Ci sono giornate che iniziano così, con la prepotenza della luce che si fa largo in certe stupefacenti angustie, tra i tetti che paiono sfiorarsi, per scendere giù, fino a terra.
Ieri mattina, in Vico dell’Argento.
Dal grigio a tutti i colori dei vicoli, accade, in certi periodi dell’anno.
E sai, il sole qui è come un ragazzino timido, lo vedi far capolino dietro a un palazzo, quasi si mostra, poi si nasconde.
Poi ride, ti provoca, di nuovo.
E scappa via.
D’improvviso, ritorna ancora.
Accade, in certi periodi dell’anno.
Luce che batte sulle pietre, riscalda i muri, a breve svanirà.
E poi.
E poi magari dalle parti di Soziglia trovi un portone aperto.
Sali le scale, tutti i gradini, uno per uno.
Forse ci sarà una finestra per guardare fuori?
Solo una, all’ultimo piano.
E poi, allora, lo sguardo si perde tra i tetti, tra le ardesie e le spiovenze.
Nello stupore dei soliti minuscoli terrazzini, rigogliosi di verde e di vita che rinasce.
La prospettiva della città, quello che non puoi vedere dal fondo di un caruggio.
Ringhiere, tavolini, finestrelle, su ogni gradino un vaso di piante.
I piani alti sotto l’azzurro cielo e un fiero rampicante che cresce indomito.
Fiori che sbocciano, ombrelloni per godere di una rinfrescante ombra, geometrie di caruggi che puoi solo immaginare.
Ci sono giornate che iniziano seguendo un raggio di luce.
E poi ti ritrovi sopra i tetti di Genova, a contare i comignoli e gli abbaini accarezzati dal sole tiepido di primavera.