Ovvero, del perché Miss Fletcher preferisce nella maggior parte dei casi andare in vacanza da sola.
Avevo conosciuto, durante una vacanza al mare, due ragazze norvegesi e quando decisi di visitare Oslo chiesi consiglio ad una di loro su dove alloggiare e su come organizzarmi.
Vieni da me, disse lei tutta entusiasta.
E così fu, mal me ne incolse.
Ora non fraintendetemi, la Norvegia è splendida, il fatto è che, malgrado qualcuno abbia diffuso la voce che sull’orbe terracqueo siamo tutti fratelli, alla resa dei conti non è esattamente così.
Io e lei abbiamo avuto per così dire, qualche piccolo malinteso, ecco.
Era settembre, clima bizzarro da quelle parti, di giorno si sfioravano i 16 gradi, di sera la temperatura crollava a 4 o 5 e questa stessa temperatura, cinque gradi, che per me significa inverno profondo, si riproponeva nelle giornate di pioggia.
E cosa si fa, con il cielo grigio, l’aria gelida e le gocce che scendono fini fini sulla vostra gentile e mediterranea persona? Ma che domande, un pic nic sulla spiaggia! Inutile dire che ho gentilmente declinato, in quanto non ci tenevo particolarmente a portarmi a casa come souvenir una broncopolmonite fulminante.
Ogni volta che vedo un thermos, credetemi penso a quella nordica fanciulla.
Sì perchè costei girava costantemente armata di cioccolata ed arance, nonché dell’infernale strumento pieno di un liquido scuro che l’incauta si ostinava a chiamare caffé.
Andammo a fare una gita sullo Svinesund, il confine tra Svezia e Norvegia.
Tirava un vento infernale, mica sto mentendo, ho le foto a testimoniarlo, e mi si vede chiaramente con i capelli che svolazzano lieti a destra e a manca.
Tanto per chiarezza, questo è lo Svinesund.
Una volta che l’hai visto, quanto ti ci potrai soffermare? Una decina di minuti, ad esempio? Mezz’ora, al massimo? Volete scherzare! No, no, la vichinga mi ha trascinato sotto, ci siamo accomodate su una roccia gelida come un lastrone di ghiaccio e lei, minacciosa, ha puntualmente estratto il dannato thermos.
Il suo programma prevedeva la contemplazione della natura, eterna e senza scadenza, in totale silenzio.
Ora io non è che voglia sminuire nostro Signore per la mirabile creazione i fiordi, sono altresì certa che non avesse previsto che il genere umano si congelasse nell’ammirarne la bellezza. Insomma, mica ti puoi sdraiare su una roccia come se fossi alle Bahamas con di fronte l’oceano e mica puoi sorseggiare una risciacquatura di piatti indegnamente chiamata caffé come se fosse un mohito! Eh no, non si può fare, ecco!
E’ proprio una questione di ritmi biologici, malgrado noi si sia effettivamente tutti fratelli come si dice, temo che lassù al nord le persone siano leggermente differenti rispetto a noi.
Valga, ad esempio, l’escursione che facemmo in un paesino chiamato Sponvika.
Casette di legno, una stradina, sul web c’è un sito dedicato, si vedono barche, bagnanti e una folla di gente. Ecco, quando ci sono stata io non c’era anima viva intorno. Non un negozio, non una casa aperta, essere viventi scomparsi.
E cosa caspita si fa in un posto simile per più di un’ora? Si contempla la natura, che domande! Si respira! Fresh air era una delle frasi ricorrenti della bionda fanciulla, insieme all’orrida espressione “do you want a cup of coffee?”, pronunciata con voce garrula e brandendo a mezz’aria il maledetto e odiatissimo thermos.
Non c’è niente da fare, abbiamo ritmi biologici maledettamente diversi, i nostri, ad esempio, prevedono di consumare almeno due pasti al giorno, usanza insolita per la mia amica norvegese.
La tapina aveva questo frigorifero desolatamente vuoto, con tre tubetti di formaggio dal sapore inenarrabile, uno dei quali a base di aglio. Quando proprio regnava l’abbondanza compariva una confezione di insalata di patate con polpa di granchio e un altro tipo di formaggio, consistente in una sorta di cubo del colore e della consistenza della caramella mou e dal gusto dolciastro e francamente raccapricciante.
Tralascio i particolari sul sapore delle caramelle al pepe in quanto, solo a parlarne, sento come una sorta di reflusso gastroesofaeo che avanza inesorabile.
In compenso, una sera ha pensato bene di cucinare uno spezzatino di renna con cipolline, funghetti, cavolini di Bruxelles e patate.
Pietanza nutriente e calorica, in quantità sufficiente a sfamare un plotone di Alpini, se non fosse per il trascurabile dettaglio che la cuoca l’ha portata in tavola intorno a mezzanotte e la renna a quell’ora tende a rimanerti sullo stomaco, siamo delicati noi abitanti di questa parte del mondo, probabilmente.
