre poeta ligure, Camillo Sbarbaro.
Guardò verso la distesa turchese del mare e verso i tetti d’ardesia che si sfiorano creando infinite geometrie.
E scrisse queste parole che narrano di un’attesa che ognuno di noi conosce.

Quassù il caffè Spertino, gabbia di vetro che il tramonto fondeva, pare adesso di madreperla. Dentro vi affiora e risprofonda l’ascensore in un silenzio irreale.
Uscendone, una donna mi sfiora.
A questo balcone spalancato su Genova si potrebbe, un’ora come questa, aspettare l’Amore.

Camillo Sbarbaro – Vedute di Genova, 1921

Genova

Scale di Zena

La città in salita.
Scale e gradini, in ogni angolo della città vecchia.
Salgo scale consunte da generazioni, come scrisse Camillo Sbarbaro.

Scale che portano alla chiesa di San Carlo, forse nei luoghi di pianura non capita, ma noi siamo qui, tra le colline e il mare.
Ai piedi delle scale.

Dalle scale misteriose
C’è chi scende brancolando

E queste sono parole di Dino Campana.
Le scale, le creuze.
E in quell’oscurità, al termine di Vico delle Monachette, si arriva in Via Prè.

E poco distante, si salgono certi gradini che vi condurranno al di là dell’archivolto.

Sono scale di caruggi queste.
Altrove, sulle alture della città dalle quali si vede il mare, ancora si sale.
E sarà che io amo la poesia, sarà che ricerco sempre altrove lo specchio del mio sguardo e a volte lo trovo.
Nei versi e nelle rime di Giorgio Caproni sempre.

Genova città pulita.
Brezza e luce in salita.
Genova verticale,
vertigine, aria scale.

Io amo il sole, ma anche la penombra.
Le vedute aperte, con un orizzonte senza fine e i caruggi stretti dove non puoi neanche spalancare le braccia,  intanto finiresti per toccare il muro.
Amo gli archetti, tra uno e l’altro si può persino vedere il cielo.

La scala, i gradini, l’edicola vuota.
E non posso farvi sentire l’aria salmastra, ma qui si sente l’odore del mare.
Forse alcuni troveranno certi scorci un po’ decadenti, io li vedo vissuti, carichi di ricordi, di gocce di pioggia, di sole che batte, di stagioni che scorrono, anno dopo anno.

Alcune scale di Genova sono come certe sfide, infinite, ripide e impervie.

E no, non potete venire qui ed evitarle, questa è la città delle scale.

Alcune sono tortuose, si inerpicano lassù, tra i palazzi.

Altre sono brevi e poco impegnative, perfette per lasciare la bicicletta assicurata alla ringhiera.

Altre ancora, in certi orari, sono protette da pesanti cancelli.

Tutte conducono a un luogo diverso, tutte conducono al medesimo luogo, il cuore di Genova, questa città in salita.