Diverse velocità, diversi amori.
Un pomeriggio d’estate, al Porto Antico.
E c’erano le barche superbe, una bicicletta, una moto.
Diverse velocità, diverse vite.
Ero là, seduta sulla panchina a guardare il mare e ho pensato che per tutti noi, in maniera uguale, spira e soffia il benefico vento.
Sfiora il viso, accarezza i capelli, fa respirare, ristora e bacia la pelle.
Diverse velocità, diversi amori, stesso vento.
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Un pomeriggio al Righi
Vi porto con me, in un tiepido pomeriggio di dicembre, a passeggiare sulle alture del Righi.
Il Righi si raggiunge facilmente con la nostra briosa funicolare che parte dalla Zecca e che in una decina di minuti vi porta lassù, nel verde e nel fresco di questo luogo dove si possono ammirare magnifici panorami.
Si sale così, percorrendo la strada che si snoda tra gli alberi.
Tra sole ombre, tra curve e salite.
E là, sui rami spogli, sostano certi piccoli e ciarlieri abitanti.
Ed è una continua sinfonia di colori e sfumature.
Il Righi è un’estesa area verde che predomina sulla città ed è uno dei posti prediletti da coloro che se ne vanno a spasso con i loro amici a quattro zampe, è il paradiso dei ciclisti e degli amanti degli sport all’aria aperta.
È un posto che merita di essere scoperto: svela un’altra città e così si affaccia su Genova e sulla sua costa.
E lo sguardo si perde sulle alture che circondano la Superba.
I rami si protendono verso l’azzurro, ci sono le panche e i tavoli di legno e tutta la città è ai vostri piedi.
Salendo su al Righi, poi, si può ammirare il ricco e complesso sistema delle antiche fortificazioni della città, la mia breve passeggiata mi ha portato al cospetto del magnificente Forte Sperone.
Poco distante si distingue Forte Puin.
E in lontananza si scorge la sagoma di Forte Monteratti.
Da lassù si vede anche la Ferrovia del Trenino di Casella.
Questo è il Righi con i suoi splendidi scenari panoramici, un luogo dove ritemprarsi e passeggiare in libertà, anche nei pomeriggi di dicembre.
Guardando Genova dall’alto e le sue molte bellezze.
Quattro amici e quattro biciclette
Ho un po’ un debole per le fotografie nelle quali sono ritratti amanti della bicicletta del tempo passato, trovarle non è tuttavia così semplice.
Conservo nella mia piccola collezione alcune immagini di orgogliose fanciulle o di gioiosi bimbetti con le loro biciclette, hanno proprio la felicità negli occhi.
E poi sono arrivati loro: quattro amici immortalati in un momento che non saprei collocare in nessun luogo a me noto.
Che ricordi per loro, che giornata!
E che autentica fierezza sui volti, eccoli con i cappelli calcati sulla testa, i baffi importanti, quelle giacche, la maglietta a righe e quei pantaloni sotto il ginocchio.
Niente abbigliamento tecnico per questi ciclisti del tempo andato.
Che giornata fu, io chiaramente non c’ero ma giurerei che durante questo loro giro si siano poi fermati in qualche trattoria per rifocillarsi come si deve, avranno versato un vino corposo nei loro bicchieri e insieme avranno brindato alla vita, alla libertà e all’amicizia.
E poi, dopo essersi messi in posa per questa foto ricordo, si saranno salutati con la promessa di rivedersi presto per pedalare ancora insieme, uno accanto all’altro.
Alla vita, alla libertà e all’amicizia.
In bicicletta
E venne poi anche per loro il tempo del gioco, dello svago e delle giornate all’aria aperta.
Eccole insieme, sorridenti e spensierate.
Due ragazzine con i loro abitini candidi, i sandaletti e le calze bianche, l’immancabile cappellino per ripararsi dal sole.
Su una strada di campagna, si intuisce sullo sfondo un placido panorama forse scenario di gioiose villeggiature.
E là, in quel tempo sereno, c’erano anche loro.
Se è vero che vivere è una questione di delicati equilibri andare in bicicletta ne è la perfetta metafora.
Così, seguendo la strada, una pedalata dopo l’altra, le due ragazzine sembrano piuttosto sicure.
E sorridono.
E magari sognano, come tutti, del resto.
E tengono le mani salde sul manubrio e cercano un orizzonte lontano.
Così vicine, in un tempo felice, in bicicletta.