Inoltre, per farmi felice, aveva comprato una bottiglia di vino rosso cileno ma prima di stapparla aveva messo le mani avanti:
– Se l’apriamo dobbiamo berla tutta perché il vino aperto va a male!
Ma vi pare? Una bottiglia intera?
E poi avevo già da battagliare con la renna e mi ci mancava pure il vino cileno, mon dieu!
Ed ecco l’altro tasto dolente: l’alcool.
Ricordo feste di sole donne, serate in cui si saltava a piè pari la cena mentre la birra scorreva a fiumi, ricordo una discoteca con gente ubriaca ovunque, rammento di essere uscita alle due di notte nel centro di Oslo per andarmi a comprare un pacchetto di biscotti visto che mi girava un po’ la testa per la fame. Incubo.
In una circostanza venni aspramente ripresa, in quanto, su al nord, a quanto pare, si considerava poco elegante mangiare un pasticcino camminando per strada.
Me inconsapevole! Credevo che fosse peggio barcollare ubriachi a notte fonda reggendosi ai lampioni della luce!
E una volta, ignorando che fosse obbligatorio, mentre ero seduta sul sedile posteriore della macchina scordai di allacciare la cintura di sicurezza.
Peccato capitale, ansia ed ossessione.
Per i dieci giorni successivi si è aggiunta un’ulteriore litania: e adesso? E se ti hanno visto? E se arriva una multa? E ora? Ansia. E tu sei lì, e immagini che un miserando che infranga la minima regoletta del Codice della Strada venga deportato su un iceberg e abbandonato alla deriva tra i ghiacci.
Da che ne sapevo, inoltre, i norvegesi sono assai più ricchi e benestanti di noi.
Sarà, ma non conto le volte in cui mi è stato chiesto, con espressione perplessa: ma quante scarpe hai?
E giù con i sensi di colpa!
E poi altro tema spinoso: gli uomini.
Tendenzialmente tra le mie aspirazioni non c’era l’avventuretta amorosa tra boschi e fiordi, dettaglio che stupì oltremodo la mia ospite.
Locale notturno, birra, io e le due amiche.
Si avvicinano due tizi, mediamente sobri, chiacchieriamo un po’, uno dei due mi si propone.
Rien a faire, monsieur.
La serata ha termine, noi tre ci allontaniamo verso la macchina. La suddetta fanciulla, presa dalla frenesia mi guarda ed esclama:
– Se non lo vuoi tu lo prendo io!
Si gira sui tacchi e svanisce con lui nella notte.
Quindi nei giorni successivi costei si trovò molto impegnata ad uscire con il suo vichingo ed era oltremodo dispiaciuta di dovermi lasciare a casa da sola.
Nel suo palazzo stavano rifacendo la facciata e, una di quelle sere, mentre lei si stava preparando per il suo appuntamento, sul ponteggio si materializzò una visione.
Un ragazzo bellissimo, ovviamente biondo e con gli occhi cerulei, con una tuta da lavoro turchese e stivaletti, casco e corde arancioni, notevole davvero, ho la sua immagine davanti come se l’avessi visto ieri.
E lei, secondo voi, cosa mi ha detto?
– Io esco stasera, se vuoi puoi invitarlo a casa! Senza problemi.
Poi, cogliendo un mio sguardo a metà tra l’attonito e lo stupefatto, ha aggiunto:
– Non siamo mica in Italia, qui si può fare!
Ed è la stessa cosa che mi ribadì pochi giorni dopo quando, alle quattro del mattino, sul molo di un paesino della costa norvegese ci siamo ritrovate fuori da un locale in compagnia di due tizi palesemente brilli, uno dei quali voleva portarci a casa sua.
Una villa su un’isoletta, che avremmo dovuto raggiungere con la barca di lui.
Di notte. In Norvegia. In barca, con un ubriaco. Uno che somigliava tutto a Bruce Willis, tra parentesi.
Ahimé, le regole della casa di Miss Fletcher prevedono che non si invitano per il tè gli operai che per caso transitano sui ponteggi né, tanto meno, si veleggia su onde perigliose e in tempesta in compagnia di illustri sconosciuti.
Eh, è stata dura.
E la persona che ricordo con più affetto è la madre della mia amica: non parlava una parola di inglese e si ostinava a rivolgersi a me nella sua lingua, ma aveva un tale desiderio di farsi comprendere che, ancora non so come, riusciva a farsi capire, era davvero commovente.
Comunque la Norvegia merita una visita, tra un vichingo e l’altro ho persino visto l’Urlo di Munch, che eleggo quale immagine rappresentativa di questa indimenticabile vacanza.
Poi ci sono i fiordi, la luce che batte in maniera diversa, rispetto a come siamo abituati qui, sul Mediterraneo.
E ci sono le renne ed appositi cartelli per avvisarvi che improvvisamente potrebbero attraversare la strada.
E c’è un parco splendido nel centro di Oslo, con statue bellissime.
Un giorno ve le mostrerò, datemi solo il tempo di digerire il formaggio all’aglio.