Per prima venne Eleanor Rigby.
Sarà il suono dei violini forse o la voce di Paul Mc Cartney magari.
Per prima venne Eleanor Rigby ed è chiaro, ogni ragazza a sentire quella canzone, in una certa maniera, si ritrova sul sagrato della chiesa accanto a lei, a Eleanor.
Eleanor Rigby picks up the rice in a church where a wedding has been, lives in a dream.
E’ come per i libri, anche nelle canzoni l’incipit ha la sua importanza e questo è potentissimo.
E poi lei, Eleanor, guarda la gente dalla finestra e si pone quelle domande universali ed eterne.
All the lonely people
Where do they all come from?
All the lonely people
Where do they all belong?
Un figura gotica e misteriosa, una ragazza inquieta, la sua fine che giunge e lei che per sempre riposerà in quella chiesa, quella del matrimonio della prima strofa.
E le domande.
C’è un’età nella quale le domande non devono avere necessariamente risposta, anzi si continua ad interrogarsi e a cercare una spiegazione, a volte non la si trova in una vita intera.
Poi venne Charlotte.
E per me, forse solo per me, nel mio immaginario, sullo sfondo rimase Eleanor Rigby, quasi avvolta in una sinistra nebbia e qualche passo avanti vedevo lei, Charlotte, cantata e raccontata da Robert Smith.
Era l’inizio degli anni Ottanta e allora avrei saputo rispondere con sicurezza ad una certa domanda, tra le tante senza risposta.
Tu chi sei? Charlotte sometimes.
Charlotte qualche volta, sì.
Ve l’ho già raccontato, qui, io con i Cure ho avuto una lunga frequentazione.
Questa loro canzone si ispira ad un romanzo inglese per bambini dal medesimo titolo, che narra la storia di una ragazza e dei suoi giorni di scuola alla fine degli anni ’60.
Per una sorta di magia, la protagonista si trova proiettata in una diversa realtà, nel lontano 1918, anno nel quale lei non è più se stessa, ma una certa Clare Croft.
E il tempo di Clare e il tempo di Charlotte si incontrano e si sovrappongono.
Non ho letto il romanzo, ma conosco a memoria il testo dei Cure ed è evidente a chiunque che il filo conduttore è la tematica del doppio, così spesso ricorrente in letteratura.
Nessuno di noi è una cosa sola, ognuno ha una lato in luce e un altro che è più in ombra, a volte sconosciuto e invisibile persino a noi stessi.
Tu chi sei? Charlotte sometimes.
Chi conosce i Cure sa che il loro è un linguaggio volutamente oscuro, nel quale ognuno può leggere le proprie inquietudini, c’è una forte tensione emotiva ed interiore, uno slancio alla ricerca di quanto di noi è ancora celato e incomprensibile.
E’ buio, talvolta.
The light seems bright
and glares on white walls
La luce sembra luminosa. Sembra, non è .
E’ buio a volte.
Night after night she lays alone in bed
her eyes so open to the dark
I suoi occhi così aperti nell’oscurità.
Le strade che sembrano lontane, le persone con i volti privi d’espressione.
E poi il ritornello, certo tutto rimanda a quel libro, alla storia della ragazza.
E’ un sogno o un incubo?
Sometimes I’m dreaming
She hopes to open shadowed eyes
on a different world
L’incubo incombe sempre minaccioso nei testi dei Cure, che sia una foresta o un sogno c’è sempre qualcosa di oscuro che attira e respinge.
E così è con il doppio, tu chi sei?
Come to me scared princess
Una principessa atterrita in una dimensione cupa e spaventosa.
Ma non è proprio così anche il nostro cammino nella vita, ad una certa età?
Quando ancora hai tutto da scoprire e davanti a te c’è un universo di ombre, ti ci addentri anche se hai timori ed esitazioni, credo che sia una forma di incoscienza, quella che ti permette di imparare a distinguere le ombre delle quali aver paura e quelle che invece possiamo affrontare perché ne abbiamo la forza.
E sì, la canzone richiama la trama di quel romanzo.
Ma lei ha questo sentire inquieto, in un mondo pieno di misteri e di magia.
Charlotte sometimes dreams a wall around herself
Davvero c’è qualcuno che non ha mai sognato di costruire un muro attorno a se stesso?
