I pensieri della Signorina Ferrari

È un gioco di fantasia provare a immaginare i pensieri della Signorina Ferrari ed è poi arduo credere di saperli indovinare.
Lei è ritratta ancora bambina, le sue sembianze furono scolpite nel marmo dal valente scultore Giovanni Scanzi, autore di molti celebri monumenti funerari presenti nel Cimitero Monumentale di Staglieno.
La statua di lei, una fanciullina appartenuta probabilmente alla buona borghesia genovese, risale al 1882 ed è parte della collezione del Museo dell’Accademia Ligustica di Genova.
La Signorina Ferrari sembra ombrosa e imbronciata, appare fin troppo seria per una bimbetta della sua età.
Se ne sta in questa posa studiata, così appoggiata a un tavolino, un grande fiocco cade sul suo petto e in questa sua garbata compostezza non traspare alcuna spontaneità infantile.

E così l’ho immaginata in un diverso contesto, vezzeggiata dalle mamma e dalle zie, abita in una grande casa dove dolci spirano profumi di rosa e di talco, nella sua cameretta ci sono chiare tendine di pizzo alla finestra, uno scrittoio e un austero letto di legno scuro con i cuscini rivestiti di candido sangallo.
E poi l’ho immaginata scendere con la sua mamma giù da Via Assarotti, la Signorina Ferrari ha il soprabito di velluto blu, il cappellino con i nastri e i guanti color tortora.
Ed eccola, ancora, a passeggio all’Acquasola come si usava in quella sua epoca.
Che dolcezza di bambina, quando sorride sulle sue guance spuntano due deliziose fossette!
Giovanni Scanzi ha invece tramandato di lei una diversa espressione, ecco ancora la Signorina Ferrari, ha i capelli raccolti con un fiocchetto e il suo abito è rifinito sui polsi e sul colletto con un pizzo raffinato.

Tiene tra le mani un librettino, si scorge nei suoi gesti la consueta grazia che Scanzi sa cogliere nei soggetti da lui ritratti.

La bambina della quale non so indovinare i pensieri porta al polso un braccialettino semplice e liscio, chissà quanto le sarà stato caro!

Se per caso anche voi voleste ammirare la scultura di Giovanni Scanzi sappiate che fino al 1 novembre è esposta alla mostra Mogano ebano oro! Interni d’arte a Genova da Peters al Liberty allestita a Palazzo Reale di Genova.
Ed è stato Sergio Rebora, raffinato storico dell’arte che è anche uno dei curatori della mostra, a farmi notare un importante dettaglio: Scanzi potrebbe avere ritratto la Signorina Ferrari traendo spunto da una sua fotografia, a farlo supporre sarebbe uno degli elementi che compongono la scultura, quel tavolinetto che spesso si trova nelle fotografie di quel tempo.
A rifletterci, anche la posa così studiata richiama certe fotografie del passato.
Ne consegue che la scultura potrebbe forse essere il ricordo di una bambina tanto amata e troppo presto perduta, come purtroppo spesso accadeva in quel tempo.

Ai piedi della bimba, posato su un pouf damascato e rifinito con le frange, ecco una piccola borsettina, una splendida squisitezza nella quale si riconosce il talento incomparabile di Scanzi.

Là, sotto questa luce chiara, in questo tempo che non lei ha vissuto, la Signorina Ferrari volge a noi i suoi occhi ingenui, nel mistero della sua infanzia così lontana e fragile.

Mogano ebano oro!

Oggi vi porto a compiere un viaggio a ritroso nella Genova ottocentesca, sarà come ritrovarsi in certe nobili e lussuose dimore arricchite da arredi pregiati.
Mogano ebano oro! Interni d’arte a Genova da Peters al Liberty è la mostra curata da Luca Leoncini, Caterina Olcese e Sergio Rebora e allestita negli spazi del Teatro del Falcone a Palazzo Reale di Genova fino al 1 Novembre prossimo.
L’esposizione è un affascinante percorso alla scoperta degli stili e dei gusti graditi all’epoca e prende avvio dai lavori di Herry Charles Thomas Peters, mobiliere inglese giunto a Genova nella prima metà dell’Ottocento.
Nella Superba Peters proporrà i suoi raffinati mobili di ebano, qui rimarrà 35 anni, tra i suoi committenti ci saranno le nobili famiglie genovesi come i Brignole Sale e i De Mari.
La mostra permette così di scoprire l’evoluzione dello stile di Peters che nel tempo varierà molto rispetto agli esordi.

È raffinata ed elegante la produzione di Peters, ci sono tavoli, poltroncine, seggiole, molti di questi arredi provengono dalla collezione di Palazzo Reale, è il caso ad esempio del seggiolone parte della sala di ricevimento del Re.
Un dorato cigno sinuoso illumina il bracciolo, sul dorsale si legge il monogramma di Carlo Alberto.

Oltre alla preziosità e all’elevata cifra stilistica dei pezzi esposti, il fascino di questa mostra risiede anche in certi particolari rimandi che vi invito a ricercare.
Nei quadri alle pareti, infatti, troverete dipinti sulla tela arredi uguali o simili a quelli esposti in mostra e questo rievoca emotivamente quel mondo che non possiamo vedere ma che sappiamo ancora immaginare grazie all’opera di questi artisti.

La magnificenza del minuzioso lavoro di abili ebanisti lascia a dir poco stupefatti.
Il tavolo con cassetti e “segreti” intarsiato con episodi di storia dell’antica Grecia porta, proprio in uno dei cassetti, la firma del suo autore e infatti così si legge: Clemente Boeri Tarziò – Genova 1879.
Cercate poi l’altro cassetto aperto e avrete ancora modo di stupirvi.

Mogano ebano oro! (5)

Il percorso di visita si dipana tra diverse forme d’arte, magnifica e stupefacente è l’opera di un certo Andrea Mora e vi lascio tutto il piacere di scoprire da voi la sua “tavola d’inganno” realizzata con un effetto trompe l’oeil e con una tecnica che ricorda molto il decoupage, questa tavoletta è secondo me una delle meraviglie della mostra e ve ne svelo solo il seguente particolare.

Mogano ebano oro! (6)

Gli sguardi dell’Ottocento sono poi nei dipinti e nelle sculture, questo gesso di Santo Varni raffigura Teresa Pallavicini Durazzo e il figlio Giacomo Filippo.

