Alzando lo sguardo in Vico degli Adorno

Alzando lo sguardo in Vico degli Adorno si trova, netto e chiaro, un simbolo della religione cattolica: è il trigramma di Cristo, le lettere IHS che indicano il nome di Gesù.

L’antico bassorilievo si compone di diversi elementi che sempre testimoniano l’autentica devozione che si ritrova in queste vie dalla lunga storia: una Madonna con il Bambino così è posta sulla sommità del bassorilievo.

Due figure reggono la ghirlanda che racchiude il simbolo di Gesù, ai lati di queste figure si distinguono le due lettere T e A.
Alla base è scolpita le seguenti parole in latino: pax huic domui che significano pace a questa casa.

E attorno ci sono anche alberi rigogliosi.

E ancora due stemmi ormai abrasi.

Alzando lo sguardo in Vico degli Adorno si ritrova una di quelle prospettive tipiche della città vecchia: le case dai colori caldi, un certa sicura genovesità.

E si ammira il chiarore del cielo lucente.

Vico degli Adorno è un breve caruggio e inizia da Via Lomellini, si trova proprio di fronte alla dimora natale di Giuseppe Mazzini oggi Museo del Risorgimento.
E così alzando lo sguardo in Vico degli Adorno si vedono le bandiere che sventolano davanti a quelle finestre e come sempre accade, in queste strade ricche di storia, un pensiero si rivolge a chi le ha percorse prima di noi: alcuni divennero personaggi importanti per la città e per la nazione, altri furono solo persone semplici che vissero le loro vite in un tempo diverso dal nostro.
E come noi, in un giorno distante, alzarono lo sguardo in Vico degli Adorno.

Nostra Signora di Loreto: il Santuario dei patrioti

Vi porto con me nella quiete di una chiesa molto cara ai genovesi: il Santuario Nostra di Loreto si staglia contro l’azzurro del cielo e si erge maestoso sulla Piazza di Oregina.

È una chiesa ampia e vasta, la sua edificazione risale agli inizi del ‘600 e venne realizzata nel luogo dove pochi anni prima era stata costruita una piccola cappella fondata da alcuni monaci.
Il Santuario fu arricchito da molte diverse opere e abbellito grazie alla generosità di molti benefattori.
E sebbene non tutto sia come era in origine Nostra Signora di Loreto resta una chiesa splendida e molto suggestiva.

Un santuario, una città, la sua storia.
Andiamo così ai tempestosi giorni del 1746 quando in città infuriano i combattimenti contro l’invasore austriaco.
È il 9 Dicembre e Genova è in tumulto: al Santuario si trova un religioso, il suo nome è Candido Giusso e prega per la salvezza di Genova e del suo convento.
Scende la notte e, narrano le cronache, accade un fatto straordinario.
Padre Giusso apre la finestra e vede la luna e poi tra le nuvole gli appare la figura dell’Immacolata Concezione con la serpe ai suoi piedi, poco distante, in ginocchio e in devota preghiera, c’è Santa Caterina da Genova.
E Padre Giusso continua a pregare, quell’apparizione dura piuttosto a lungo.
Il giorno successivo segna un punto di svolta per la città: è il 10 Dicembre 1746, sono i tempi del Balilla e di molti altri eroi che portano a termine la sconfitta e la cacciata degli austriaci.
Il Senato, giunto a conoscenza dell’apparizione, stabilisce così che poi si debba sempre rendere grazie alla Madonna per aver salvato Genova dal nemico.
Si decide così che ogni anno, il 10 Dicembre, le autorità si recheranno in pellegrinaggio al Santuario.
E là, sulla facciata, è dipinta la scena di quell’apparizione.

Padre Candido qui riposa, nel silenzio della sua chiesa.

Ogni anno così i fedeli si recavano il processione al Santuario, questo accadde fino al 1810 quando un decreto napoleonico stabilì la soppressione degli ordini religiosi e il Santuario venne chiuso per poi riaprire tre anni dopo.

Sull’altare, con questa grazia, è posta la statua della Madonna di Loreto.

Trascorsero poi altri anni e giunse il tempo di diversi furori.
È il 10 Dicembre 1847 e ad infiammare i cuori dei genovesi è un prode ragazzo indomito e valoroso: il suo nome è Goffredo Mameli.

Goffredo Mameli, olio su tela di Domenico Induno
Opera conservata all’Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento di Genova

Sono trascorsi 101 anni dal giorno dell’apparizione e il corteo che salirà al Santuario è straordinario ed eccezionale, questo evento passerà alla storia e non verrà dimenticato.
E ci sono 35.000 persone e sventolano le bandiere e battono i cuori e forte si leva un canto: è il Canto degli Italiani scritto da Mameli su musiche di Michele Novaro.
È il nostro inno nazionale, cantato per la prima volta nelle strade di Genova: così si rinnova il ringraziamento a Maria e al tempo stesso si riafferma il desiderio degli italiani di essere una sola nazione.
Guidati da Mameli i patrioti cantano con l’intensità del loro amor patrio, di quel 10 Dicembre scrissi già tempo fa in questo articolo.
I patrioti salgono su per le creuze ripide di Genova e intonano quelle parole che anche noi conosciamo.
Questa scala che conduce al Santuario è denominata Scalinata Canto degli Italiani.

E poi immaginate quei valorosi mentre giungono in questo luogo che è anche uno straordinario punto panoramico: dalla Piazza di Oregina si vedono Genova, il suo porto e i suoi tetti, quell’orizzonte infinito come gli ideali di Goffredo Mameli.

