A levante dell’Expo, a pochi passi dall’Acquario che tanto attira i turisti, si trovano Via del Molo e le sue adiacenze, una zona antichissima e ricca di vestigia del nostro passato.
Le prime notizie giunte fino a noi riguardano un prodigio che lì avvenne nel lontano 935, una sorta di miracolo che annunciò una grave sciagura che presto si sarebbe abbattuta sulla città.
Ne narra Jacopo da Varagine e si ritrova nel testo “Annali della Repubblica di Genova di Monsignor Giustiniani”, risalente al 1854. Lì, tra queste pagine, si legge:
“E’ vicino al molo del porto una piccola strada che giù si nominava Fontanella ed oggidì si chiama Bordigotto; nella quale strada era una fontana, la quale con grandissima meraviglia di tutto il popolo per un continuo ed intiero giorno sparse e gettò sangue vermiglio come il sangue umano.”
Racconta poi, come l’anno successivo, Genova fu assalita dalla potentissima armata dei Saraceni, i quali depredarono, distrussero e misero a fuoco l’intera città, versando per le sue strade copioso il sangue dei suoi cittadini e riducendo in prigionia quelli rimasti vivi.
Quante storie, qui in Via del Molo.

Qui, già nel 1507, si compivano le esecuzioni capitali, per mezzo di uno strumento molto simile alla ghigliottina, che tornò in funzione al Molo nel 1806, quando la Liguria era ormai stata annessa all’Impero di Napoleone.
Ma già nel 1500, appunto, qui molte persone trovarono la morte, e per giustiziarli si ricorreva all’impiccaggione o al taglio della testa per mezzo di una scure.
Osservate l’immagine: il secondo edificio che vedete a destra, dopo la cancellata, anche se non lo sembra, è una chiesa, dedicata a San Marco, il patrono di Venezia.
E’una chiesa antichissima che risale al 1173.

Attualmente è inglobata nel tessuto urbano, tra i palazzi.
Percorrendo Via del Molo troverete un semplice ingresso, senza alcuna facciata: il portale, non più esistente, anticamente si trovava dal lato opposto.
Sul muro laterale imponente spicca un bassorilievo del Leone di San Marco, che risale al 1379, al tempo delle guerre tra le Repubbliche Marinare. In quell’anno, a Pola, i Genovesi inflissero ai Veneziani una pesante sconfitta e come bottino di guerra si portarono via il leone, che era il simbolo della grandezza della città lagunare.
Ed il Leone di San Marco è ancora qui, sulle mura della chiesa dedicata a questo Santo.

Accanto al Leone si trova un’altra suggestiva lapide, riportante iscrizioni relative al dragaggio dei fondali del porto, avvenuto nel 1513 su disposizione dei Padri del Comune.

Ma se entriamo nella chiesa, sarà come mettere un passo in secoli lontani.


Troverete quadri di pittori di grande pregio, come Domenico Fiasella e Orazio De Ferrari e questa splendida statua lignea dell’Assunta, opera di Antonio Maragliano, risalente al 1736.

E poi troverete le tracce della vita di ogni giorno di persone che non esistono più, come Nicola Pinto, la cui vicenda viene narrata sulla lapide che richiude la sua sepoltura.

A Nicola Pinto, portoghese, giovane di ottimi costumi che,
preparato alla scuola di belle arti,
mentre si affrettava verso Roma per raggiungere l’affezionatissimo fratello,
assalito qui da immatura morte,
perì a 22 anni nell’anno 1591 della salvezza umana.
Quanto è crudele il destino, a volte.
E quanto doveva essere amaro, l’ultimo viaggio dei condannati a morte che percorrevano Via del Molo, al cui termine li attendeva la forca.
Prima di lasciare questo mondo, i condannati ricevevano l’ultima benedizione qui, nella chiesa di San Marco e al suo interno si trova ancora una lapide che ricorda cosa veniva fatto in loro memoria.

Il rettore di San Marco è tenuto in perpetuo
a celebrare messa
ogni sabato e il 2 novembre di ogni anno,
in canto all’altare del SS. Crocefisso,
per i morti di pubblico supplizio qui sepolti,
come scritto nel decreto registrato
del Signor Giovanni Battista
Aronio il 29 Aprile 1654
Ancora molto altro troverete in San Marco, vi si conservano in due teche identiche le reliquie di due martiri cristiane, Santa Tortora e Santa Donata, traslate qui dalla Sardegna nel 1631.

Molte altre sono le lapidi all’interno di questa chiesa, accanto ad ognuna è posta un’accurata traduzione del testo e la sua spiegazione, che si deve, come mi ha riferito il parroco, ad una studiosa della quale ignoro il nome ma che voglio qui ringraziare per il minuzioso lavoro di ricerca, utilissimo per comprendere appieno la storia e le vicende di San Marco.
Tra tutte, una ricorda la costruzione di un altare, dedicato ai santi Nazario e Celso, edificato ad opera della corporazione degli stoppieri, nel 1734.