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Il gusto dell’epoca è nell’esposizione delle raffinate sedie della celebre manifattura di Chiavari.

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E c’è una sedia con il carillon accanto all’autoritratto di Carolina Celesia proveniente dall’Istituto Mazziniano – Museo de Risorgimento.

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Si apre qui un’ulteriore sezione della mostra dove sono esposti alcuni pezzi davvero mirabili e provenienti anche da collezioni private.
Merita certo di essere menzionato un pregevole lavoro di Niccolò Barabino: l’autore della celebre Madonna dell’Olivo realizzò per uso privato questo piccolo trittico che comprende la Madonna delle Arance, San Domenico e Santa Caterina da Siena.

Riluce l’oro splendente del Paliotto per altare con i Santi Pietro e Paolo proveniente dalla Chiesa del Rimedio, a quest’opera lavorarono Venceslao Reta e il giovane Giulio Monteverde che realizzò le statue.

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E c’è un mirabile gioco di contrasti in quello che, a mio personale parere, è il pezzo più stupefacente della mostra.
È uno stipo opera di Cesare ed Emilio Bernacchi appartenuto alla Duchessa di Galliera e da lei acquistato all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, il mobile è prestato alla mostra dai Musei Civici di Genova.
Fu realizzato con molti diversi tipi di legno, sul catalogo vengono elencati il noce, il pioppo, l’ebano, il palissandro, il bosso e l’amaranto.

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Ed è un meraviglioso gioco di intarsi dai riflessi di lucente madreperla.

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Sbocciano così questi fiori dai petali delicati e dalle tenere foglioline.

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E ancora brilla l’oro di certi candelabri.

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L’Ottocento è narrato dai suoi artisti: ci sono disegni, progetti, fotografie d’epoca e persino un particolarissimo catalogo che vi lascio la gioia di scoprire.
Una vetrina è dedicata alle ceramiche della manifattura Sansebastiano & Moreno, troverete diversi pezzi esposti e tra di essi anche questo piatto con una famiglia al balcone che proviene dalla Collezione d’Arte Banca Carige.

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Genova poi è anche la città che fu meta di celebri viaggiatori e qui troverete arredi provenienti da Palazzo Montanaro dove visse Paul Valéry, vedrete poi un mobile appartenuto a Giuseppe Verdi e un tempo collocato nella sua abitazione a Palazzo del Principe.
Non mancano inoltre i riferimenti a certi personaggi illustri come Sir Thomas Hanbury e il Capitano Enrico d’Albertis.

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Genova è rappresentata nei numerosi oggetti delle famiglie del passato, nelle opere dei suoi artisti come Niccolò Barabino, Santo Varni e Giulio Monteverde.
Imbronciata e pensierosa ecco la signorina Ferrari così effigiata dallo scultore Giovanni Scanzi, la statua è parte della collezione del Museo dell’Accademia Ligustica.
Un grande fiocco cade sul suo petto, un’ombra vela il suo sguardo: di lei spero di tornare a parlarvi in una diversa occasione.

In questo mio articolo chiaramente ho potuto mostrarvi soltanto una parte delle opere artistiche e degli arredi, alla mostra ne troverete molti di più e anche in stili molto differenti da quelli da me fotografati, molti di essi provengono da collezioni private.
La sala dedicata al liberty, con le sue caratteristiche di linearità e leggerezza, è davvero ricca di fascino intrigante, il liberty è lo stile che a mio parere maggiormente spicca per il senso di armonia e lievità.

Mogano, ebano e oro: sono le tonalità del gusto di un secolo, di una bellezza che sappiamo ancora apprezzare.
Sbocciano così generosi i fiori nel mogano laccato nero di un pianoforte di Alberto Issel.

Mogano ebano oro! (19)

Ed ecco un paravento decorato con suadenti figure femminili secondo i canoni del Liberty, accanto ad esso il ritratto di una bimba di nome Pierina Micheli opera di Luigi de Servi, lei era la figlia di Pietro Micheli, primo proprietario di Castello Bruzzo, alla mostra ci sono anche i ritratti dei suoi fratelli.

La bambina porta il suo abitino rosa e vaporoso, tiene i piedini incrociati, in quella posa così dolcemente infantile.
La sua immagine leggiadra si riflette nello specchio del mobile posizionato contro la parete di fronte, accanto al ritratto della piccola Luisa Issel con il suo cagnolino, opera di Giuseppe Pennasilico.
Sono gli sguardi e le testimonianze del passato di questa città: questa elegante mostra vi svelerà tali raffinatezze e molte diverse suggestioni di un’epoca distante.

Le feste genovesi del 1842 per le nozze reali: balli a Corte, solennità religiose e feste in mare

Continua il mio racconto dei festeggiamenti tenuti a Genova nel 1842 per le nozze del principe ereditario Vittorio Emanuele con Maria Adelaide d’Austria, come scrissi nella prima parte le notizie sono tratte da un mio libro dal titolo Le feste genovesi del Giugno MDCCCXLII edito nel 1842 dalla Stamperia Casamara di Genova.
Ed entriamo anche noi, in punta di piedi, a Palazzo Reale.

“La sera del 21 gli Appartamenti Reali risuonavano di dolcissima armonia ed un numero elettissimo di Dame e Cavalieri vi si radunavano per speciale invito.”

La festa da ballo ebbe inizio alle otto e mezza di sera e si protrasse fino alle tre di notte, tra danze e balli i blasonati genovesi poterono allietarsi in presenza della famiglia reale, fu per tutti un evento da ricordare.

Galleria degli Specchi
Palazzo Reale di Genova

Come già era accaduto la sera del 20 giugno anche il 23 la città fu di nuovo sfarzosamente illuminata e in questa circostanza vi fu un cittadino che diede il suo contributo a rendere ancora più radiosa la Superba: si trattava del Signor Giuseppe Rocca, un negoziante che aveva un palazzo di villeggiatura sulla collina di San Rocco sopra Principe, tutta la sua proprietà luccicò di fiammelle e di chiare luminarie in uno spettacolo di bellezza incomparabile.
E venne infine il 24 Giugno, giorno della solennità di San Giovanni Battista e la cattedrale di Genova fu riccamente decorata, alle pareti e alle colonne furono sistemati damaschi rossi, frange d’oro e festoni di seta, le fiammelle dei ceri ardevano nei lampadari di cristallo.
I reali entrarono in Duomo alle ore 11 seguiti da un lungo corteo e si accomodarono nel padiglione ornato di velluti e ori.