È un luogo dalle molte suggestioni e se verrete a Genova vi invito a scoprirne la bellezza.

È una chiesa ampia e luminosa, cosi suggestiva e densa di storia di Genova e della nostra nazione.

Qui riposa anche un valente artista, lo scultore Bartolomeo Carrega.

E tra queste mura dorme il suo sonno eterno il patriota Alessandro De Stefanis, protagonista dei moti genovesi contro il governo sabaudo.

L’epigrafe sulla sua tomba ci ricorda il suo valore e il suo coraggio.

Qui, nella bella chiesa di Oregina potrete ammirare un dipinto di Giovanni Maria delle Piane, detto il Molinaretto, artista vissuto tra il 1660 e 1745.
È l’Angelo Custode che così lieve si libra nell’aria, ho una particolare predilezione per questo quadro.

Vi è anche un quadro del pittore seicentesco Giovanni Andrea Carlone: questo è San Giuseppe con Gesù fanciullo.

E dolce è lo sguardo della Madonna di Loreto posta sull’altare.
Questa statua un tempo era collocata all’interno di una piccola costruzione situata davanti all’altare al centro della navata ed edificata ad imitazione della casa di Nazareth, questa piccola cappella fu poi rimossa negli anni ‘20.

Armoniosa è la grazia di certe figure che ammirate in questa chiesa, statue di santi sono collocate nelle nicchie sulle pareti laterali.

Il sole attraversa le vetrate e così ravviva i colori.

In questo luogo di fede così legato alla storia di Genova e alla fede autentica dei genovesi.

Questa è la bellezza di Nostra Signora di Loreto, il Santuario dei patrioti.

10 Marzo 1872: uno scialle a quadretti per Giuseppe Mazzini

Fu un giorno funesto per coloro che amavano la libertà, fu una data che entrò a far parte della storia d’Italia: era il 10 Marzo 1872.
A Pisa, in casa di Pellegrino Rosselli e Janet Nathan, figlia della mazziniana Sarah, sotto il falso nome di George Brown si nasconde il nostro Giuseppe Mazzini e questo sarà il suo ultimo giorno di vita: Mazzini muore lasciando un vuoto incolmabile tra coloro che lo amano e seguono i suoi ideali.
Grandiose saranno le esequie per questo figlio di Genova così amato e tormentato, Mazzini tornerà nella sua città e riposerà il suo sonno eterno al Cimitero Monumentale di Staglieno dove ancora adesso ci rechiamo a rendergli il dovuto omaggio.

In quei suoi ultimi istanti, circondato dall’affetto dei suoi sodali, un calore lo accolse e lo confortò.
Nei giorni della sua malattia, a scaldare il suo cuore e il suo corpo fragile fu una cosa a suo modo sacra e tanto cara a Mazzini: uno scialle di panno di lana a quadretti bianchi e neri, in quello scialle era stato avvolto Carlo Cattaneo, morto nel 1869.
Mazzini aveva conservato gelosamente quello scialle e quello scialle avvolse anche lui nelle sua malattia e nell’istante dei suo addio.
Ai nostri giorni quel cimelio è esposto al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova e dalla legenda si apprende che quel panno coprì anche la salma di Maurizio Quadrio il 14 Novembre 1876.

Questa cara cosa che univa uomini affini per credo ed ideali viene anche citata nel testamento di Agostino Bertani riportato all’interno del volume Agostino Bertani e i suoi tempi di Jessie White Mario.
Il panno era infatti in possesso di Bertani ed egli lo destinò ad un altro patriota caro amico di Mazzini e di Bertani medesimo, queste sono le parole del testamento:

“Lascio all’amicissimo mio Adriano Lemmi, di Livorno, abitante in Firenze, Via della Scala N° 50, od a Roma, Via Nazionale N° 54, la cassetta che è nel mio salotto in Genova, di vari legni americani, contenente il panno che avvolse C. Cattaneo e G. Mazzini malati e morti, affinché egli, patriotta inarrivabile e mai chiassoso, lo conservi e lo faccia conservare da’ suoi figliuoli, caro pegno di dolore, e ricordo di ammirazione ed esempi da seguirsi per il bene della patria nostra.”

 5 giugno 1885 – Agostino Bertani

Busto di Giuseppe Mazzini Opera di Santo Saccomanno
Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

In questo 2022 ricorrono i 150 anni dalla morte di Giuseppe Mazzini.
Patriota fervente, fiero e indomito figlio della Superba e dell’Italia, Mazzini fu uno dei migliori pensatori e cittadini che questa nazione abbia mai avuto.
Lo ricordo, sempre con immutato affetto e con la fierezza di essere sua concittadina, vado molto orgogliosa di poter dire: sono genovese, come Giuseppe Mazzini.
Lui, celebre e compianto figlio di questa città e dei suoi caruggi, venne ritratto da Davide Dellepiane in quegli ultimi momenti di vita.
Lascio le cose terrene e lasciò anche la sua eredità di pensieri e parole, una ricchezza autentica per noi.
Era il 10 Marzo 1872 e ad avvolgere le membra stanche di Mazzini era uno scialle a quadretti bianchi e neri,

Davide Dellepiane – Mazzini sul letto di morte
Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Domenico Cardente: il destino di un esule

