Da un diario genovese del passato: memorie di casa

Ritornano su queste pagine i ricordi di un altro tempo tratti  dal diario di Francesco Dufour.
Accanto alle zie, alle nonne e ai numerosi parenti ci sono anche loro: i membri della servitù.
Bambinaie e domestici, cuoche e camerieri, in qualche maniera anch’essi membri della famiglia, resi reali dalla scrittura vivace del nostro caro autore.
E i loro nomi trasportano già il lettore in un’altra epoca: Rosa, Consolina, Adelaide.
Quest’ultima era di Pisa e fu la prima balia di Francesco, lui rammenta che ogni volta che lei andava a casa sua tornava poi a Genova con un “buccellato”, un dolce tipico delle sue parti a forma di ciambella.
Oltre a ciò ecco a voi le memorie di casa di casa Dufour, questo post si concluderà con una chicca, l’ennesima perla di genovesità che mi ha strappato un sorriso.

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Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri 

Alle persone di servizio si dava del voi, loro davano del lei; le toscane ci chiamavano signorini anche da giovanotti.
Papà esigeva il più grande rispetto per i dipendenti e se rivolgevamo loro qualche parola offensiva ci obbligava a chiedere scusa.
Ricordo la Maddalena, era una toscana grossa e tarchiata.
Un tempo tenevamo dei conigli su un terrazzo, lei andava con me, sopra Sant’Ugo, dove allora c’erano i prati e portava delle bracciate d’erba.

Via Sant'Ugo

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri 

Per lo più c’era una donna grossa per le pulizie e il bucato ed un’altra per cucire e stirare.
Veniva a fare il bucato ordinario una certa Assunta, la lavanderia era in soffitta, ci si gelava e ricordo la compassione che mi faceva vedere questa povera donna con le mani nell’acqua gelida.
Poi la biancheria veniva posta in un concone e ricoperta di cenere, si aveva sempre il terrore che qualche lavandaia poco scrupolosa adoperasse la varechina che tagliava la tela.

Casaleggio (2)

Poi veniva il Giuseppin, detto dalle donne Giuseppin senza paura, era un uomo di fatica, arrotolava i tappeti e raschiava il parquet con un pezzo di vetro.
Quando io ero bambino prendevamo i pasti dalla nonna Luigia, la madre di papà che stava al piano di sopra, si mangiava nella stanza gialla.
C’era a quel tempo l’uso ottocentesco di far colazione alle 11 e di pranzare alle 16, io arrivavo dalle scuole elementari alle 12 e naturalmente tutti gli altri avevano già finito.
All’una si sentiva mamà o la zia dire: “Che fastidiu, ghe a Marinin!” Era la pettinatrice che veniva tutti i giorni a pettinare le signore.

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Un’elegante signora genovese
Immagine appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

La nonna aveva il cuoco Lorenzo che sapeva fare tutti i piatti; alla sera presentava alla nonna un libretto con il menu per l’indomani.
Allora c’erano sempre una minestra e due piatti, ricordo delle incomparabili rissoleé.
La nonna a volte radunava le donne e le metteva a cucire, ricordo che diceva loro: “Figge, fee andaa l’agugia cumme a lingua!”

Stravagaria (6)

E questo è mio, è un regalo da una cara amica!

Seve la traduzione? Eccola qua: ragazze, fate andare l’ago come la lingua!
Poche chiacchiere, insomma, un sollecito affettuosamente garbato, la Signora Luigia mi è parecchio simpatica, mi pare quasi di vederla insieme a quelle ragazze intente a cucire.
E riguardo alla cenere usata per lavare il bucato ricordo che anche mia nonna me ne parlava, questo metodo arcaico, diceva lei, rendeva le lenzuola linde e perfette.
Fatiche che non sappiamo neppure immaginare, cose che potrebbe insegnarci la signora Assunta, lei sì che conosceva tutti i segreti per fare il bucato con la cenere!