Dopo la funzione religiosa, la famiglia reale si apprestò quindi a venerare le reliquie di San Giovanni Battista nella cappella a lui dedicata e come da tradizione nel pomeriggio lo stipo con le ceneri del santo venne portato in processione per le vie della città vecchia.

Si giunse poi al Domenica 26 Giugno e in quel giorno con gran concorso di popolo si tenne la grandiosa festa in mare.
La gente si assiepò in ogni luogo possibile, sui ponti della Mercanzia e degli Spinola e sulle mura prospicienti sul porto, alcuni più fortunati furono invitati nelle logge del Giardino dei Doria e da qui si godeva di una vista magnifica.

La folla raggiunse anche le alture, da San Teodoro al Castellaccio, fino a San Benigno ognuno cercò il luogo migliore per assistere a questo spettacolo straordinario.
Quando piano il sole iniziò a tramontare un colpo di cannone diede il via alla regata.
A due miglia dal porto erano fermi sei battelli: erano bianchi con una riga rossa sul fianco, ognuno era condotto da sei marinai abbigliati con candidi pantaloni chiusi in vita da una cintura rossa.
Al segno convenuto i remi presero a fendere l’acqua, il battello più veloce si aggiudicò così in premo una bandiera.
Con solennità si annunciò l’arrivo dei reali che giunsero al Ponte Reale finemente adornato con vasi di aranci e ghirlande di fiori.

Le altezze reali si accomodarono così sul Bucintoro, un naviglio che a poppa aveva forma di conchiglia e a prora aveva invece le sembianze di magnifico cigno, sopra vi era un padiglione con sorvolanti farfalle.
Il naviglio prese il largo e presto raggiunse l’Isola Galleggiante che si trovava in mezzo al porto, su di essa eraa stato allestito un tempio con 14 colonne e capitelli corinzi, con molte decorazioni sfarzose e ai lati due statue della fama ad altezza naturale.
C’erano anche le statue della Speranza, del Commercio, dell’Astronomia e della Liguria, con varie iscrizioni in onore dei reali.
Il tempio era tutto illuminato e circondato da un idilliaco giardino all’inglese impreziosito da agrumi tipici della Liguria, da due fontane zampillava fresca acqua dolce.

I Reali salirono quindi nel tempio e ad un tratto si vide la Lanterna ricoperta di luci e mentre tutti ammiravano il Faro della Superba così radioso la città intera prese a risplendere, luccicavano le mura, le torri e i palazzi, brillavano i moli e tutti i grandiosi edifici della città, dall’Albergo dei Poveri fino alla grande Cupola della Basilica di Carignano.
Il cielo si illuminò con i colori dei fuochi d’artificio, sotto gli occhi ammirati di tutti alti si levarono venti palloni aereostatici.
E ancora luci d’oro, azzurre e rosse percorsero il cielo in uno spettacolo magnifico e straordinario per la gioia del re e del popolo tutto.
Il sovrano a una certa ora si ritirò a Palazzo Reale e per raggiungerlo ancora percorse strade riccamente illuminate, mentre sull’Isola galleggiante ancora si ballava e si suonavano motivi militari, si festeggiò a lungo a bordo dei molti navigli che si trovavano nelle acque del porto.

Nei giorni a seguire si tennero poi altre celebrazioni, in onore delle Auguste Nozze furono composti carmi e componimenti che vennero presentati a Palazzo Tursi, si tenne anche un saggio di scherma nel quale diedero mostra del loro talento quattro giovinetti.
Vi fu anche un benefattore che volle rimanere anonimo e che organizzò il 29 giugno nel giardino dei Principi Doria una festa di beneficenza i cui proventi andarono agli Asili d’Infanzia.
E tra il fiori e le piante odorose giunsero i molti invitati, alla festa intervennero danzatori che si esibirono in danze moresche e un abile giocoliere, la serata fu poi allietata ancora dallo spettacolo dei palloni aereostatici e dai fuochi artificiali, anche questa fu una serata di danze e grandiosi divertimenti.
Così si svolsero quelle giornate di festa e prima di lasciare Genova Carlo Alberto e la Regina ricevettero nella sera del 30 Giugno nelle sale di Palazzo Reale un numero di fortunati prescelti.
Accadde in un altro tempo e tutto ciò che è descritto è persino difficile da immaginare, certo rimase negli occhi e nei ricordi di coloro che parteciparono ai festeggiamenti per le nozze di Vittorio Emanuele e Maria Adelaide d’Austria.

Carlo Alberto di Savoia – dettaglio
Palazzo Reale di Genova

Chiesa di San Sisto: alla scoperta della Sala Regia

Vi porto ancora con me nella suggestiva Chiesa di San Sisto in Via Prè, nel cuore della città vecchia.
Questa piccola chiesa cela molte appassionanti storie, ad essa sono legate le vicende di un fabbro, di un celebre veneziano e di due temibili vecchiette.
Qui c’è una cappella dedicata a Maria Bambina e ogni 8 Settembre, giorno della Natività della Madonna, dalla piccola chiesetta parte una devota processione che è un rito caro alla gente di Genova.
Qui ci sono sempre nuove storie magnifiche da scoprire ed è ciò che mi è accaduto proprio pochi giorni fa quando mi sono fermata a chiacchierare con Don Rinaldo, il parroco di San Sisto che ha davvero a cuore la sua parrocchia e i suoi fedeli.

Don Rinaldo mi ha così accompagnata su per un scaletta e in certi locali dove sono esposti paramenti e arredi sacri della Chiesa di San Sisto.

Con questa grazia, tra due antichi candelabri, è esposta una statua di Gesù Bambino.

Questa prima stanza conduce, con mio stupore, ad un secondo locale noto come Sala Regia.
Dovete infatti sapere che la Chiesa di San Sisto è vicina al nostro Palazzo Reale, oggi museo statale, un tempo di proprietà della famiglia Balbi e in seguito dei Durazzo, l’edificio divenne poi la Reggia dei Savoia.
La Sala Regia era così direttamente raggiungibile tramite un passaggio aereo che ancora esiste e che la collegava a Palazzo Reale, il passaggio conduceva poi direttamente al Ponte Reale, ora non più esistente, che univa il Palazzo dei Savoia direttamente alla Darsena.

