
Salita San Siro è un vicolo che da Fossatello conduce a quella che un tempo fu la cattedrale di Genova e che venne così dedicata al vescovo Siro.
L’ho ritratto così questo caruggio: assolato e deserto, sullo sfondo, in lontananza, si intravede il portone laterale della chiesa.
Ma guardate meglio, con attenzione.
E sentite, sentite il rumore. Sentite le voci, le grida alte e potenti, le urla concitate, si alzano da ogni dove, è un frastuono assordante, un clangore che irrompe violento nel cuore della città.
Poi voltatevi e osservate la folla, è una marea che sale e si espande, dilaga giù da Lomellini, da San Luca, da Via del Campo, si infiltra tra le case, nelle piazze, e dalle finestre piovono pietre, in questa gelida giornata di gennaio, la gente urla e strepita, incitando coloro che, impavidi, accorrono da ogni parte e si accalcano su per Salita San Siro per cacciare il tiranno: siamo nel 1436 e a Genova infuria la rivolta.
In città all’epoca governava Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, e suo commissario e rappresentante era lui, il tiranno Opizzino d’Alzate.
Non si viveva bene sotto il suo comando, come sempre accade quando il popolo è privato della sua libertà, ed ha radici lontane il disprezzo e il malcontento dei genovesi verso Opizzino, lo si evince chiaramente da questi brani che narrano vicende risalenti ad anni precedenti alla ribellione della quale parliamo.
1427, 12 Agosto. — Opizzino de Alzate, luogotenente del cardinale governatore in Genova per il duca di Milano, e gli anziani danno piena facoltà a Galeotto de Casate, podestà di Genova, di punire severamente gli uomini di Borzoli, Sestri, Pegli e altri della podesteria di Voltri e delle podesterie di Polcevera e Bisagno, i quali in gran numero presero le armi, aderendo ai nemici del duca di Milano, che tentarono di ribellare la città. [Diversorum X, Reg. 16)
1431, Il Settembre. — Giovanni Bellagamba, cintraco, dichiara di aver proclamato nei luoghi consueti un decreto di Opizzino d’ Alzate, commissario ducale in Genova, che vieta l’asportazione del frumento dai paesi di Voltri, Sestri, Cornigliano, etc. sino a Portofino, perchè ribelli. [Diversorum, Filza VI).
1431, 18 Dicembre. — Oldrado de Lampugnano, luogotenente ducale in Genova, e il consiglio degli anziani trasmettono ad Opizzino d’Alzate, commissario ducale, e all’ufficio di Moneta una supplica degli uomini de Sexterio Ville SexlL. Essi espongono che nei giorni passati furono ridotti ad estrema indigenza per il saccheggio, dato alle loro case. Nulla ad essi più rimane di beni, frumento e vestimenti, e la maggior parte dorme sulla paglia e sul fieno. Per il riscatto dei loro figli mutuarono grandi somme. Come se questo non bastasse, il podestà di Voltri ogni giorno li minaccia di sequestri.
Domandano un riparo, altrimenti essi, fedeli servi del governo del duca di Milano, moriranno di fame.
(Diversorum, Filza VI).
Atti della società ligure di Storia patria Volume XXXIV – Genova – Tipografia della gioventù – 1904 – Annali storici di Sestri Ponente e e delle sue famiglie dal Secolo VII al Secolo XV
Anni dopo, ben altra miccia accese la furia del popolo, infiammatasi per un affronto che i Visconti, ignari dell’orgoglio e della tempra dei liguri, perpetrarono ai danni dei genovesi.
Nel 1435, infatti, mentre Alfonso di Aragona mirava ad estendere il suo potere sul regno di Napoli e a conquistare Gaeta, in soccorso di quest’ultima la Repubblica di Genova inviò la propria flotta.
Con tredici navi e tre galee, il comandante Biagio Assereto sbaragliò gli avversari , quindi catturò e ridusse in prigionia Alfonso d’Aragona.
Tuttavia Filippo Maria Visconti, per curare i suoi interessi politici, scese a patti con Alfonso e gli ridiede la libertà, mentre ai genovesi vietò di festeggiare la loro vittoria, obbligandoli persino a ricondurre a Napoli lo sconfitto, infliggendo così a quei valorosi un’umiliazione che essi non poterono tollerare.
Tra gli ardimentosi che nelle acque di Gaeta combatterono al fianco dell’Assereto c’era un nobile, uno dei molti che diedero lustro ed onore alla città di Genova: il suo nome è Francesco Spinola.
Sarà lui il capo dell’insurrezione, sarà lui che, alla guida del popolo, toglierà al tiranno lo scettro del potere e decreterà la fine del suo predominio.
E’ odiato Opizzino, uomo avaro, crudele e di nefandi vizi ricolmo, così lo definisce Michele Giuseppe Canale (Nuova Istoria della Repubblica di Genova del suo commercio e della sua letteratura dalle Sue Origini al 1797 – Volume IV – Firenze – Le Monnier 1864 ).
A Genova, frattanto, per ordine di Filippo Maria Visconti , è giunto il successore di Opizzino, un certo Erasmo Trivulzio e proprio mentre Opizzino si appresta ad accoglierlo in città, gli uomini dello Spinola assaltano la Porta di San Tommaso, dando così inizio alla sedizione.
Trivulzio, nel vedere la città in piena rivolta, ripara in tutta fretta a Castelletto e si mette in salvo, Opizzino, al contrario, rimane in città.
Si dirige verso Fossatello ma il popolo e gli uomini di Francesco Spinola non gli daranno scampo: è una pioggia di sassi, una gragnola di pietre quella che cade dalle finestre dei vicoli, è una rabbia feroce quella che si abbatte sul despota, accerchiato da coloro che un tempo erano i suoi sudditi e che ora sono i suoi giustizieri.
Perì a causa dei molti colpi ricevuti, proprio in cima a Salita San Siro, quel vicolo ora lindo e deserto, ed il suo corpo fu fatto a pezzi ed esposto per diversi giorni, affinché ciascuno potesse vedere con i propri occhi la fine che merita un tiranno.
Quattrocento anni dopo, in quel luogo, venne apposta questa lapide.

E’ trascorso tanto tempo da allora.
C’è un viavai di gente in San Siro, alcuni vanno di fretta, forse molti sono distratti, tanti non alzano neppure lo sguardo.
Ma sul muro, a perenne memoria, ancora oggi chiunque può leggere cosa accadde, quando i genovesi decisero di liberarsi di Opizzino D’ Alzate, tiranno.