Questa è la storia di un patriota, un ragazzo venuto dal Sud vissuto nell’epoca risorgimentale.
Domenico Cardente appartiene ad una ricca famiglia di Marzano Appio, in provincia di Caserta, il giovane respira già in casa il fervore degli ideali unitari e e insieme a suo fratello Felice entra a far parte della Carboneria.
Sono tempi convulsi, la gioventù di questi patrioti si spende nel perseguimento di uno scopo politico ed è proprio il fratello Felice ad essere una figura cardine di quel tempo.
Felice è laureato in diritto civile ed è uno dei più appassionati sostenitori dell’Unità d’Italia: tra le vicende che lo riguardano una in particolare mostra la caratura del personaggio.
È il 1860 quando le sue azioni divengono particolarmente sgradite al governo borbonico: Felice e il fratello Cesare vengono arrestati e gettati in un’oscura prigione del carcere di Gaeta.
Dopo poco Felice Cardente, con le catene ai polsi e ai piedi, da Gaeta viene condotto nel carcere di Teano.
In seguito giunge in quella località il Generale Giuseppe Garibaldi con le sue vittoriose Camicie Rosse: in quel 26 Ottobre si compie infatti lo storico incontro di Teano tra il Generale Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
E sempre in quel medesimo giorno è Garibaldi stesso a far liberare i due fratelli Cardente.

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano 

A partire dal 1861 Felice Cardente sarà Deputato dell’Ottava Legislatura del Regno d’Italia e coprirà questa carica fino al 1865, anno della sua morte.
E suo fratello Domenico?
Per riprendere i fili della storia di lui occorre fare un passo indietro e tornare al tumultuoso 1848, in quell’anno Domenico con il fratello Felice è protagonista dei moti rivoluzionari: le sue azioni e le sue iniziative politiche lo mettono in pericolo e costringono il giovane Domenico all’esilio, così egli lascia la sua terra.
Approderà in questa città, vivrà stimato tra i molti esuli che popolano le vie di Genova.
Dei suoi giorni genovesi si trova traccia nel volume Alessandro Poerio a Venezia, lettere e documenti del 1848 edito nel 1884 da Morano (Napoli).
In questo libro si legge che Domenico Cardente visse con alcuni compagni emigrati in Albaro: insieme a lui c’erano l’eroico combattente Gaspare Musto e i fratelli Mezzacapo.
La dimora nella quale essi abitarono è celebre in quanto tra queste stesse mura aveva vissuto anche il poeta Lord Byron.

Tra le righe di questo volume è riportato poi anche un altro aneddoto.
Ci fu un periodo durante il quale il nostro Domenico dimorò in un mezzanino in cima a Via Luccoli, le finestre della sua casa erano alla stessa altezza di Piazza Fontane Marose.

Un bel giorno uno di questi patrioti era là nella casa del Cardente e se ne stava a declamare una sua tragedia mentre un altro, attorniato da altri emigrati, si affacciava dalla ringhiera in Fontane Marose e sporgendosi scherniva il suo compagno.
Ora quando passerò di là sarà per me inevitabile pensare a tutti loro, credetemi!

Non so dirvi quale vita condusse in questa città Domenico Cardente: era lontano dalla sua casa, qui aveva la sua rete di sodali, con i suoi amici condivideva idee e convinzioni politiche.
Come lui, anche loro avevano lasciato le loro terre, erano esuli in un luogo lontano e distanti dalle loro case.
Per mie motivazioni personali ho avuto modo, in passato, di approfondire la storia di altri esuli e devo dire che, a volte, queste vicende umane hanno diversi punti in comune.
Non so quali altri affetti abbia trovato Domenico Cardente qui a Genova: era un uomo giovane e appassionato, ardeva per i suoi ideali e forse qui trovò anche l’amore di una donna.
Ho seguito la traccia di Domenico e ho così trovato notizie di lui e del suo più celebre fratello nel volume Il Parlamento del Regno D’Italia descritto dal Cavalier Aristide Calani Milano 1860.
E arriviamo così all’epilogo di questa vita così breve ed intensa.
Accadde in un giorno d’estate del 1852: in quella stagione calda il destino di Domenico Cardente si compì.
Il giovane esule morì, ad appena 29 anni, colpito da una malattia polmonare che non gli diede scampo, la notizia è anche riportata dal Giornale Italia e Popolo del 10 Luglio 1852.
Ad assisterlo amorevolmente fino all’ultimo istante fu il Generale Enrico Cosenz, il cronista del Giornale Italia e Popolo ricorda con un certo rammarico che ad aggravare la situazione di Cardente fu anche la sofferenza dell’esilio.
Gli resero onore i suoi amici più cari, un discorso accorato fu pronunciato dal patriota Francesco Carrano.
Forse vi chiederete cosa mi abbia spinto sulle tracce di un giovane così votato all’ideale patriottico.
Un giorno, all’ombra della Galleria Inferiore a Ponente del Cimitero Monumentale di Staglieno, ho letto il suo nome.
Domenico Cardente.
Esule da Napoli.

Allora oggi io sono qui, a pronunciare ancora una volta il suo nome.
Questo, in qualche modo fa ancora la differenza, a parer mio.
A un certo punto il tempo posa il suo velo sulle vite, sulle fatiche di ognuno, sui pensieri e sugli ideali per i quali alcuni sacrificano la propria esistenza.
Domenico morì nel fiore della sua giovinezza, non vide l’Italia unita che desiderava costruire.
Una volta ancora, ripeto il suo nome, fatelo con me.
Domenico Cardente.
Esule da Napoli.
Visse per 29 anni.
Onorato e della patria amatissimo.
Questo è il mio ricordo di te, Domenico, scritto in un tempo che non hai conosciuto, nella città che ti accolse, in questa Italia che adesso esiste anche grazie ai giovani valorosi come te.