E così durante i loro giorni genovesi i Savoia accedevano con agio e comodità alla piccola stanza che si affaccia su presbiterio, la tribuna fu realizzata da Domenico Tagliafichi circa a metà del XIX secolo.
La finestra si apriva e i Reali, senza essere veduti o disturbati, potevano così assistere alle messe e alle funzioni religiose.

Una volta ritornati in Chiesa potrete così facilmente individuare quella finestrella illuminata e aperta, è e la prima in alto a destra nell’immagine sottostante.

Ecco così ancora una nuova affascinante scoperta in questa caratteristica chiesa dei caruggi, ringrazio Don Rinaldo per avermi mostrato la Sala Regia e vi invito ad ad andarla ad ammirare con i vostri occhi, avrete così occasione di apprezzare le molte altre bellezze di San Sisto.

Desidero infine mostrarvi un’altra particolarità che troverete in questa Chiesa in questo tempo di Natale.
Là, sulla balaustra antistante l’altare, è posta una dolcissima effige del Bambino Gesù.

È ai piedi della Croce sulla quale poi Egli morì, è il racconto vero del significato del Natale e della venuta al mondo di Gesù, così rappresentata nella nostra bella Chiesa di San Sisto.

Le ninfee di Palazzo Reale

Torna in questa stagione il tempo delle ninfee che sbocciano nel vasca del giardino pensile di Palazzo Reale, edificio sito in Via Balbi e oggi prestigioso museo della Superba.
Questa antica dimora nobiliare fu costruita a metà del ‘600 e appartenne dapprima alla famiglia Balbi, poi ai Durazzo e divenne infine Palazzo Reale quando i Savoia ne acquisirono la proprietà nel 1824.

Oltre alla magnifica terrazza che si affaccia sul porto e sul mare di Genova a Palazzo Reale si può passeggiare nella dolcezza del suo giardino.

E qui, leggere sull’acqua, fluttuano le ninfee.

Questo è il loro tempo, fragile ed effimero, sbocciano i petali lisci e si aprono nei giorni di primavera.
Tra le foglie ampie che paiono ritagliate con minuziosa precisione da un artista di talento: posate così, leggere sull’acqua chiara.

Mentre le rose rosse si stagliano contro il cielo azzurro della Superba.

Con questa grazia perfetta, nell’eterno ritorno della vita che si rinnova.

Nel rosa incantevole che racchiude i colori del sole.
Con questa lievità, sull’acqua.

Tornerò ancora a parlarvi di questo giardino pensile: qui potrete ammirare anche un antico rissêu, la tipica pavimentazione a ciottoli di tradizione ligure.
Il settecentesco rissêu di Palazzo Reale proviene dal convento delle Monache Turchine ormai non più esistente e si distingue per armonia e raffinatezza, mi riprometto di scriverne presto per voi.

Potete ammirarlo anche voi, nel giardino di Palazzo Reale, dove il sole delicatamente sfiora le ninfee.

Sulla terrazza di Palazzo Reale

Genova dall’alto è sempre una magia incantevole, accade così di lasciarsi affascinare ogni volta che la si osserva da un punto panoramico privilegiato o magari da certi terrazzini sospesi sui caruggi, ancor di più vedrete lo splendore della Superba se andrete sulla terrazza di Palazzo Reale in Via Balbi.
Il sontuoso edificio fu dimora della nobile famiglia Balbi che lo fece costruire intorno alla metà del ‘600, in seguito appartenne ai Durazzo e poi fu reggia dei Savoia, sulla guida del Chiozza risalente al 1874 viene definito Palazzo della Corona.

Ai nostri giorni è un prestigioso Museo Nazionale e vi sono esposti opere d’arte e quadri di celebri pittori come Van Dick e Tintoretto, una passeggiata in quelle sue stanze è davvero un viaggio a ritroso nel fasto della Superba.
E poi, sotto al blu di Genova, ecco la magnificenza della terrazza.

Camminare qui svela prospettive privilegiate dello splendido palazzo.

E il nostro passato si mescola al nostro presente, da qui si vedono grattacieli, traghetti, mare e porto.

E campanili, gru, tetti scintillanti di grigio.

E le perfette armonie di un prezioso edificio genovese.

Oltre ai tetti aguzzi vi capiterà di scorgere la sommità di un struttura in ferro: è il giardino d’inverno che sovrasta Via Balbi e Via Prè e che vi ho mostrato in questo articolo.

E da quel tetto sul quale è collocato il giardino d’inverno ho potuto fotografare Palazzo Reale in questa maniera.

E ho veduto questa prospettiva della terrazza.

In luoghi come questo credi di poter immaginare quello che è stato e che ora non è più, resta a noi il dovere di difendere e valorizzare le bellezze che ci sono state lasciate.

Davanti all’orizzonte celeste e chiaro si stagliano i bianchi marmi.

E attorno a voi Genova.
Genova e le sue passate grandezze di prepotente bellezza.

Genova incastonata tra le colline e il mare, Genova di ardesie, finestre, comignoli, scalette, caruggi dei quali da qui non puoi vedere il fondo.

Genova con il suo vento, le nuvole bianche che scorrono sul palazzo appartenuto alla nobiltà cittadina e ora patrimonio di tutti noi.

Genova che si riflette sui vetri, Genova così come la osservano le fiere figure ritte sulla balaustra.

Nel tempo che è stato e in quello che verrà.

Passeggiando sulla terrazza, con lo sguardo che trova il mare, la Lanterna, la città operosa e in continuo movimento.
Sotto di voi vedrete parte del risseu che decora il giardino del palazzo ma questa è un’altra storia che presto vi racconterò.

Semplicemente Genova.
Con i suoi contrasti e i suoi splendori, nelle affascinanti prospettive di Palazzo Reale.