Magliette e ricordi d’estate
È da sempre uno dei capi d’abbigliamento preferiti nella stagione estiva, sapreste dire quante magliette avete posseduto?
Io di certo no ma di alcune di loro conservo precise memorie in quanto sono legate a tempi di estati felici.
La maglietta per così dire più odiata era forse anche la più piccina: era quella che la mamma mi metteva quando in spiaggia mi scottavo la schiena.
Sì, perché noi che eravamo bambini negli anni ‘70 eravamo pure un po’ selvaggi e non c’era maniera di farci stare fermi, quindi in quell’andirivieni tra scogli, spiaggia, cabina, baretto e bagnasciuga alla fine delle volte finivamo per ritrovarci con la schiena rossa come un peperone!
Il rimedio? La maglietta!
E non c’è niente di peggio che andare alla spiaggia con la maglietta soprattutto se hai un gran da fare tra castelli di sabbia, pesci, granchi, tuffi, sassi e conchiglie.
Tra le molte magliette della mia infanzia un pensiero affettuoso va anche a tutte quelle che si sono rovinate in qualche maniera durante le estati in Val Trebbia.
Sì, perché noi che eravamo bambini negli anni ‘70 mica stavamo a ciondolare sulle panchine, eravamo sempre in giro e andavamo per boschi e per prati e vuoi che non mi sia mai rimasta agganciata la manica della maglietta in qualche ramo? Eh!
E che dire delle scorribande in bicicletta?
L’estate era ginocchia sbucciate ma anche, fatalmente, magliette strappate, capitava così!
Poi sono venuti altri tempi e altre vanità da adolescenti.
E in quegli anni le magliette più belle me le regalava la mia cara zia, lei viaggiava un sacco e ritornava dai suoi giri sempre con delle magliette bellissime.
Alcune avevano scritte e disegni relativi alle città visitate, altre erano invece dedicate a cantanti e band dell’epoca: la zia era insegnante e sapeva benissimo cosa piaceva ai ragazzini, la zia non ha mai sbagliato un regalo in vita sua e questa era davvero una cosa fantastica.
Alcune di quelle magliette le conservo ancora, sono un po’ un bel ricordo di quegli anni là.
Insieme a loro, nel cassetto, ho anche una maglietta di cotone beige con una grande farfalla rossa sul davanti, sulle ali aggraziate ci son anche alcuni brillantini: quella maglietta apparteneva alla zia, io non l’ho mai indossata ma credo che si trovi bene nel mio cassetto insieme a quelle altre, ecco.
Quante magliette ci sono state nelle nostre estati: quelle con il coccodrillo e quelle della Fruit of the Loom, quelle semplicemente bianche, magliette a righe, a colori, a volte con le scritte o con le frasi nelle quali ci riconoscevamo.
Si, perché noi che siamo stati bambini negli anni ‘70 e poi ragazzini negli anni ‘80 abbiamo avuto tutta una serie di nostri miti personali e certe frasi le avevamo sul diario, sulle borse di stoffa e sulle magliette.
Eravamo così, sono contenta di essere stata così, anche se una delle mie cadute in bicicletta mi ha lasciato una piccola cicatrice su un ginocchio ma d’altra parte la vita è fatta anche di questo.
La maglietta che vedete nella foto che conclude questo post non appartiene a me: l’ho veduta così, appesa fuori dalla finestra, in un giorno di luglio a Fontanigorda.
Mi ha fatto venire in mente le magliette delle mie belle estati, a volte sono le cose più semplici a far nascere in noi un senso di dolce nostalgia.
Una domenica a Brignole
Non saprei dirvi se fosse veramente domenica, a me piace pensare di sì.
E poi mi piace immaginare che fosse una di quelle giornate ritmate dalle consuete usanze di molte famiglie italiane: la messa alla mattina, il mazzo di fiori da mettere sulla tavola, il solito quotidiano da leggere seduti comodi in poltrona.
Dunque, era domenica.
E c’era il pomeriggio da trascorrere tutti insieme, i più piccoli vanno a fare un giro con mamma e papà per imparare come si diventa grandi.
Magari facendo i primi passi tentennanti e incerti.
E poi correndo, cadendo e rialzandosi ancora, è sempre così.
E anche spingendo con forza sui pedali.
Ai giardinetti davanti Brignole, a quell’età bellissima lì in cui ogni nuova esperienza è entusiasmo ed emozione.
