Questa è una storia complicata, posso raccontarvela per una serie di strane coincidenze e grazie ad un fortuito incontro.
Tutto iniziò qualche tempo fa in occasione di un post dedicato a uno struggente monumento che si trova a Staglieno, la statua ritrae due bimbi e un tenero bacio.

Allora, scrissi al mio caro amico Eugenio per chiedergli notizie sull’opera e sul suo autore, Giacinto Pasciuti.
E così Eugenio mi narrò la vicenda di questo artista nato al Carmine nel 1876, era uno scultore di grande talento che non ebbe la meritata fortuna.
Pasciuti studiò all’Accademia Ligustica e a 23 anni, grazie al suo ingegno, si vide assegnare il Pensionato della Fondazione Brignole Sale De Ferrari e così si recò a Roma dove raffinò le sue doti artistiche.
Là incontrò la sua futura moglie, da lei ebbe una figlia che a 28 anni divenne suora.
Nel 1939 la disgrazia lo colpì, rimase paralizzato e perse l’uso della parola, fu ricoverato all’Albergo dei Poveri dove morì nel 1941.
Il destino sa essere crudele: l’autore di diversi mirabili monumenti fu sepolto in un campo comune e nel 1948 i suoi resti finirono dispersi in un ossario comune.
Eugenio conosce ogni angolo di Staglieno e mi ha inviato un elenco delle opere di Pasciuti, non le ho neanche trovate tutte, a dire il vero.
E tuttavia ho scoperto che è sua questa figura di donna scolpita per la tomba De Pascale.

Ed è di Giacinto Pasciuti il monumento Cabella, cercando le opere di questo artista ho imparato a riconoscere tratti particolari, a ritrovare nei suoi lavori quel movimento che contraddistingue in qualche modo il suo stile.

Figure eteree unite in un gesto drammatico, è ancora di Pasciuti il gruppo statuario della tomba Medica.

L’unica opera che ricordavo di conoscere con precisione è il monumento Rebora e così un giorno sono tornata a fotografarlo.
E qui, cari amici, mi è capitato un fortunato incontro.
Davanti alla tomba di famiglia c’era il Signor Sergio Rebora, così ci siamo soffermati a chiacchierare e lui mi ha suggerito di cercare le altre tombe dei suoi antenati, anch’esse sono opera di Pasciuti.
E poi si è offerto di inviarmi notizie e fotografie del passato, una persona che non conosco ha voluto condividere con me e con voi la storia della sua famiglia.
Eccolo qui il caso, una storia ignota che viene alla luce in modo imprevisto, davanti a quest’opera di Giacinto Pasciuti.

E allora inizierò così, presentandovi il Signor Andrea Rebora e la sua gentile consorte Carlotta Bruno.
Andrea Rebora era titolare di un pastificio che dapprima aveva la sua sede ad Isoverde, venne poi trasferito a Sampierdarena in Via Sant’Antonio, l’attuale Via Niccolò Daste.

Vi ho detto che questa è una vicenda di singolari coincidenze: io possiedo un elenco del telefono del 1923 e sul quel libretto il suo antico proprietario ha segnato con la matita azzurra proprio il pastificio Rebora.

Andrea e Carlotta ebbero una famiglia numerosa, in casa Rebora nacquero quattro maschi che vennero chiamati Giuseppe, Augusto, Luigi e Salvatore, le tre femmine invece erano Clotilde, Maria e Adriana.
Nel 1892 Andrea decise di concedersi il meritato riposo e cedette il pastificio ai figli Augusto e Salvatore.

Augusto Rebora
Il figlio Luigi invece si trasferì a Pistoia, mi permetto di dire che mi sembra un uomo molto sicuro di sé e del suo fascino.
Eh, davanti a certe fotografie come si fa a non divagare!

E il primo monumento che voglio mostrarvi proprio quello di Andrea e Carlotta.

Il Signor Sergio mi ha anche inviato una foto preziosa di sua proprietà, questo dovrebbe essere il calco il gesso dell’opera di Pasciuti, a osservarlo con attenzione si notano alcune differenze rispetto al monumento.

Sono a loro modo inquietanti le figure scolpite da Pasciuti.

Bellissimo l’angelo, è difficile fotografarlo in quanto l’esposizione non aiuta ma se andrete a cercarlo, nel Porticato Inferiore a Levante, lo potrete ammirare con i vostri occhi.