La città della Lanterna

È la prima mostra dedicata al simbolo della Superba: Genova è da sempre la città della Lanterna e fino al 4 Febbraio 2018 potrete ammirarla a Palazzo Reale nell’esposizione curata da Serena Bertolucci e Luca Leoncini.
La Città della Lanterna, l’iconografia di Genova e del suo faro tra Medioevo e presente è un viaggio affascinante nella nostra storia.
Inizia così questo percorso nel passato di Genova, con un volume proveniente dall’Archivio di Stato: è un registro di conti dei Salvatori del Porto e del Molo, risale al 1371 e su questa pergamena è tracciata l’immagine più antica della Lanterna.
E qui l’emozione è tanta, colui che usava questo volume segnava meticolosamente le spese da sostenere per tenere acceso il faro che illumina la Superba.

La città della Lanterna è raccontata attraverso 200 documenti di diverso genere: stampe, carte topografiche, acqueforti, dipinti, cartoline e manifesti pubblicitari, non mancano le fotografie di Alfred Noack e una sezione è dedicata ai lavoratori del porto.
Sono esposti quadri di artisti di pregio come Giolfi, Garibbo e Caffi che con le loro vedute ci restituiscono un panorama a noi caro, a tratti è quasi difficile distinguere parti della città ormai molto mutate.
La Lanterna è sempre riconoscibile, è un luogo del cuore, immagine cara ritratta in diversi momenti storici.
La città della Lanterna viene così dipinta da Antoine Edmond Joinville nella metà del XIX Secolo.
Ingresso del Porto di Genova, vele bianche sospinte da vento favorevole e un’insenatura accogliente.

E se a Genova ci sei nato ti soffermi a cercare le case, le chiese, le strade che sempre percorri.
Ed è mare calmo e gozzi, sullo sfondo il profilo di una città che in un certo modo è rimasta fedele a se stessa.

I pezzi esposti provengono da diversi musei e da collezioni private, questa è quindi un’occasione straordinaria per ammirare opere mai vedute.
E se a Genova ci sei nato ti fermerai davanti al quadro di William Parrott: veduta di Genova dallo scoglio Campana, il dipinto risale al 1854.
Lo scoglio Campana non c’è più, è coperto da una strada percorsa dalle auto.
E il mare non arriva più fino a quel punto, la città della Lanterna ha cambiato aspetto.

In questa mostra si ripercorrono gli eventi del passato di Genova: una burrasca memorabile che nel 1821 sconvolse la città, il Bisagno con la sua piena vigorosa e la veduta dal Ponte Pila.
Sulle tele di valenti artisti sono dipinti i momenti drammatici della Superba e i suoi giorni eroici come il bombardamento del 1684 da parte della flotta del Re Sole e certi episodi del Risorgimento.
Ricorre quell’immagine cara, il simbolo della nostra città.

E poi, se a Genova ci sei nato, magari ti stupirai di scoprire che venendo da Sampierdarena così si vedeva la Lanterna e così la dipinse Luigi Garibbo.

E forse ti sorprenderà la Veduta del Porto Antico di Genova e di Palazzo del Principe dipinta da Ippolito Caffi.

In queste opere e in questo panorama di quieta semplicità tutto ci appartiene, questi dipinti parlano di noi e di ciò che siamo stati.
Questa è casa nostra, con il nostro amato faro.

E poi se a Genova ci sei nato ti stupirà ancora scoprire i luoghi ormai irriconoscibili come la Spianata del Bisagno dalle Mura di Santa Chiara, opera di Tommaso Castello del 1834.
Là, in quella vasta area, sorgeranno in seguito l’attuale Piazza della Vittoria e Piazza Verdi.

Vi ho mostrato alcune meraviglie di questa pregiata mostra, vi invito ad andare a vedere con i vostri occhi le vedute e le stampe, i volti di Genova e i suoi giorni distanti.
Tra passato e presente, questo è il ritratto di una città.

Io sono uscita da Palazzo Reale con una piccola e salda certezza: le vicende degli uomini passano, si celebrano gli eroi, restano nei libri di storia coloro che erano considerati nemici, i sovrani perdono le loro corone.
Il tempo tutto muta, nel flusso della storia.
Il vento soffia sempre, gonfia ancora le vele.

E la Lanterna con la sua luce brillante e viva ancora rischiara le notti della Superba.
Su un’acquaforte del 1571 così si legge: La tres celebre cité de Gennes.
La mia Genova, la città della Lanterna.

I tetti tra Via Balbi e Via Prè e un giardino d’inverno

Una passeggiata sulla città delle ardesie.
Una mattina di dicembre, dalle parti di Via Balbi.
E sì, come spesso accade mi sono dilettata in uno dei miei passatempi preferiti, salire su un terrazzo da dove si può ammirare la città dei tetti, così diversa e sconosciuta.
E’ sempre un’altra città, una diversa prospettiva.
E non solo, lassù c’è qualcosa di molto particolare che vi lascerà stupiti come è accaduto a me.
Una scala ripida e mi ritrovo qui, sopra i tetti della Superba.
E lassù in lontananza, un luogo noto a tutti i genovesi, Castelletto, il muraglione e gli alberi della Spianata.

Tetti di Genova (3)

Le chiese, i campanili e le case di Prè, e i merli delle torri di Porta dei Vacca.

Tetti di Genova (17)

E il mare, la linea celeste baciata dal sole, quassù dove si vedono gli abbaini.

Tetti di Genova (5)

E panni stesi, persiane e terrazzini, vedute imprendibili dalla profondità del vicolo.

Tetti di Genova (6)

Qui dove si sovrasta la luce e il buio.
A sinistra nella foto sottostante si nota la Piazzetta Inferiore del Roso, tutto muta da questo punto di vista.

Tetti di Genova (13)

E si nota un campanile, è quello dell’antica chiesa di Santa Fede, lì adesso si trovano gli uffici del Comune di Via delle Fontane.
Tutto muta, anche lassù dove si sfiora il cielo e dove il candido campanile svetta tra le grigie ardesie.

Tetti di Genova

 E tutto appare ancora da scoprire.
Cammino, questo non è un piccolo terrazzino, è il tetto di un intero edificio e io cammino, guardo giù.
Però non riesco a vederla via Prè!
Vedo i tetti, i vasi di fiori, il Galata Museo del Mare in lontananza e una grande nave da crociera.

Tetti di Genova (2)

E una cupola, questa è San Sisto, la chiesa di Prè.
E se sfidassi le vertigini e a salissi quella scaletta per ritrovarmi poi lassù?

Tetti di Genova (14)

E poi ancora, tetti, comignoli e il rosso splendore di Palazzo Reale.

