Accadde laggiù, a Portoria.
Era il 5 dicembre del 1746 e un ragazzino chiamato Balilla diede il via alla rivolta contro gli invasori austriaci, lanciando contro di loro un sasso, gesto per il quale il piccolo ligure passerà alla storia.
E certo non fu il solo, le cronache narrano che la mattina successiva gli austriaci furono messi in fuga da una gragnola di sassi scagliata dalla folla furente in Piazza Fossatello.
E in quella stessa mattina, un uomo esce dalla sua casa e se ne va verso la sua bottega.
Il suo nome è Giovanni Battista Ottone, detto Giobatta, è un artigiano e ha un negozio di tappezzerie e tendaggi proprio in Campetto.
E mentre si trova nella sua bottega, davanti ai suoi occhi sfilano due austriaci, Giobatta non si fa cogliere impreparato, nel vedere che questi avevano con loro cavalli carichi di ogni ben di Dio, imbraccia uno dei suoi fucili e assicura i nemici a fidati guardiani.
Come mai un tappezziere ha delle armi?
Ne possiede in quantità, a dire il vero.
E il suo gesto coraggioso risveglia l’impeto degli altri popolani, sono in tanti a voler fare la loro parte.
E così si crea una piccola folla intorno ad Ottone che si mette a distribuire fucili agli insorti di Genova.
E sebbene Giobatta abbia le scorte queste non sono sufficienti, bisogna trovare altri rifornimenti e Giobatta sa dove dirigersi.
Sono diversi i posti in cui li scova, a seguirlo sono altri volontari, uno dei primi luoghi dove si recano è l’oratorio di Sant’Antonio Abate.
E poi ancora, di grande lena scendono dalla scalinata e raggiungono San Giacomo, lì si procurano altri fucili.
E poi ancora, al Molo.
E sì, c’erano le armi ma non le munizioni.
Così dapprima lo zelante bottegaio provvede con i suoi mezzi, lui e i suoi uomini sono in Sottoripa, Giobatta compra tutta la polvere da sparo che scova nelle botteghe della zona.
E poi il destino lo aiuta, per un caso fortunato trova un barile ricolmo di quella preziosa polvere.
E intanto l’onda della rivolta monta sempre più potente, in ogni angolo della città il popolo è in cerca di armi.
E c’è un obiettivo preciso: riprendersi la Porta di San Tommaso.
Giobatta Ottone, tappezziere di Campetto, guida il suo folto gruppo verso quella meta.
E ha una certezza incrollabile: la sua impresa si svolge sotto la protezione celeste, è Maria, la madre di Dio, ad avergli fatto trovare il barile con la polvere.
E così Giobatta e i suoi compagni si incamminano verso la porta di San Tommaso, prima però lui e i suoi uomini si fermano in una delle trattorie di Sottoripa, per essere poi in forze per i combattimenti.
Fu così che un uomo del popolo divenne uno dei capi della sommossa, insieme a lui molti altri, a scorrere i loro nomi e le loro professioni si comprende come a quel tempo un fuoco ardente animasse i genovesi.
Fra i tanti, il calzolaio Andrea Uberdò, detto lo Spagnoletto, il pescivendolo Alessandro Giobbo, il merciaio Carlo Parma.
Nei giorni successivi molte furono le epiche vicissitudini che si verificarono presso la Porta di San Tommaso, tra i molti che vi erano accorsi c’era anche Giovanni Carbone, garzone di locanda, protagonista di un episodio esemplare di quel fervore popolare che animava Genova in quei giorni, di questo evento scrissi tempo fa, lo trovate qui.
La bottega di Giovanni Battista Ottone si trovava in questo palazzo di Campetto.
Se passate da quelle parti, alzate lo sguardo, una lapide ricorda il coraggio di questo genovese, uomo del popolo che armò la sua gente contro gli invasori.
In Piazza Campetto, ai tempi di Balilla.