Antonio Burlando: uno dei Mille di Marsala

La fierezza, il coraggio e un nome da ricordare: Antonio Burlando, nato a Genova il 2 Dicembre 1823, nella sua città lasciò le cose del mondo il 23 Novembre 1895.
Protagonista delle battaglie risorgimentali il suo nome risplende tra quelli di coloro che fecero l’Italia, la sua figura si staglia eroica all’ombra degli alberi del Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove egli riposa effigiato nei tratti dal valente scultore Demetrio Paernio.

Le parole poi, a volte, narrano di noi la nostra essenza e ciò che siamo stati.
Le parole delineano le azioni, la volontà, il segno che abbiamo lasciato nel mondo.

Per Antonio Burlando le scrisse Anton Giulio Barrili che compose il testo della lapide esaltando le gesta di lui e il suo contributo alla causa garibaldina.
E così si legge: Antonio Burlando uno dei Mille di Marsala.
Solo a leggere quella semplice frase ti accorgi che quelle parole racchiudono un intero credo e svelano il senso di appartenenza ad una schiera di intrepidi sodali uniti da una causa comune.
Uno dei Mille di Marsala, uno di loro.
Uno che combatté per la nostra bandiera e per la nostra Italia unita.
Uno che guidò i suoi compagni alla battaglia.
E solo a leggere quella frase ti pare di vederli tutti vicini quei giovani che salpano con il vento in faccia e lasciano lo scoglio di Quarto, tra di loro c’è anche lui: Antonio Burlando, uno dei Mille di Marsala.

Burlando era membro della Società del Tiro a Segno e apparteneva al Corpo dei Carabinieri Genovesi, un gruppo di valorosi così narrati dalla penna di Giulio Cesare Abba nel suo volume Storia dei Mille:

“Ora ecco i Carabinieri genovesi, quasi tutti di Genova, o in Genova vissuti a lungo, mazziniani ardenti, armati di carabine loro proprie, esercitati nel tiro a segno da otto o nove anni i più, gente che s’era già fatta ammirare nel 1859, ben provveduta, colta, elegante. “

Egli fu nelle file dei garibaldini tra i Cacciatori delle Alpi nella guerra del 1859, così luccica la sua spada sotto il sole che filtra tra gli rami fitti di Staglieno.

Se poi vi recherete a visitare il Museo del Risorgimento e Istituto Mazziniano tra i molti cimeli appartenuti agli eroi di quel tempo glorioso troverete anche la divisa del Colonnello Antonio Burlando, sulla stoffa rossa sono appuntate otto diverse medaglie.
C’è anche la sua carabina e su di essa è fissato un foglio scritto dallo stesso Burlando dove egli dichiara che l’arma gli era stata donata da Felice Orsini, Burlando la usò nelle campagne del 1859 e 1860.

L’eroico genovese riportò una ferita ad una gamba durante la battaglia di Calatafimi, da ardente patriota seguì ancora Garibaldi nel 1866 e nel 1870, in seguito fu consigliere comunale della città per la lista democratica.
E quelle medaglie fieramente appuntate sulla sua giacca rossa sono fedelmente riprodotte anche nel busto collocato a Villetta Di Negro.

E ancora sono ricordate le gesta del prode colonnello.

Ritto, nella sua sua fiera postura così è ritratto l’eroe di numerose battaglie nel monumento forgiato in sua memoria.

Il suo è un nome da onorare, lui era Antonio Burlando: uno dei Mille di Marsala.

Ottobre 1880: l’ultima visita di Garibaldi a Genova

Questo è il ricordo di un frammento di storia: accadde a Genova in un giorno d’autunno del 1880.
Nella Superba ritorna per l’ultima volta un grande condottiero, nel corso della sua vita con le sue azioni e con la forza della sua grandezza egli ha mutato le sorti di una nazione.
È Giuseppe Garibaldi, il generale è avanti negli anni, è ammalato e molto affaticato.

Opera esposta presso l’istituto Mazziniano Museo del Risorgimento

Garibaldi giunge nella città dei patrioti per far visita alla figlia Teresita e per mostrare conforto e vicininanza a lei e al suo consorte Stefano Canzio all’epoca rinchiuso in prigione con l’accusa di attività sovversive.
Il generale è ormai anziano ma negli occhi ha ancora quella passione e la tempra che hanno guidato ogni sua azione, ha ancora grande ascendente sul popolo, tutti lo amano e lo idolatrano.
Il mito dell’eroe risorgimentale a volte sconfina nell’agiografia e la figura dell’uomo sembra così assumere tratti leggendari come in questo episodio che vi narrerò.
Lo riferisce Angelo Balbi che fu testimone di ciò che accadde in quel giorno di Ottobre 1880, Balbi ne scriverà sulle colonne del quotidiano il Lavoro nel giugno del 1926.
E racconta della casa che ospitò il Generale, in città si diffonde veloce la notizia dell’arrivo del nizzardo.