Tetti di Genova (8)

Tetti di Genova (12)

Una città sopra la città, non puoi vederla a volte camminando in certe strade.
Devi salire in alto, sopra i tetti.
E ancora, ecco la cupola della Chiesa di San Vittore e San Carlo.

Tetti di Genova (15)

E poi guardando tra le case, Via Balbi e certi palazzi che in genere si guardano con il naso all’insù.

Tetti di Genova (16)

Ed è una giornata dal cielo limpido, quassù, sopra la città vecchia.
E per qualche istante giocate con la vostra fantasia, provate a immaginare di essere in altri tempi ospiti dei padroni di casa.
Oh, con questa giornata tersa certo vi porterebbero nel giardino d’inverno.

Giardino d'inverno

Stupore e meraviglia!
Un tempo questa struttura, ormai nuda, era tutta a vetri, splendore e luccichio sotto la luce del sole.
E quel che fu un giardino d’inverno conserva ancora un certo fascino.

Giardino d'inverno (1)

E allora osservo il cielo.

Giardino d'inverno (2)

Ed entro, passeggio tra le ombre di questi disegni, tra ciò che resta di un certo passato.

Giardino d'inverno (3)

E quasi pare che ancora riecheggi un gioioso chiacchiericcio e le risate, si sta bene nel giardino d’inverno, in certe giornate tiepide di fine anno.

Giardino d'inverno (4)

Quassù tra i tetti e le ardesie c’è uno dei tanti tesori poco conosciuti di questa città.

Giardino d'inverno (5)

Ringrazio di cuore il mio amico Gian che mi ha aperto la sua casa e mi ha mostrato questa meraviglia.
E poi sono rimasta ancora, a tentar di riconoscere luoghi a me cari, strade che frequento ogni giorno, eppure da quassù tutto muta, è bella e misteriosa la città dei tetti.

Tetti di Genova (11)

Tra ardesie, abbaini, piccole finestre, piazzette e vicoli, un rompicapo di strade sotto al cielo.

Tetti di Genova (9)

Mentre il sole abbaglia e inonda di luce chiara la Lanterna e il mare.

Tetti di Genova (10)

C’era una volta un imperatore…

C’era una volta una città sull’acqua e il suo simbolo era il re della foresta.
Una città incantata, posata come un gioiello sulla laguna, una città di gondole e di balli in maschera, una città unica al mondo, Venezia.
E sapete, laggiù un giorno accadde un fatto strano, i suoi leoni di pietra si risvegliarono creando grande scompiglio, correvano per le calli ruggendo minacciosi, il terrore serpeggiava nei campielli e lungo i canali.
Come si affrontano i leoni? Come si placano? Ma è semplice, raccontando loro fiabe della buonanotte per farli addormentare.
Fiabe che hanno come sfondo quella città fatata, Venezia.
Ma sapete cosa accadde?
Era inverno, spirava un vento gelido.
Forse voi lo ignorate, ma il vento porta i suoni, le musiche e le voci.
E un ruggito si levò e fluttuò nell’aria, attraversò le pianure e i monti, i laghi e i fiumi e senza perdere vigore rimbombò su un’altra città sull’acqua.
E sapete, anche laggiù c’erano dei leoni che si destarono dal loro sonno.
E alzarono la coda, si insinuarono giù per i caruggi e le persone presero a scappare terrorizzate, un fuggi fuggi tra vicoli e piazzette!
Bisognava ricorrere ancora alla magia delle fiabe e così ci pensò una bimba a raccontarle.
Così iniziano le fiabe: c’era una volta.
Leoni, state bravi, incrociate le zampe ed ascoltate, vi racconto una storia.

Leone

C’era una volta una città, tra le colline e il mare, una citta che tutti chiamavano La Superba.
E la nobiltà laggiù, faceva gran sfoggio d’eleganza.
Abiti sontuosi, broccati e morbidi velluti, sete scivolose  e pizzi,  coloro che possedevano molte sostanze sperperavano i loro denari in abiti ricchi e sfarzosi.
La fama di questa predilezione varcò i confini della città e arrivò in un lontano paesino immerso nelle umide brume delle Fiandre.
E due uomini partirono da lassù, in una fredda mattina nevosa, per giungere a Genova, la Superba, armati di astuzia e di parlantina sciolta.
I loro nomi?
Agostino e Filostrato, per servirvi, così si presentavano.
Costoro erano due scaltri malfattori, due truffaldini della peggior specie che si facevano passare per abili tessitori.
Aprirono persino una bottega, certo, accanto a molte altre di lunga tradizione.
In Piazza dei Tessitori, manco a dirlo, a poca distanza da Piazza delle Erbe.

Piazza delle Erbe

Piazza delle Erbe

Agostino e Filostrato, per servirvi.
Ago e Filo, signori genovesi, tessitori delle Fiandre e maestri d’un arte raffinata.
Oh, andavano dicendo che la loro stoffa era davvero speciale!
Non solo era una splendida manifattura dai colori brillanti, era preziosa quanto rara, i vestiti fatti con quella stoffa erano invisibili agli sciocchi e a coloro che non erano all’altezza della loro carica.
E andavano decantando la loro opera presso le più blasonate famiglie di Genova.
– Ago e Filo, per servirvi.
E giù con un ossequioso inchino.
Non avevano fatto i conti con il carattere dei genovesi, però.
– Foresti?
Oh, non se ne parla! A Genova non si da credito a nessuno, la fiducia bisogna conquistarsela, altrochè!
E sebbene andassero di gran moda i sofisticati tessuti delle Fiandre, i genovesi si rivolgevano solo a certi rinomati e fidati sarti, che cucivano da sempre  i guardaroba delle dame e dei loro nobili consorti.
Le speranze di Ago e Filo di tornarsene a casa con una borsa piena di denari sonanti erano ridotte al lumicino, che disdetta, ci voleva un colpo di fortuna!
Ci credereste? In capo a pochi giorni si presentò un’occasione speciale.
La città intera era trepidante per l’arrivo di un imperatore di un regno lontano con il quale i Genovesi avevano certi fruttuosi commerci.
E sapete, all’epoca a Genova si usava accogliere le autorità in alcuni magnifici edifici, detti Palazzi dei Rolli.
E tutti facevano a gara per avere l’Imperatore quale gradito ospite, Strada Nuova era in fermento.
Da chi andrà l’imperatore? Quali scaloni salirà?

