I genovesi del mio quartiere leggendo il mio articolo dedicato a Salita Accinelli certamente avranno avuto un pensiero: la creuza che scende a Castelletto conduce proprio alle spalle di un edificio che molti di noi hanno frequentato, la Scuola Maria Mazzini.
Anch’io ho fatto le elementari proprio lì, ho camminato in quelle aule e nei corridoi dell’edificio dedicato alla madre del più celebre patriota genovese.
E certi ricordi di quei giorni sono per me intensi e presenti, immagino che sia così anche per molti di voi.
Andare a scuola negli anni ’70 era per noi entusiasmo e scoperta: intanto c’era da scegliere la cartella e l’astuccio con dentro tutte le penne, il temperino, la gommina rosa dal profumo zuccherino e le matite colorate.
E poi i quaderni a righe e a quadretti, l’album da disegno, i pastelli e il sussidiario.
Una volta che avevi tutto questo armamentario eri pronto per la scuola, noi bambini degli anni ’70 spesso ci andavamo con il papà, prima di andare al lavoro ci accompagnava là, davanti alla Mazzini.
E poi era la mamma a venirci a prendere, alcuni facevano il tempo pieno ma io ero tra quelli che tornavano a mangiare a casa, allora era una scelta piuttosto frequente.
Noi bambini degli anni ’70, alla Mazzini, abbiamo imparato tantissimo: leggere, scrivere, disegnare.
E poi progettare, sognare, vivere.
E ridere, crescere, diventare sempre più curiosi.
E vivere, vivere, vivere.
A insegnarci tutto questo è stata la nostra maestra, allora ne avevamo una sola per tutte le materie e io della mia conservo un ricordo meraviglioso.
Scrivo volentieri il suo nome con la segreta speranza che anche altri abbiano ancora un angolino nel cuore tutto per lei: la mia maestra si chiamava Giselda Cordano.
Era piccolina, energica e sempre sorridente, da bambina mi ricordava una delle fatine disneyane del film La Bella Addormentata nel Bosco, ho ancora nella mia memoria certi suoi gesti e il suono della sua voce, una brava insegnante non puoi dimenticarla.
E certo lei ci ha insegnato i numeri e le lettere, la grammatica e la geografia ma più che altro era un solido punto di riferimento, era la nostra maestra.
Noi bambini degli anni ’70 a scuola non ci portavamo certo i giocattoli.
No, no, la mamma non lo avrebbe mai permesso e anche la maestra avrebbe avuto qualcosa da dire secondo me!
Noi bambini degli anni ’70 eravamo molto rispettosi dei grandi, non ci saremmo mai permessi di rispondere in malo modo.
E lei, la mia maestra, aveva una pazienza infinita con tutti noi, anche con i bambini terribili.
E insomma, mi includo immediatamente nella categoria degli irrequieti, basti pensare che sono riuscita in un’impresa quasi impossibile: avevo un polso rotto e il braccio ingessato, sono stata capace di rompere il gesso contro il banco.
Mia mamma mi narra che la maestra Giselda le telefonò raccomandandosi di non sgridarmi perché a quanto pare c’ero rimasta molto male.
Noi bambini degli anni ’70 attendevamo certi momenti importanti, ad esempio la maestra ci aiutava a creare il bigliettino di auguri per la festa della mamma e per quella del papà.
E disegnavamo, ritagliavamo, appiccicavamo brillantini, coloravamo grandi cuori con il pennarello rosso.
E poi l’avventura di scrivere con la stilografica: io sono mancina e mi sono sempre imbrattata la mano con l’inchiostro, inevitabile.
Noi andavamo alla Mazzini, alcuni poi ci hanno portato i figli e penso che per loro sia stata una grande emozione.
Io sono tornata diverse volte nella mia scuola in occasione delle elezioni in quanto la Mazzini è sede dei seggi elettorali.
Varcare quel portone.
E salire quelle scale, da piccola i gradini mi sembravano altissimi.
E le voci, le risate dei coetanei, quello che piange e i due che bisticciano, quell’altro che corre per il corridoio.
E lei, la maestra, che cerca di tenere tutti tranquilli.
Salire quelle scale.
E trovarsi in quelle aule, la scuola è un momento importante nella vita di ognuno di noi, i miei anni delle elementari sono stati gioiosi e ricchi di nuove esperienze.
E quelle finestre immense dietro alle quali siamo diventati grandi.
Da qualche parte ho ancora i miei quaderni di quel tempo, un giorno ve li mostrerò.
Da qualche parte si resta proprio ciò che si era, bambine con le trecce o i codini, piccole pesti con i sandaletti blu.
Ricordi che affiorano ogni volta che passo in corso Firenze.
E il pensiero va a lei, cara maestra Giselda, grazie di averci tenuti per mano, il tratto di strada percorso insieme è sembrato semplice e piano proprio perché accanto a noi c’era una persona speciale, la nostra maestra.