Ed è sera, sotto a quelle finestre accorre una folla festante e rumorosa, sono uomini e donne che vogliono testimoniare il loro affetto al Generale.
A Genova c’è Garibaldi, tutti vogliono rendergli omaggio.
Ardono le fiaccole che fiammeggiano gioiose, le persone corrono su per la salita e si accalcano davanti al portone e lungo la strada, Via Assarotti è gremita di gente.
Si levano le voci, tutti chiamano il Generale, vogliono vederlo e lodarlo ancora per le sue gesta.
E ad un tratto, la finestra si apre.
Appare un uomo che in una mano regge un lume: alle sue spalle in carrozzella c’è Giuseppe Garibaldi circondato dai suoi cari amici.
E dalla folla si levano voci ancor più fragorose, tutti acclamano l’Eroe dei due mondi con autentico affetto e stima ed egli risponde con il suo sorriso franco ed aperto.
L’edificio che ospitò il Generale Giuseppe Garibaldi è il civico numero 31 di Via Assarotti.

Angelo Balbi che tramandò i suoi ricordi di quell’evento usò parole commosse e coinvolgenti, scrisse che il Generale aveva dipinta sul volto autentica bontà.
Su quella casa dove visse Teresita e che ospitò il suo celebre padre è affissa una targa in memoria di un giorno che fece battere i cuori dei genovesi che acclamavano lui: il Generale Giuseppe Garibaldi.

Sui passi di Niccolò Paganini

Forse non tutti sanno che è possibile camminare per le strade di Genova seguendo i passi di uno dei suoi più celebri figli, il musicista e compositore Niccolò Paganini.
Nella sua città natale gli è stato dedicato un percorso, a dire il vero non so quanti genovesi conoscano le targhe che sono poste nei luoghi della vita del grande violinista, in ogni caso basta recarsi all’Ufficio di Promozione Turistica del Comune e lì troverete un opuscolo con una cartina sulla quale sono i segnati i luoghi della Genova di Paganini.
Io ho trovato una di queste targhe per caso diverso tempo fa e in seguito ho veduto le altre, a volte a Genova bisogna camminare guardando per terra.
Passate in Via Lomellini e fermatevi davanti alla Chiesa di San Filippo Neri.

Luccica la targa di ottone e racconta di un ragazzino appena undicenne che suona per la prima volta da solista in questa chiesa.

Spostatevi poi in Via Garibaldi e precisamente all’inizio del Vico del Duca, il caruggio posto di fronte a Palazzo Tursi.

E qui si ricorda ai passanti che il prezioso violino del celebre musicista è conservato proprio a Palazzo Tursi.

Ed è ancora giovanissimo il nostro Niccolò quando si esibisce per la seconda volta nella Basilica delle Vigne davanti ad ammirati spettatori.

Accade nel giorno della la festa di Sant’Eligio, patrono degli Orefici, antica corporazione che elesse questa bella chiesa a propria sede religiosa.

Il geniale talento di Paganini lo conduce poi sul blasonato palcoscenico del Teatro Carlo Felice.

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Ed è il trionfo, a questa prima esibizione ne seguirà un’altra e l’incasso sarà interamente devoluto a famiglie di persone in grave difficoltà.

Troverete questa ed altre informazioni nell’opuscolo dedicato alle targhe, la breve guida è curata con grande attenzione dall’Associazione Amici di Paganini, sono riportati anche dei brani tratti dalla Gazzetta di Genova dell’epoca con la narrazione degli eventi ai quali si riferisce una certa targa.
E non vi svelo nulla di più, vi lascio il piacere di scoprire per conto vostro certi dettagli.
Luci ed ombre, nella vita di Paganini ci fu anche il carcere, il nostro geniale violinista finì nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale.

Accadde a causa di una relazione che egli ebbe con una certa Angiolina Cavanna, di quella storia travagliata ho già avuto modo di scrivere in questo articolo dedicato agli amori appassionati del musicista.
La traccia di quella vicenda resta in una targa che trovate nelle vicinanze del carcere dove Paganini venne recluso.

In questo percorso manca un luogo molto importante ed è assente per una precisa ragione in quanto non esiste più, tuttavia io aggiungo questa tappa alla nostra passeggiata.
Infatti, malgrado l’edificio sia stato demolito, c’è ancora la memoria della casa in cui nacque il nostro Niccolò e per trovarla vi basterà oltrepassare questo archivolto che si trova in Campo Pisano.

Al di là di esso c’è questo luogo dove vado poco volentieri, dire che lo detesto è veramente riduttivo.


Qui nulla vi parla di Genova e della sua vera anima, soltanto il Ponte di Carignano risveglia la memoria di luoghi ormai scomparsi.

La casa natale di Niccolò Paganini si trovava in Passo di Gatta Mora, anche di questo luogo perduto ho già avuto modo di scrivere in passato in questo articolo, sulla facciata c’era un’edicola con una Madonnetta ora conservata al Museo di Sant’Agostino.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Sono stata in questi giardini solo per fotografare la targa che rammenta la storia di questo luogo.
La lastra sottostante non è chiaramente leggibile e così sotto la foto riporto il testo.

ALTA VENTURA SORTITA AD UMILE LUOGO
IN QUESTA CASA
IL GIORNO XXVII DI OTTOBRE DELL’ANNO MDCCLXXXII
NACQUE
A DECORO DI GENOVA E DELIZIA DEL MONDO
NICOLÓ PAGANINI
NELLA DIVINA ARTE DEI SUONI INSUPERATO MAESTRO

Resta di Niccolò Paganini l’atto di battesimo, lo trovate nella Chiesa di San Donato.