Via Garibaldi

Da chi andrà l’imperatore? Quali scaloni salirà?

Palazzo Gio Battista Spinola

Lasciarono a lui la scelta, ma l’Iimperatore davvero non sapeva quale dimora privilegiare.
Si allontanò da Strada Nuova e in ogni  dove trovò palazzi tirati a lucido e  che cortili  lussuosi!

Palazzo Reale 5

E che luoghi regali!

Palazzo Reale

E che splendidi atri!

Via Garibaldi (2)

Fu davvero difficile per lui, ma alla fine dovette decidersi e scelse un magnifico palazzo con ampi saloni ricchi di marmi e stucchi, una vera reggia!
L’Imperatore era famoso per la sua vanità, amava viaggiare su un carrozza tempestata di rubini e su un altro cocchio, tutto d’argento, faceva trasportare i suoi bauli, pieni zeppi di mantelli e pellicce, di camicie fini e impalpabili, coi polsini impreziositi da bottoni pregiati, per non parlare poi della sua collezione di scarpe dalle fibbie luccicanti.
Genova è una piccola città, le voci corrono rapidamente e quando all’imperatore giunse notizia della stoffa magica di Ago e Filo, subito si affrettò a chiedere chiarimenti al nobiluomo che lo ospitava.
Costui, scuotendo il capo, rispose:
– Foresti! Non mi fiderei…
Ma l’Imperatore non diede retta, voleva quella stoffa, ad ogni costo!
Voleva un vestito invisibile agli sciocchi e a coloro che non erano all’altezza della loro carica!
E così venne mandato un valletto e Ago e Filo si presentarono al cospetto dell’Imperatore.
– Ago e Filo, per servirvi. La più magnificente stoffa delle Fiandre per voi!
E per tesserla serviranno oro e argento, seta finissima e lucida, la migliore del mondo.
Erano lì, in piedi al centro del salone, in uno splendido palazzo dei Rolli.
E davanti ad Ago e Filo c’era il nobiluomo genovese che perplesso aggrottava la fronte, mentre l’Imperatore si faceva prendere da crescente entusiasmo.
Attorno a loro i dignitari dell’Imperatore, alcuni parevano preoccupati, altri molto incuriositi.
Ah, finalmente gli stupidi e gli incompetenti sarebbero stati smascherati!
Ad Ago e Filo vennero inviati tutti i materiali preziosi che avevano richiesto e i due si misero all’opera con i telai.
Telai vuoti si intende, che truffatori!
Passarono i giorni e l’imperatore divenne impaziente.
Oh, voleva sapere a che punto era il lavoro!
E così mandò in Piazza dei Tessitori il suo ministro più anziano, un Duca dai cappelli rossicci e con la faccia lentigginosa, che di gran carriera imboccò proprio Vico del Duca.

Vico del Duca 1

Dapprima cercò di arrangiarsi, ma senza successo così cominciò a chiedere informazioni.
– Scusate, per Piazza dei Tessitori?
Malgrado le spiegazioni non ci si raccapezzava, caspita quella città era un labirinto!
A malincuore ritornò sui suoi passi e si precipitò a palazzo, supplicando di essere accompagnato da una persona del posto.
– Ecco il primo sciocco – pensò tra sé e sé l’imperatore – Figuriamoci se vedrà il mio vestito nuovo!
E dovevate vedere la faccia del ministro, quando si ritrovò davanti al telaio vuoto di Ago e Filo!
I due decantavano la bellezza della stoffa, la lucentezza dei ricami e il pover’uomo, che non vedeva nulla, impallidì.
Ma Ago e Filo continuavano a ripetere:
– Guardi che precisione! E che meraviglia di disegno!
Il Ministro annuì con convinzione e disse che davvero era magnificente, una stoffa unica e stupefacente!
E così disse all’Imperatore, la stoffa era davvero regale!
I due chiesero altri soldi, oro e seta per terminare l’opera e in breve tempo li ricevettero.
Venne inviato un altro dignitario.
E insomma, anche lui non vedeva un accidente, ma se ne guardò bene dal dirlo e confermò che quella stoffa era magnifica come nessun’altra.
E anche lui, come il Ministro, disse all’imperatore che era un lavoro perfetto.
L’imperatore volle così  vedere con i propri occhi la famosa stoffa e si recò con il suo seguito presso i due tessitori.
Sconcerto e sorpresa, sui telai c’era il vuoto!
Si avvicinò per guardare meglio, ma niente da fare! Che agitazione! Pareva che tutti quanti vedessero la stoffa tranne lui, i dignitari erano tutti stupiti ed entusiasti, un coro di elogi risuonava nella bottega.
– Oooh, che bella!
– Ma che meraviglia!
– Splendida!
E l’imperatore, sebbene un po’ interdetto, finì per dire che quella era davvero la stoffa più mirabile delll’universo, ricompensò i tessitori con molti denari e diede ordine che l’abito venisse confezionato.
– Che si prendano le misure per l’abito! – Esclamò Ago brandendo il metro.
– E che si tagli la stoffa! – Gli fece eco Filo.
Lavorarono tutta la notte e tutti i genovesi della zona videro quanto i due tessitori si adoperassero  per la buona riuscita del vestito nuovo dell’Imperatore.
Era previsto che lo indossasse per il grande corteo imperiale che doveva svolgersi per le vie della Superba.

