Basilica di Santa Maria Immacolata: le ricchezze della facciata

La Basilica di Santa Maria Immacolata è una delle chiese più fastose di Genova: progettata nella seconda metà dell’Ottocento venne realizzata su progetto dell’architetto Maurizio Dufour e aperta al culto nell’anno 1873.
Si tratta di un edificio di particolare ricchezza, è una chiesa ampia e vasta costruita sull’ottocentesca Via Assarotti che è una delle vie di quella Genova Nuova pensata e immaginata dagli uomini di quel tempo e rimasta a noi come preziosa eredità.
Vorrei mostrarvi, in questa circostanza, alcune delle ricchezze che abbelliscono la facciata della Chiesa, sono opere di artisti che lasciarono la traccia del loro indiscutibile talento.

Ho consultato a tal scopo l’esaustivo ed interessante libretto scritto da Ferruccio Mazzucco e disponibile presso la Basilica stessa.
Osserviamo la chiesa nella sua indiscutibile magnificenza, la facciata venne realizzata utilizzando diversi tipi di marmi pregiati e abbonda di decorazioni ed ornamenti diversi come fiori e foglie rampicanti.

Nella parte superiore, nel grande frontone centrale, si trovano dei tondi scolpiti da celebri artisti: al centro si trova il Cristo di Domenico Carli, ci sono poi San Marco di Pietro Costa, San Giovanni di Federico Fabiani, San Pietro di Domenico Carli, San Paolo di Giovanni Scanzi, San Matteo di Lorenzo Orengo, e infine San Luca dello scultore Giacobbe.
Questi artisti lasciarono la loro eredità di bellezza in molti luoghi diversi, primo tra tutti il Cimitero Monumentale di Staglieno.

E al di sotto ecco sette angeli, sono magnifiche creature celesti opera dello scultore Antonio Canepa.

E suonano una musica celestiale per celebrare la gloria di Dio: uno legge la musica e un altro soffia gentile su un flauto.

Uno pare intonare una melodia armoniosa e uno muove le dita svelte sul suo mandolino.

E infine uno suona la tromba.

Si staglia nel cielo chiaro la bella statua della Madonna Immacolata posta sul culmine della cupola e opera di Giuseppe Pellas su modello di Giovanni Scanzi.

Sulla sommità della Chiesa, invece, si erge l’amorevole figura del Cristo Risorto scolpito da Antonio Canepa.

Sulla facciata trovano spazio poi due bassorilievi realizzati da Antonio Burlando su modello di Antonio Canepa.
A sinistra del portale è così rappresentata l’Annunciazione.

Sull’altro lato invece si trova la Visitazione.

Osserviamo ancora questa maestoso portale: nella lunetta si ammira il magnifico mosaico nel quale è rappresentata l’Incoronazione della Vergine realizzata sui disegni di Cesare Maccari.

Sulla sommità del portale invece si erge lieve e gloriosa la figura dell’Arcangelo Michele che stringe in una mano la sua spada, la scultura si deve ancora ad Antonio Canepa.

Due nicchie sono poste ai lati del portale e accolgono le opere di due artisti di impareggiabile talento.
Il sole così lambisce la figura ieratica di San Giovanni Battista scolpita dal talentuoso Giovanni Battista Villa.

Il Patrono della Superba è rappresentato mentre stringe a sé la bandiera di Genova.

Sull’altro lato si staglia poi nella sua fierezza un altro santo molto caro ai genovesi: ha l’armatura, lo scudo, le sue doti guerresche sono bene rappresentate.

E tiene sotto il suo piede il serpente: è il nostro San Giorgio magistralmente scolpito da Giovanni Scanzi.

Non è il solo luogo nel quale potete trovare questo sguardo indomito.
Lo scultore Giovanni Scanzi, infatti, volle un’identica statua di San Giorgio a custodire il suo sonno eterno e così la si ammira sulla tomba dell’artista nel Porticato Inferiore a Levante del Cimitero Monumentale di Staglieno.