Luoghi del quotidiano per noi.
A Genova guardate a terra, qualche volta.

La grandezza di un artista non si perde come le pietre di un’antica casa demolita dalla mano dell’uomo, la grandezza di Paganini sopravvive alle cose terrene e rimane eterna nella sua musica e nelle sue note.

Opera conservata presso l’Istituto Mazziniano
Museo del Risorgimento

Questo percorso vi conduce nei luoghi della sua vita, le tappe sono 11 ed io ve ne ho mostrate di proposito soltanto alcune, in certi punti di Genova riluce una targhetta di ottone sulla quale è incisa la firma di un grande musicista.
Cercate queste targhe, scopritele ed emozionatevi.
In memoria di un grande genovese, in memoria di Niccolò Paganini, eternamente vivo nelle sue inconfondibili note.

A tavola con Giuseppe Garibaldi

Oggi vi porto a tavola con Garibaldi, un amante della buona cucina e dei semplici piatti  casalinghi.
Non era arduo accontentarlo, delle sue preferenze in fatto di manicaretti si legge in diversi libri, l’argomento è stato anche approfondito tempo fa nel corso di una mostra curata dalla Dottoressa Ponte e dalla Dottoressa Bertuzzi del Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano, in quella circostanza ho avuto occasione di fare scoperte interessanti sui gusti dell’Eroe dei Due Mondi.

Garibaldi

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

A scrivere del suo illustre genitore è la figlia Clelia, è lei a rammentare che a Caprera Garibaldi teneva capre, pecore e mucche che fornivano delizioso latte fresco.
Ed è lei a riferire che il nostro caro Peppe amava i piatti genuini, prediligeva il minestrone alla genovese con il pesto e gustava volentieri un buon piatto di stoccafisso.

Mangiabuono (9)

Nel lontano Sud America aveva imparato ad apprezzare le grigliate di carne, da vero nizzardo amava la tradizionale bouillabaisse, sceglieva spesso pesce oppure selvaggina, era goloso di ricci di mare e gamberetti.
Gradiva le fave, il pecorino e le olive in salamoia, Garibaldi era un buongustaio, a mio parere.

Bottega dello Stoccafisso (11)

L’Eroe dei Due Mondi, il Generale, colui che guidò gli ardimentosi in camicia rossa.
A volte l’immaginario restituisce una figura che in parte non corrisponde alla realtà e pensando a Garibaldi parrebbe quasi ovvio figurarselo mentre assapora un buon bicchiere di vino rosso insieme ai suoi fidati compagni.
Le cronache riferiscono tutt’altro: Peppe non beveva vino, si dissetava con l’acqua o con il mate, un infuso tipico del Sud America.
E a quanto si legge gli piaceva anche l’orzata, chi l’avrebbe mai detto!

Garibaldi (2)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Tra le memorie portate all’attenzione del pubblico al Museo del Risorgimento anche il ricordo di un celebre garibaldino, Giuseppe Cesare Abba.
Egli narra di una tavola imbandita con semplicità, nel piatto di ogni ospite un fragrante pane casalingo.
E poi queste le portate:

“Venne subito servita una gran minestra alla genovese, poi un piatto di baccalà, poi una fetta di melone; e via così, come se del bisognaccio umano di mangiare, ognuno, primo il Generale, cercasse di sbrigarsi alla più lesta possibile.”

(Giuseppe Cesare Abba – Cose Garibaldine – Torino Società Tipografico Editrice Nazionale 1907)

Giuseppe Cesare Abba

Giuseppe Cesare Abba

Nella sana alimentazione di Garibaldi non mancava mai la frutta che egli stesso raccoglieva: arance sugose, fichi maturi e croccante uva.

uva

Riguardo ai dolci aveva un debole per quelli che diverranno famosi con il suo nome: i Biscotti Garibaldi.
Con rammarico devo dire che non li ho mai assaggiati, pare che siano tuttora venduti in Inghilterra e che siano fatti di una base di galletta del marinaio arricchita con uva passa.
Sarà il caso di provarli, al Generale piacevano moltissimo!
Anche lui come Mazzini amava i biscotti del Lagaccio, a spedirglieli da Genova era il suo fidato amico Luigi Coltelletti.

Biscotti del Lagaccio

Ed era la moglie di Coltelletti a preparare per Garibaldi una bontà tutta genovese, la Signora Carlotta faceva un delizioso pandolce e per le feste ne mandava sempre uno al Generale.
Sapori che conosciamo, cibi quotidiani per molti di noi, alla tavola del nostro Peppe forse non era difficile sentirsi a proprio agio.
Una tazza di mate e una fetta di pandolce, una merenda semplice per un grande eroe.

Pandolce (2)

Giuseppe Garibaldi e una leggendaria partita a bocce

È un giorno d’autunno del 1853 e un gruppetto di persone percorre Salita di Oregina, l’ultimo della fila è un garzone e porta una pesante cesta sulle spalle.

Salita di Oregina (2)

Davanti a lui ci sono un ragazzino e una bambina bionda, lei ha una lunghissima treccia che le arriva sino alla vita, entrambi seguono con passo spedito il loro papà.
Lui ha capelli fulvi e una folta barba, indossa uno scenografico poncho e altri non è che l’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi.

Garibaldi

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

La strada è ripida e impervia, si inoltra in luoghi di verde campagna, con case basse immerse nell’aria pura.