Via Lomellini 4

Ago e Filo giunsero a Palazzo di buon mattino, entrambi con le braccia protese, come se reggessero il prezioso abito.
E dovevate vederli, mentre aiutavano l’imperatore a vestirsi!
E dovevate sentire i commenti degli astanti, che stupore e che sfarzo!
E lui, l’imperatore, si rimirava davanti allo specchio pavoneggiandosi senza ritegno!
Nessuno vedeva niente, ma ognuno se ne guardò bene dal dichiararlo, era un tripudio di elogi, i genovesi tutti e i dignitari dell’imperatore si profondevano in sperticate lodi sulla lievità dello strascico e sulle pieghe della maniche leggere come nuvole, sui dettagli preziosi di ogni singolo centimetro di quell’abito.
L’imperatore, altero e cerimonioso, si mise alla testa del corteo imperiale  e si mosse fendendo due ali di folla.
Incedeva a lenti passi, regale ed orgoglioso.
E al suo passaggio un brusio sommesso saliva con crescente entusiasmo, quale meraviglia il vestito nuovo dell’imperatore!
E poi d’improvviso, da un caruggio sbucò un ragazzino si fece largo tra la gente e al passaggio dell’Imperatore lo indicò con il dito e gridò:
– Ma non ha nulla addosso!
E allora tutti i presenti, come scossi, lo seguirono e si udì un coro che divenne una voce sola.
– Non ha nulla addosso! L’imperatore non ha nulla addosso!
E lui diventò rosso per la vergogna, lo sapeva bene di essere senza vestiti, ma per niente al mondo avrebbe smesso di ostentare la sua maestosa regalità.
Terminò così la sua sfilata, con la fierezza che si conviene a un imperatore, tronfio del suo splendido vestito nuovo.

E qui termina questo gioco, spero che vi siate divertiti.
Volete sapere se i leoni si sono riaddormentati? Ma certo, le fiabe della buonanotte funzionano sempre!
E ora credo di dover fare una dedica ed alcuni ringraziamenti.
Dedico le disavventure dell’imperatore a Ettore, il più piccino dei miei lettori, e ai suoi tre fratellini, i figli di Maddalena e Edoardo, i blogger di Farmacia Serra.
Il progetto dei Leoni Veneziani, antologia di fiabe ambientate a Venezia e scritte da diversi autori,  è un’idea originale di Andrea Storti,  con un fine nobile, complimenti a lui per la splendida iniziativa.
Grazie di cuore, con immenso affetto, al mio caro amico Chagall, che  mi ha regalato il libro e mi ha coinvolto con il suo travolgente entusiasmo per i leoni e per il fantastico mondo delle fiabe.
E grazie a un amico di tutti noi, Hans Christian Andersen, che scrisse la fiaba “I vestiti nuovi dell’Imperatore” da me liberamente interpretata ed ambientata nelle strade della mia città.
Lui ci ha lasciato parole per i nostri sogni, questo sono le sue fiabe.
E spero che lo scrittore danese non se ne abbia a male per questo mio volo di fantasia, lui che alla mia città dedicò queste parole:

Genova, poi, sorge sulle colline, in mezzo a oliveti verdi-azzurri. Nei giardini crescevano aranci e melograni, e i lucenti limoni verde pallido facevano pensare alla primavera, proprio allora che noi scandinavi ci approssimiamo all’inverno. I temi degni d’un quadro si succedevano l’un l’altro; per me tutto era nuovo e indimenticabile…

Hans Christian Andersen, Impressioni

Limoni

I limoni di Palazzo Reale

I limoni della principessa

E’ faticoso essere principesse, sapete!
Quando si è di sangue blu ci si ritrova a camminare in una galleria scintillante di specchi, si indossano abiti ricchi di pizzi e merletti, si portano complicate acconciature, si dorme in un letto a baldacchino e di mattina la cameriera spalanca le finestre e ti ritrovi il sole che ti batte sugli occhi!
Eh sì, tocca vivere in palazzi come questo, capirete che disagio, che difficoltà!

E poi si passeggia, sotto il cielo terso, riparandosi dalla luce con l’ombrellino.
Sono delicate le principesse, hanno pelle diafana e chiara, i capelli dorati, lisci come la seta, le mani curate,  le dita sottili.
E allora pensate che qui, un tempo, visse una principessa.

Palazzo Reale venne costruito dalla famiglia Balbi tra il 1643 ed il 1650, divenne poi proprietà della famiglia Durazzo e in seguito fu la dimora dei Savoia.
In questa occasione non vorrei dilungarmi sulle notizie storiche che riguardano questo meraviglioso palazzo, avrò modo di farlo nel futuro, vorrei piuttosto giocare con le suggestioni che esercita la visita all’atrio e allo spazio antistante, vorrei volare con la fantasia, in quel giardino che un tempo affacciava sul mare.
Ah, la principessa!
Non credete anche voi che sia esistito, in qualche tempo lontano e perduto, un nobiluomo che sospirava per lei?
E non sarà rimasto ad osservarla da questa cancellata, mentre lei si allontava verso il suo palazzo?

E poi, sapete, sono quasi certa che lui, l’innamorato, si sia dichiarato proprio qui, davanti al laghetto, si sarà inginocchiato davanti a lei e la nobile fanciulla, come si conviene al suo ruolo, si sarà mostrata timida e ritrosa.
Oh, veramente il cuore di lei palpita per quello spasimante, ma bisogna pur farsi desiderare!

E poi chissà, anche allora ci saranno stati ospiti indiscreti?

Ci sono occhi che veramente ti osservano curiosi da queste parti!

Sapete, qui c’è uno splendido albero di limoni, con le foglie lucide e verdi, rigoglioso e generoso di frutti, forse qualcuno vorrà riportarmi alla realtà e ricordarmi che questo albero è stato piantato in tempi recenti.
Oh no, assolutamente!
Giurerei che il limone si trova lì da secoli e secoli, testimone di promesse, languori e sospiri!

E il primo bacio, il primo bacio è avvenuto sotto quel lume, mentre intorno si diffondeva la fresca fragranza del limone.

Ci sono rami che si protendono e che contrasti di colore, che calda atmosfera!

Una carezza, le labbra che si sfiorano e poi la fuga, via, di corsa, reggendosi la gonna per non cadere, via, l’amore emoziona, a volte fa tremare, tentennare, intimorisce e spaventa.
Via, al riparo da ciò che scuote e smuove l’animo, via, lontano dai tremori e dai brividi, via, al sicuro, nel silenzio delle proprie stanze.

Ma poi scende la sera, il sonno tarda ad arrivare.
Ed è notte, notte profonda, scura e senza suoni.
Ed è il respiro che segue lo scorrere del tempo, ed è il ricordo che rende lieve l’attesa.
Un sorriso, un pensiero.
Lui tornerà, tornerà!
Un pensiero, un battito, lo sguardo che si rasserena.
Lui tornerà e sarà lungo il viaggio, sulle strade della vita, a volte irte di sassi, a volte in discesa, tra le salite e i dossi, un orizzonte davanti e una nuvola di polvere che si alza.
Un viaggio, scandito dal battito di due cuori.