La Basilica di Santa Maria Immacolata è una chiesa ricca e imponente, al suo interno si conservano opere di abili scultori e artisti, sull’altare maggiore è collocata la splendida Madonna Immacolata di Santo Varni e numerose sono le altre opere degne di nota delle quali tornerò a parlare.
Vi ho mostrato, con semplicità e alla mia maniera, il sole che sfiora i tratti degli angeli che custodiscono questo luogo.

Percorrendo Via Assarotti lo sguardo incontra questa grazia e questa leggiadria.
Soffermatevi ad ammirare tutta questa bellezza che così si svela sulla facciata della Basilica di Santa Maria Immacolata.

Piano piano, in punta di piedi

Piano, piano, in punta di piedi: così dolcemente si rivelano l’affetto e il rimpianto per chi non è più, così l’artista narra un sentimento, un legame indissolubile che nulla può spezzare.
Questa è la memoria dei coniugi Torre, il cippo funebre è opera del prolifico e valente scultore Domenico Carli che lo ultimò nel 1887 e si trova nel Porticato Superiore a Levante del Cimitero Monumentale di Staglieno.
La bimba regge teneri fiori tra le dita e così volge lo sguardo verso il volto benevolo e al contempo severo del compianto defunto.

Piano, piano, in punta di piedi, con tutta la sua innocente tenerezza infantile.
E forse vorrebbe porre domande o forse invece già tutto conosce, nella sua assoluta purezza.

Ondeggia la bella gonnellina a pieghe della piccola mentre la sofferenza cade come un velo ad oscurare il volto triste di Antonietta.
La desolata moglie fu la committente dell’opera e venne ritratta così avvinta dal suo dolore: un raffinato pizzo copre il capo di lei e nella sua postura si coglie un senso di arrendevole abbandono.

Una fila di bottoncini chiude quel suo abito sotto il quale di certo era solita indossare un rigido busto secondo i dettami del tempo.

Cade la luce, si posa lieve sulla gonna vaporosa della bimba e sui pizzi delicati della sua sottogonna, la luce sfiora quei boccoli chiari ben pettinati e l’illusione dell’arte lascia immaginare sospiri languidi e impazienti per una perdita impossibile da comprendere.

Così lei resta, per sempre.
Così lei rappresenta il desiderio di tenero affetto.
Protesa a cercare un amoroso abbraccio, con le sue calzette di filo e le scarpine belle chiuse da un vezzoso passante.
Piano, piano, in punta di piedi.

Così rimane tra noi la memoria dei coniugi Torre che insieme dormono il loro eterno sonno, per sempre effigiati nel marmo dal talento di Domenico Carli.

Ersilia Bonini: il giglio della purità

Lei era appena una fanciulla e portava un nome a suo modo romantico e per noi ormai desueto: lei era una ragazza di ventidue anni e si chiamava Ersilia.
Torno sempre a salutarla, nei miei giri a Staglieno un istante dedicato a lei non manca mai.
Ersilia in quella sua breve giovinezza avrà avuto i suoi sogni e i suoi desideri come ognuno di noi.
Ersilia lasciò il suo posto nel mondo nel 1882 e ai piedi della sua statua scolpita da Domenico Carli è incisa nel marmo la seguente frase: il giglio della purità.

Il suo fu un amaro destino comune a molte altre giovinette di quella sua epoca in cui la vita era assai più fragile.
E lei rimane così, nella sua gioventù, mentre il sole bacia i tratti del suo viso, i suoi occhi spalancati, la croce raffinata che porta al collo, i capelli morbidi raccolti in boccoli.

Per sempre fanciulla e colta così dallo scultore in questo gesto aggraziato: con le mani regge i lembi di un tessuto dentro al quale sono adagiati quei fiori che narrano di lei e della sua innocenza.