A gloria di Dio, all’esaltazione della Santa Croce, alla S.ma Vergine madre di Dio,
ai santi Nazario e Celso martiri,
questo altare creato dall’opera marmorea di Francesco Maria Schiaffino,
la corporazione degli stoppieri di pece a proprie spese dedicava
nell’anno 1735 come risulta dagli atti intercorsi con questa chiesa parrocchiale
e rogati dal notaio Giuseppe Onorato Boasi nei giorni 20 e 30 maggio 1734.
Gli stoppieri erano commercianti di stoppa e canapa, un lavoro connesso alle arti marinare che al Molo regnavano sovrane.
Qui erano le botteghe dei mastri d’ascia e dei cordai, e testimoniano gli antichi mestieri di una volta i nomi stessi dei vicoli: Vico Bottai, Vico delle Vele e Vico Ferrari, dove avevano dimora gli artigiani del ferro.
Era su queste attività che si basava la vita degli abitanti del Molo e Genova, per mantenere in buona efficienza il suo porto, stabilì, fin dal 1134, delle gabelle che doveva pagare ogni nave che intendeva approdare sui suoi moli.
A strenua difesa del porto, nel 1553 venne costruita Porta Siberia, che deriva il suo nome da cibaria, in quanto vi erano in quella zona i depositi del grano, ovvero i Magazzini dell’Abbondanza, ai quali presiedeva un Magistrato, addetto al controllo dei prezzi e al buon andamento del commercio.
E qui erano anche i Magazzini del Sale, ai quali era preposto un altro Magistrato.
Dalla porta si ergevano le Mura, l’ultimo tratto, le Mura di Malapaga, prendeva il nome dal carcere che lì si trovava, dove ai tempi della Repubblica, venivano detenuti i cattivi pagatori, gli insolventi dei propri debiti.
Le strade che corrono parallele a Via del Molo sono suggestive ed antichissime. Guardate la prospettiva di vico Malatti: riuscite a immaginarla brulicante di vita, intravedete le donne affacciate alla finestra e i marinai, con le loro reti e loro vele, che rincasano con il loro ricco carico di pesci?

In questa immagine, sullo sfondo, potete intravedere il muro di Porta Siberia.

Questo, invece, è Vico Cimella.

Si descrive da sé la bellezza di questo vicolo, con i suoi archetti respingenti, che sono stati costruiti in tempi assai lontani.

Sono antiche e caratteristiche queste vie e molto ancora vi sarebbe da raccontare.
Da ultimo, allontanandoci di poco, voglio mostrarvi un edificio a proposito del quale fioriscono le leggende.
E’ situato in Piazza Cavour, ed è noto come la Casa del Boia ma viene anche detto casa di Agrippa, in quanto vi fu rinvenuta una lapide appunto dedicata a Marco Vipsanio Agrippa, comandante dell’imperatore romano Augusto.

Si dice che nel XI secolo fosse questo il luogo presso il quale il boia compiva le sue esecuzioni.
Forse è realtà o forse è leggenda, derivata dal fatto che, al Molo, realmente si compivano le esecuzioni.
Tuttavia, circostanza ancor più strana ed ammantata di mistero, nel palazzo di fronte, ad angolo tra Via del Molo e Piazza Cavour, all’ultimo piano, in prossimità di un terrazzino, nel muro, c’è una scultura, che potrete vedere soltanto salendo i gradini di Piazza Cavour e puntando lo sguardo oltre la Sopraelevata.

E’ una testa, proprio di fronte alla casa del Boia.
Svariate e differenti sono le interpretazioni in merito a questa inquietante scultura e io davvero non saprei dirvi quale sia veritiera, mi limito a riportarvele, così come le conosco.
Il Miscosi, noto studioso delle storie di Genova, sostiene si tratti della testa di Giano, altri raccontano che schizzavano fin lassù le teste mozzate dalla scure, altri ancora sostengono che proprio lì sia murata la testa del temibile boia. Non so proprio quale sia la verità ma, in ogni caso, la scultura ha un aspetto decisamente sinistro.
Termina qui la scoperta di questo angolo della mia Genova.
Quando verrete, dopo aver atteso pazienti il vostro turno in coda per entrare all’Acquario e dopo essere saliti sul Bigo, per ammirare la città dall’alto, lasciatevi alle spalle le attrazioni dell’età moderna e concedetevi una passeggiata tra questi vicoli, venite sotto gli archetti di Vico Cimella e tra le mura della chiesa di San Marco, venite tra le antiche case dei bottai, dei costruttori di vele e di coloro che per mestiere solcavano i mari.