Là, davanti alla stazione: e ancora non sai quanti viaggi compirai nelle tua vita, ti siederai vicino al finestrino e guarderai scorrere il panorama in attesa di raggiungere la tua meta.
Qui, in questa fotografia del passato, sei un bimbetto con la sua bicicletta, ti accompagna con una certa fierezza quello che credo che sia il tuo papà.
Ti dice come mettere i piedini, come muovere il manubrio per girare.
Guarda avanti e non distrarti, non perdere equilibrio.
Bravo!
Così!
E tu resti serio e sospiri, ma sei felice con la tua magliettina da piccolo ciclista, le calzette bianche e i calzoncini corti.
E hai davanti tutto il tempo del mondo, in un giorno che non so, davanti a Brignole.
Era mattina
Era mattina.
Era uno di quei giorni in cui vado ovunque e in realtà in nessun posto, quello è il mio passatempo preferito da sempre.
Giro senza meta, da sola, da qualche parte prima o poi si arriva.
Ed era gennaio ed era pieno inverno, anche se stranamente quest’anno in realtà il freddo non è mai arrivato.
Camminavo in Galleria Mazzini e sbirciavo qua e là, anche nelle vetrine di quei negozi dove non entro mai, lo faccio sempre, sarà perché sono una persona curiosa.
Galleria Mazzini poi in genere la prendo dall’alto e scendo fino al Carlo Felice, quando poi ci sono i mercatini dell’antiquariato o le bancarelle dei libri finisce sempre che faccio su e giù diverse volte.
E c’era un bagliore di ocra, un sequenza di linee e curve e al di là di esse la luccicante eleganza dei negozi di Via Roma.
E c’era una bicicletta legata a un palo e mi è sembrato bello vederla proprio lì.
Poi ricordo di aver pensato che in fondo la vita è fatta proprio di questo: colori, sensazioni e luminosi contrasti.
Era mattina, in Galleria Mazzini.
Due bici nel bosco
Due bici nel bosco.
Nel tempo d’autunno, a Fontanigorda.
Due bici nel bosco narrano di una gioia rinnovata, di un frammento di riconquistata libertà lontano dalla frenesia della vita cittadina.
E ritrovarsi e già ricordare con nostalgia i giorni d’estate: ne torneranno altri e saranno ancora più belli e spensierati.
E intanto ridi, corri e pedali su per la salita, le guance si arrossano e tu ridi così forte e ne hai di cose da raccontare ora che la scuola è iniziata e rivedi i soliti amici di sempre nel posto in cui siete diventati grandi insieme.
E corri e pedali e ti lasci prendere dalla velocità giù per la discesa e ridi ancora più forte.
E le ruote si posano sopra un soffice tappeto di foglie, sotto agli alberi, tra i ricci caduti dai castagni e tra i profumi dei muschi riscaldati dal tiepido sole.
E tu forse adesso non lo sai ma poi un giorno ti ricorderai di questi istanti, ti guarderai indietro e rivedrai te stesso da ragazzino in bicicletta e sarà una memoria dolcissima.
Nel tempo d’autunno, a Fontanigorda.
Tutto il tempo del mondo
Era un mattinata delle nostre, ti ricordi?
Una tazza di caffè fumante, la musica dei Cranberries, una ciocca di capelli che ti cadeva sul viso.
E poi una parola, una delle nostre incomprensioni.
E sei scappata via, ti ho vista correre giù per le scale veloce come il vento ed io mi sono precipitato dietro di te.
Se tu mi avessi ascoltata ti avrei detto: perdonami.
Ti avrei baciata, saremmo caduti uno nelle braccia dell’altra e tu avresti riso, così forte come sai fare tu.
E invece sei scappata via, mi hai sorpreso, sai?
Allora ti ho inseguita in quel saliscendi che mi spezzava il fiato e mentre pedalavo respirando il profumo del mare pensavo a te.
E pensavo che c’era davvero ancora tutto il tempo del mondo per noi e tutta quella strada da fare insieme.
In salita o in discesa, non importa, basta che ci sia anche tu.
E finalmente poi si sei fermata, hai posato la bici contro la ringhiera, ti sei voltata a guardarmi e mi sei venuta incontro.
E ti ricordi quanto tempo poi siamo rimasti lì davanti al mare?
E tu mi hai baciato, mi hai stretto tra le braccia e hai iniziato a ridere così forte come sai fare tu.
E per noi c’era ancora davvero tutto il tempo del mondo.
Passeggiata Anita Garibaldi – Nervi