Non negate, accade a tutti, anche ai più spavaldi.
Poi impari a buttarli giù, i muri.
Ogni testo ha il proprio piano di lettura, ognuno lo sente e lo vive alla luce della propria esperienza.
A volte non sono solo suoni e parole, a volte sono i nostri pensieri.
Vai al liceo con lo zainetto sulle spalle.
E una voce ti richiama, in una scuola che non è la tua, ma potresti essere tu a salire quelle scale.
Erano gli anni Ottanta e sì, allora avrei saputo rispondervi.
Tu chi sei?
Certo che ero atterrita, tesoro! Il principe non si decideva mai ad arrivare. A momenti passavo l’eternità a dormire.
Bacini, cara.
Ah, Bella! Nessuno può capirti meglio di me, tesoro!
Bacini!
Io non ho mai ascoltato i Cure ma la canzone di cui parli mi è piaciuta. Io ho imparato a buttare giù i muri in età più matura, meglio tardi che mai…ma muri o non muri le cose che mi spaventano sono sempre tante. Baci
I muri si incontrano sempre, nella vita.
Ad alcuni si può anche girare intorno, è una questione di destrezza.
E anche le cose che fanno paura, anche quelle in diversi modi si ripresentano.
Contenta che ti sia piaciuta Charlotte, è parte di me.
Baci Viv!
Da ragazzina, forse per timore, cercavo di aggirare il muro adesso provo ad abbatterlo. SI cambia e ci si rafforza con il tempo…
Bellissima canzone.
Grazie per ricordarci spesso i mitici e amati anni 80!
bacio e buon sabato sera
Sì, si cambia e si diventa migliori, almeno speriamo che sia così.
Un abbraccio grande e grazie a te.
Piacciono anche a me i Cure ma non conoscevo la traduzione e quindi la storia narrata in questa canzone. Suggestiva
Sì, è molto particolare…
Ho letto il post oggi sul telefono e non sono riuscita a lasciare il mio commento. Nel frattempo non sono riuscita a levarmi dalla testa Eleanor Rigby, e ti ho pensata tutto ip pomeriggio.
Maybe you’re Charlotte sometimes, but any wall breaks when you write.
E grazie cara, mi commuovi. Sicuramente per molti queste due canzoni non hanno nulla in comune, io le ho sempre accostate, da tutta la vita.
Un abbraccio da Zena, carissima!
Che forti queste canzoni spiegate da Te. Grazie e poi io adoro i Cure… ho il vinile di “Disintegration”. 🙂
Grazie Niko! Io adoro i Cure. Da sempre, questa canzone la sento proprio mia. Ieri mentre scrivevo l’ho ascoltata in loop.
Un bèso!
Vorrei dire tante cose a riguardo ma preferisco dire solo che è tutto vero!!!!!!
E lo so, tu potresti dire tante cose…un bacetto 😉
meravigliosa, meravigliosi!! Io li frequento ancora nonostante le mie primavere!!
Anch’io, non potrei farne a meno.
Oh quanto ti piacciono questi Cure! Ma che bel post che hai fatto! Stò ancora ridendo per il mio post sul pipistrello di te e Pani. Senti ma hai visto che hanno presentato il libro-fotografico su Staglieno a Genova? L’ho visto alla tv e ti ho pensata. Bellissimo! Ops, scusa! Sono andata fuori tema ma volevo dirti queste cose!
Grazie cara! Mi piacciono sì, questa è la mia musica.
Non guardo tanto la televisione, quindi non ho visto, ma ho visto il libro in libreria, sembra interessante.
Sorry dear Miss… non conosco i Cure e mi fermo ad Eleanor Rigby.
Ah “la gnuranza…” non ha mai fine 🙂
baciotto da computer amico che il mio….
Susanna
Bacetto amica mia!
lectio magistralis
Eh…detto da te mi onora. Veramente.
io mi sono fermato a Eleanor Rigby… Charlotte Sometimes me la sono persa e con lei, i Cure… però, l’immagine dell’armadio che cade dalla scogliera mi era nota, ma orfana… questo post mi ha rivelato la paternità…
Miss, tu che li conosci bene, si può dire che per i Cure, il pesto molto spesso è buio e raramente verde-basilico?
Direi di sì, caro Sergio, i Cure sono interpreti dell’inquietudine.