Salita di Oregina (3)

Salite, curve, viali e finalmente la bella compagnia giunge a destinazione, un cancello si apre e ad accogliere calorosamente Garibaldi è il suo sodale Luigi Coltelletti.

Salita di Oregina

Il giovane garzone posa la cesta con i doni del mare destinati all’amico di Garibaldi e l’eroe, dopo aver ascoltato la triste storia di questo ragazzo e le miserie della sua famiglia, lo ricompensa con diverse monete sonanti.
È una giornata dal clima dolce sulle alture di Oregina, così i due amici pensano bene di dilettarsi con un piacevole passatempo: una partita a bocce.

Bocce (4)

Il campo che fa al caso loro è proprio lì sotto, davanti alla villetta di un certo Boero il quale non se lo fa ripetere due volte: appoggia una scala al muro e in men che non si dica Garibaldi e il suo amico scendono, da lì a poco avrà una leggendaria partita.
Fin da principio le cose non sembrano andare per il verso giusto per Garibaldi, il nostro soffre di dolori ad una mano e non riesce a giocare correttamente, i suoi avversari passano subito in vantaggio.
Non si arrende, uno come lui non può certo ritirarsi!
Un catino d’acqua fresca e una pezza bagnata gli procurano un certo sollievo, è pronto così per una nuova sfida.
E si comincia di nuovo, si gioca per pochi soldi e soprattutto per l’onore, è la rivincita ma ancora una volta il Generale perde la partita.
Lui non si dà per vinto e sfida ancora i suoi avversari, questa volta sembra avere la meglio, gioca con foga e passione, non sbaglia un colpo.
E poi, d’improvviso la mano lo tradisce ancora : la boccia cade a terra e il nostro eroe, a malincuore, è costretto ad abbandonare la partita.
E malgrado tutti sostengano che non ci sia necessario, Garibaldi ci tiene a pagare il suo debito così come si era stabilito.

Garibaldi (2)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Tira fuori il portafoglio e si accorge che è vuoto, si ricorda così che tutti i suoi soldi sono finiti nelle mani del garzonetto!
Il signor Boero, padrone di casa e proprietario delle bocce, non la prende male, si rivolge a Garibaldi con molto riguardo e pronuncia parole di profonda stima.
Si dice onorato di averlo avuto come ospite nella sua casa, lui sa che ben altre partite attendono il Generale, promette che nessuno userà mai più quelle bocce, resteranno da parte, in attesa di una nuova visita del grande eroe.
Questo magnifico aneddoto è tratto da testo di Ferdinando Resasco “Libro di Cronaca del 1891” e proviene da uno dei cassetti delle meraviglie del mio amico Eugenio, come sempre lo ringrazio per averlo condiviso con me.
Garibaldì tornò ancora nella casa di Boero.
Un giorno, mentre si trovava lì, lo avvisarono che in una villetta poco distante c’era un genovese che voleva incontrarlo, desiderava discutere con lui di certi argomenti: quest’uomo era Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini (2)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Tomaso Boero, proprietario di quella casa e delle bocce, era cugino di Mazzini, assomigliava talmente tanto al suo illustre parente da aver posato per il monumento che ritrae il patriota genovese.

Mazzini
Tomaso Boero fu di parola, quando Garibaldi lasciò la sua casa prese le sue preziose bocce le legò con dei nastrini patriottici, quindi le sistemò in una bella scatola di legno che lui stesso aveva costruito.

Bocce

Passarono poi ai suoi discendenti e vennero sempre ricordate come Le bocce di Garibaldi.

Bocce (2)

La storia è fatta anche di questi piccoli attimi quotidiani che rendono umani e reali i protagonisti delle vicende della nostra nazione.
E quelle bocce, ancora adesso chiuse con certi nastri, si trovano nel luogo dove si celebra la storia d’Italia, il Museo del Risorgimento.
Accadde in un giorno d’autunno del 1853:  in un campetto davanti a una casa di Oregina si svolse una leggendaria partita a bocce.

Bocce (3)

A tavola con Giuseppe Mazzini

In quest’ultima settimana si sono svolte a Genova le giornate in memoria di Giuseppe Mazzini, il patriota lasciò le cose del mondo il 10 Marzo 1872 ed ogni anno la sua città lo ricorda con incontri ed iniziative a cura del Museo del Risorgimento che ha sede nella casa natale dell’esule.

Museo del Risorgimento

In questo 2015, in previsione degli eventi di Expo dedicati al cibo, si è pensato ad un nuovo particolare percorso.
Cosa veniva portato sulle tavole dei genovesi al tempo di Balilla?
E quali erano i gusti di coloro che hanno fatto l’Italia?
E Garibaldi cosa amava mangiare?
Mi riprometto di raccontarvelo presto ma oggi vi narrerò le preferenze culinarie di Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini (2)

Ritratto esposto al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Ringrazio la Dottoressa Ponte, direttrice del Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano e la Dottoressa Bertuzzi che ha accompagnato noi visitatori alla scoperta dei gusti dei padri della patria, il loro prezioso lavoro conserva e mette in risalto la nostra storia e il nostro passato.
E come possiamo conoscere i peccati di gola di Mazzini?
Grazie al suo ricco epistolario, in quelle sue lettere trovate il politico, il fervente patriota, il figlio che rimpiange la sua casa e la madre lontana, il pensatore e l’uomo, un uomo di nome Giuseppe Mazzini.