Il bisnonno di Sergio si chiamava invece Giuseppe, lui avviò e condusse con successo lo stabilimento di Piacenza.
E come ci andava fin laggiù? Ma con il treno, ovvio!
Aveva un abbonamento di seconda classe valido per tutta la rete nazionale del Regno d’Italia!


Giuseppe Rebora e la sua famiglia riposano in questa tomba sovrastata da una figura dolente nata dalle abili mani di Giacinto Pasciuti.
L’immagine antica è una cartolina sempre di proprietà di Sergio Rebora.


E se andrete a Staglieno anche voi vedrete il viso della moglie di Giuseppe, Antonietta Stagno.
Sapete? Lei discendeva dall’eroico Lazzaro Stagno, audace uomo di mare che osò sfidare i pirati nel 1796, ho scritto la sua storia in questo articolo.
Era bella Antonietta, aveva tratti gentili e delicati.

Chissà come mai i Rebora scelsero proprio Pasciuti come scultore dei monumenti di famiglia, ci sarà una ragione, no?
Dovete sapere che Adriana Rebora aveva sposato il Dottor Trovati.
Ecco una foto di famiglia, un momento gioioso e speciale: correva l’anno 1900 e si festeggiava il congedo da scuola della dolce signorina con l’abito chiaro, lei ha lineamenti bellissimi e si chiama Margherita, è ritratta tra Adriana Rebora e il Dottor Trovati.

Carlotta Bruno, Clotilde, Adriana e Margherita Rebora, Giuseppe Trovati, Antonietta Stagno
E sapete chi conosceva il dottore? Era amico di un certo scultore che si chiamava per l’appunto Giacinto Pasciuti, il medico aveva il suo studio in Via Polleri e il giovane artista abitava nelle vicinanze.
Così fu Trovati a presentare lo scultore ai Rebora e Pasciuti scolpì tutti i monumenti funebri di famiglia.
Ed è di Pasciuti una celebre bambina effigiata nel marmo, ho sempre amato questa statua, adesso so che questa bimba veglia sul sonno del Dottor Trovati.

E ancora, questo è un altro monumento sempre della Famiglia Rebora scolpito da Pasciuti.


E torniamo a quel primo monumento davanti al quale ho incontrato Sergio Rebora.
Qui dormono il sonno eterno gli sposi Salvatore Rebora ed Emma Bruno, il cognome di lei è legato alla storia della città, fa parte della famiglia di Emma l’architetto Niccolò Bruno, colui che progettò il Teatro Modena, il Teatro Politeama e l’Acquedotto De Ferrari Galliera.

E poi ci sono la vita e le emozioni che non possiamo conoscere, la nostra esistenza è un mistero per ognuno di noi.
Davanti c’è un cammino e tu non sai se troverai un sentiero piano, uno strapiombo o rocce impervie.
Questi sono i volti di Salvatore ed Emma, il loro sguardo è ottimisticamente rivolto verso l’ignoto futuro.

Ebbero due figli, la minore si chiamava Aurora e la vedete qui con il suo vestitino bianco, era una bellissima bambina e so che poi è divenuta una donna affascinante, Sergio mi ha detto che fu anche una pittrice dilettante.

Aurora venne al mondo nel 1902, suo fratello Andrea era poco più grande, lui era un ragazzo del ’99.
Se osservate bene il monumento vi accorgerete che è dedicato a lui e noterete che le figure scolpite da Pasciuti rappresentano due figure angeliche, tra le loro braccia riposa un giovanetto.

Andrea Rebora studiava al Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, morì improvvisamente nel sonno a poco più di 16 anni.
Accadde il 12 Gennaio del 1916.
Io ho incontrato Sergio Rebora verso la fine di dicembre, oggi è il 12 Gennaio e sono passati cent’anni da quella notte che spezzò il respiro di Andrea.
In questo racconto si intrecciano l’ampio sapere di Eugenio come sempre generosamente condiviso, la storia drammatica di uno scultore di talento e le vicende di una famiglia genovese.
Il tempo non cancella nulla, posa soltanto la sua polvere effimera sui giorni passati, sui visi e sulle vite perdute.
E ognuno ha la propria storia, ricordare significa in qualche modo sollevare quel velo e rivedere sorrisi e speranze lontane.
Ringrazio Sergio Rebora per avermi narrato le sue preziose memorie di famiglia, ha dato un volto a persone sconosciute.
E l’ultimo pensiero va ad Andrea e al suo sorriso sincero di adolescente.
Cento anni dopo, Andrea: il tempo non cancella nulla.