Ersilia apparteneva certo a una famiglia ricca e importante, sotto ai porticati di Staglieno ci sono diversi monumenti di questo nucleo famigliare e per me non è stato poi difficile ricostruire i legami di parentela.
I genitori, i fratelli e le sorelle sono infatti nominati sulla lapide a lei dedicata.

E vi confesso che avrei sempre voluto sapere qualcosa in più su di lei, così un bel giorno ho fatto alcune telefonate a persone che portano lo stesso cognome di Ersilia ma non sono riuscita a trovare i suoi parenti, tuttavia spero sempre che prima o poi accada.
Forse da qualche parte si conserva una memoria seppur sbiadita di questa ragazza vissuta alla fine dell’Ottocento, intanto io provo a immaginarla mentre se ne va a passeggio con le sorelle e con la sua amata mamma.
E sorride, timida.
E parla a voce bassa, come si conviene a una signorina come lei.
È elegante Ersilia, il marmo lascia intuire una ricercata raffinatezza nei tessuti del suo abito.

Ed è così graziosa, femminile e garbata.
La si scorge da lontano, in quella porzione di porticato che condivide con angeli magnifici e con altre figure dolenti e pensierose.

Una dolce fanciulla dal viso rischiarato dal sole radioso.

Così semplice, con i suoi fiori in boccio e i suoi sogni infranti, con i suoi modi gentili e i suoi nastri di seta.
Tutto scivola via, in un respiro.

Ed io ritorno sempre a salutare Ersilia, nel Porticato Inferiore a Levante del Cimitero Monumentale di Staglieno.
Domenico Carli ha lasciato ai nostri sguardi il ritratto di lei, le sue sembianze in quei suoi giorni perduti.

Così lei rimane tra noi, con quella sua malinconica dolcezza, fanciulla di un tempo fragile e lontano.
Lei è Ersilia Bonini, il giglio della purità.

La grazia di una virtù

La trovate nel Porticato Inferiore a Ponente, in quella parte del Cimitero di Staglieno i monumenti sono oggetto di accurati restauri, la tutela di simili opere restituisce così al visitatore l’originaria bellezza di splendide statue forgiate da valenti scultori.

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Lei è una figura di donna scaturita dal talento di Domenico Carli, fino a qualche tempo fa la sua candida leggiadria era adombrata da una patina scura.

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Sotto a questo marmo dormono il loro sonno eterno il dottor Giuseppe Chiappella e la sua consorte Virginia De Katt, entrambi se ne andarono nel 1877.

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Il restauro del monumento si deve ancora alla generosità di Walter Arnold, lo scultore americano è un attento filantropo e ha davvero a cuore il patrimonio artistico del nostro Cimitero Monumentale.
In passato ho già avuto modo di parlarvi della sua associazione, AFIMS si occupa di raccogliere fondi per questi restauri che vengono poi donati alla città.
E così è stato anche per la fanciulla che custodisce il riposo dei coniugi Chiappella.

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Un gioco di luci e ombre evidenzia le pieghe del manto indossato da questa giovane donna dai tratti dolcemente regolari.

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Il tessuto scivola sul suo corpo e cade fino a terra, in parte restano scoperti i piedi e i sandali di lei.

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Una bellezza armoniosa e soave, una statua che sembra possedere il palpito della vita.

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La giovane scolpita da Domenico Carli regge in una mano uno specchio e attorno al suo braccio è attorcigliato un serpente.
Non è una casualità, questi due simboli sono riconducibili all’allegoria della Prudenza che lei rappresenta: attraverso lo specchio ognuno conosce se stesso e ognuno dovrebbe essere cauto e prudente proprio come i serpenti, entrambe le allegorie si riferiscono a citazioni bibliche.

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La luce lambisce quella mano e quel gesto simbolico.

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Nel silenzio del porticato un mistico chiarore accarezza l’incomparabile grazia di questa fanciulla nel suo ritrovato splendore.

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