Epistolario di Mazzini

Epistolario di Mazzini
Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

A quanto pare non era proprio una buona forchetta, anzi con il cibo era abbastanza morigerato e tra il resto sembra che non amasse il vino, talvolta si concedeva una buona birra, in Inghilterra ebbe modo di apprezzare il punch.
Anche lui aveva qualche vizio: beveva molto caffè e fumava tanto.
Caffè e sigaro, quella era una delle sue abitudini e uno dei suoi ritratti al Museo Del Risorgimento lo immortala proprio con il sigaro tra le dita.

Giuseppe Mazzini

Fotografia esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Esule in terra straniera dovette adeguarsi a ciò che avevano da offrire i luoghi che lo ospitavano ma che rimpianto per i sapori di casa!
A Londra, scrive Mazzini, il latte è acquoso, per trovarne di buono bisognerebbe andar fuori città.
Qui al mattino di solito con il caffè prendeva pane e burro ma il pensiero andava sempre alle sue colazioni genovesi di un tempo!
Oh, la fragrante e deliziosa focaccia con la salvia che era solito mangiare a Genova, indimenticabile!

Focaccia con la salvia

Panificio Sebastiano

Molte delle lettere di Mazzini sono indirizzate a sua madre, Maria Drago, a lei racconta i dettagli di certi suoi pranzi, dalla Svizzera le scrive di aver gustato certi pesci di lago e un piatto a base di patate, ma le minestre locali non gli piacevano affatto!
No, a Mazzini piaceva il minestrone alla genovese, come lo capisco!

Maria Drago

 Maria Drago
Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

E là, in Svizzera, sentiva la mancanza dei biscotti del Lagaccio.
Allora era ospite della famiglia Girard, il nostro con le sue notevoli doti dialettiche riuscì a convincere le ragazze di casa a preparare per lui i tanto rimpianti biscotti.

Biscotti del Lagaccio

Biscotti del Lagaccio – Panificio Sebastiano

E là, in Svizzera, ebbe modo di assaggiare una deliziosa torta di mandorle e si premurò di inviare alla madre la ricetta.
E’ ancora nota come Torta Mazzini e magari potreste cimentarvi anche voi nella preparazione o se preferite potete gustarla da Marescotti, ho già avuto modo di scrivere di questa celebre torta e qui trovate appunto la ricetta e le notizie di quel carteggio tra Mazzini e sua madre.

Torta Mazzini (5)

Torta Mazzini – Pasticceria Liquoreria Marescotti di Cavo

E poi ancora, il nostro narra un pranzo natalizio in compagnia di amici esuli come lui, allora ad armeggiare con pentole e ingredienti fu Giovanni Ruffini e sulla tavola di Natale vennero serviti fumanti maccheroni asciutti, Mazzini odiava i maccheroni in brodo della tradizione.
E poi pesce, fagiano e stufato.
Da ultimo il plum-pudding che a Mazzini piaceva talmente tanto da scrivere: da vero barbaro ho mangiato più del puddding che del resto.

Giuseppe Mazzini (4)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

A Londra, dice ancora Mazzini, nessuno mangia le cervella fritte, lui invece le trova di suo gusto.
Però la pasta fresca, quella proprio non si trovava!
Il genovese lontano ha una madre presente e attenta, ancora a lei chiede di inviare a Londra un buon formaggio, le forme per fare i corzetti e la rotella per i ravioli.

Noccioladay (3)

Ristorante il Genovese

Londra, Pasqua del 1841, il nostro genovese pensa a una maniera per sentirsi a casa.
E scrive alla mamma, di nuovo.
Giuseppe vuole la ricetta della torta pasqualina, l’intenzione è quella di prepararla sostituendo alcuni ingredienti: niente bietole a Londra, Mazzini è costretto a ripiegare sulla lattuga o sulla scarola.
A volte bisogna proprio far di necessità virtù!

Torta Pasqualina

Friggitoria Carega

E sempre lei, la madre, gli mandava dolci generi di conforto, detti recilli, paste e confetti, frutta secca, datteri e pandolce.
Cresciuto nel tepore del clima mediterraneo, Mazzini ripensava a certi frutti che un tempo avevano deliziato il suo palato.
L’uva croccante e sugosa della Valpocevera, le pesche dolci, i fichi dei quali era goloso.

Fichi

E ancora, al Museo del Risorgimento troverete un foglietto, indirizzato all’amico Filippo Bettini, Mazzini lo prega di rimborsare la sorella Antonietta per l’acquisto di una scatola di canditi destinati a un’amica inglese.

Biglietto

Biglietto esposto al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Non è specificato dove li avesse acquistati ma noi genovesi, come ha suggerito la dottoressa Bertuzzi, abbiamo subito pensato a Romanengo ed alle sue pregiate confezioni.

Romanengo

Di lui potete leggere ogni cosa nel suo epistolario, nelle lettere che lui ci ha lasciato.
Tra quelle pagine trovate il politico, il fervente patriota, il figlio che rimpiange la sua casa e la madre lontana, il pensatore e l’uomo, un uomo di nome Giuseppe Mazzini.
Ora è un Museo, un tempo era la sua dimora.
E lì potrete ripercorrere i giorni della vita, le sue battaglie e le sue lotte, potrete conoscere le sue passioni e le testimonianze della sua grandezza.
E in qualche maniera anche voi potrete andare nei luoghi dove lui ha vissuto e sedervi a tavola con Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini (3)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano