Le targhe storiche di Genova

Le antiche targhe con i nomi delle vie, uno dei fragili patrimoni della città.
Esistono ancora molte targhe storiche, molte altre sono andate invece purtroppo perdute e in certi casi sono state sostituite da targhe moderne, con caratteri diversi e di materiali differenti.
Le antiche targhe di marmo con le loro lettere scure raccontano la bellezza vera della città antica.

Narrano di pie devozioni e di antiche chiese.

Rievocano eroi e gesta leggendarie.

Toponimi e targhe costituiscono una delle anime della città vecchia e di quel modo antico che andrebbe preservato e valorizzato.
Una targa storica che va in frantumi andrebbe sostituita, a mio parere, con una di identica fattura mantenendo lo stile e i caratteri a suo tempo utilizzati, per preservare al meglio una certa idea di città che corrisponde alla nostra identità e alla nostra storia.

Queste targhe sono preziose testimonianze di un tempo passato e descrivono antichi mestieri.

Raccontano di fatiche ai lavatoi ma narrano anche dell’abilità degli artigiani nel realizzare le scritte che ancora oggi riusciamo a leggere, un talento antico che ai nostri giorni dovremmo saper salvaguardare.

Indicano minuscole e raccolte piazzette.

Raccontano la magia di parole e di immaginazione della nostra città.

Ritrovare le targhe storiche per le strade di Genova significa posare lo sguardo su qualcosa che è stato difeso, trattenuto e salvato dalle ingiurie del tempo.
Sono marmi che raccontano di noi, dei nostri giorni passati e di una Genova antica che ancora oggi attraversiamo.

Antonio Mosto, condottiero dei Carabinieri Genovesi

Torniamo ai giorni eroici, al tempo in cui si fece l’unità d’Italia e mescoliamoci ancora alla folla tonante dei prodi al seguito del Generale Garibaldi nella sua impresa leggendaria.
Tra quei cuori battenti di patriottismo c’è anche un genovese da tempo dedito all’attività politica: il suo nome è Antonio Mosto ed è nato nel 1824 in una famiglia di commercianti, già dal 1848 è animato da ideali democratici.
Profondamente legato a Giuseppe Mazzini, nel 1852 è tra i fondatori della Società del Tiro Nazionale dove si addestreranno coloro che intendono votarsi alle battaglie per l’indipendenza, qui si troveranno anche i suoi amici Francesco Bartolomeo Savi e Antonio Burlando e poi Nino Bixio e molti altri ancora.
Mosto stesso è un tiratore eccelso e proprio alla Società del Tiro Nazionale nascerà il Corpo dei Carabinieri Genovesi.
Nel 1857 partecipa all’organizzazione della fallimentare spedizione di Carlo Pisacane e mentre il suo amico Savi verrà incarcerato, Mosto sarà condannato a morte come Mazzini ma riuscirà a scappare e a raggiungere l’ Inghilterra dove troverà diversi esuli che condividono i suoi ideali patriottici, quel fervore accompagnerà Mosto per gran parte della sua vita.
Tornerà nella sua Genova e il suo destino seguirà quello del Generale Garibaldi: Mosto addestra i volontari che sono dotati di armi ad altissima precisione e quando giunge il 5 Maggio 1860 è tra le fila dei prodi con i suoi carabinieri.
Da quel passato ascoltiamo la voce di un cronista e attento testimone, Giuseppe Cesare Abba che nel suo volume “Da Quarto al Volturno” così ci ha tramandato il ritratto del giovane Mosto:

“Camminavano adunque i Carabinieri genovesi alla testa della colonna, e innanzi, loro comandante, andava Antonio Mosto, che mostrava più anni assai di quelli che aveva. Barba piena e lunga, portamento incurante di parere, sguardo acuto ficcato lontano traverso gli occhiali a suste d’oro; era qualcosa tra un asceta e un archeologo che da quelle parti andasse cercando ove fu Segesta. Quel che valesse per fegato e cuore, chi non lo sapeva, lo indovinava.”

Antonio Mosto – dettaglio di ritratto di ignoto
Opera esposta a Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Accanto a lui il suo amico di una vita intera, un genovese che è tanto caro anche a me:

Al fianco al Mosto e suo luogotenente marciava Francesco Bartolomeo Savi, uomo piuttosto sopra che sotto la quarantina, filosofo e classicista, mazziniano come lui, per altezza di sentire, e austerità di vita uno dei più somiglianti al Maestro.”

Francesco Bartolomeo Savi
Opera esposta a Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

E ancora, altre parole per tratteggiare il ritratto del nostro eroe:

“Tutti i Genovesi che hanno carabina, forse quaranta, formano un corpo di Carabinieri. Il loro capitano Antonio Mosto chi lo volesse dipingere, è una bella testa di filosofo antico. Di modi e di fisionomia austero, pare uno che abbia fatto penitenza sino ad oggi, per affrettare la resurrezione d’Italia. È conosciuto per coraggiosissimo; e infatti come potrebbe non esserlo, se quei giovani lo tengono per primo?”

Divisa dei Carabinieri Genovesi
Museo del Rosorgimento – Istituto Mazziniano

Con questo sentito fervore questi uomini partiranno per quell’avventura che ci ha lasciato in eredità la nostra nazione.
Antonio Mosto partecipò ad innumerevoli battaglie, da Palermo a Milazzo, con lui il suo corpo dei Carabinieri Genovesi fu vittorioso a Calatafimi e nella battaglia del Volturno, sono molti gli episodi dove figura il suo nome e molti sono i luoghi genovesi nei quali troverete traccia di lui e delle sue imprese.
Entrando nel’atrio di Palazzo Tursi troverete sulla destra una lastra marmorea dedicata alla Società del Tiro Nazionale che si trovava alla Foce e che un tempo era là collocata, su di essa si commemorano i carabinieri deceduti nelle guerre di indipendenza.
Scorrendo quei nomi troverete anche il fratello di Antonio, Carlo Mosto, caduto eroicamente in battaglia.

Un busto dedicato al Colonnello Antonio Mosto è collocato poi a Villetta Di Negro, venne inaugurato nel 1894.

Spostiamoci poi in Via di Vallechiara, così rischiarata dal sole lucente.

Una lapide commemorativa è affissa sulla casa dove visse Antonio Mosto.

La lapide venne realizzata nel 1907, in occasione del centenario della nascita di Garibaldi.
Rammenta ai posteri le gesta di Mosto.

E nella scultura restituisce la tempra e la fierezza di questo patriota.

Non distante da Via di Vallechiara vi è poi il Museo del Risorgimento dove sono custoditi, oltre al ritratto, anche i cimeli della vita di Antonio Mosto.
Una sezione è infatti dedicata ai Carabinieri Genovesi e qui trovate il kepi da carabiniere di Mosto, la sua spada e la sua sciabola.

Sono esposte anche le sue pistole.

Antonio Mosto dedicò gran parte della sua vita all’impegno politico, spendendosi su più fronti e non solo sul campo di battaglia, in uno dei suoi combattimenti riportò anche una grave ferita.
Si spense nella sua città in un giorno d’estate del 1890 e a Genova riposa, nel Cimitero Monumentale di Staglieno a poca distanza dal luogo del sonno eterno di Giuseppe Mazzini.
La sua tomba è purtroppo poco curata e a malapena si leggono le parole scritte in sua memoria che lo celebrano come condottiero dei Carabinieri Genovesi in tutte le pugne per l’unità d’Italia.

Al luogo del suo ultimo sonno sarebbe dovuta maggiore cura.

Fu un genovese coraggioso, prode condottiero di quei carabinieri che portò con sé in nome di un ideale che ardeva nel suo spirito.

Li comandava Antonio Mosto, tutto di Mazzini, uomo non molto sopra i trent’anni, ma che ne mostrava di più: barba piena, lunga, sguardo acuto, ficcato lontano come per guardare se al mondo esistesse il bene quale ei lo sentiva in sè. Quanto al coraggio, era per lui cosa tanto naturale, che non poteva credere vi fosse altri che non ne avesse.

Giuseppe Cesare Abba – Storia dei Mille

Antonio Mosto – ritratto di ignoto
Opera esposta a Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

L’edicola di Via Lomellini

Tra le molte edicole genovesi una di pregevole fattura è collocata nella nostra Via Lomellini e posta ad angolo con Salita dell’Oro.
Preziosa e raffinata, ospitava un tempo un dipinto dedicato alla Madonna del Carmine con i Santi, non saprei dirvi dove sia attualmente conservata l’opera mancante e auspico di trovarla, come altre, tra le collezioni del Museo di Sant’Agostino.

Il sole sfiora i visi dolci di piccoli angioletti che così circondano la colomba che rappresenta lo Spirito Santo.

E c’è ancora un angelo solenne alla base della cornice che racchiudeva il dipinto.

L’edicola maestosa così si staglia in una di quelle prospettive tutte genovesi composte da un’armonia di verticalità e di luce, ombra e azzurro che si scorge là tra le case.

E così, attraversando Via Lomellini, soffermatevi ad ammirare la bella edicola che una volta ospitava la Madonna del Carmine.

Due in Via Lomellini

Due in Via Lomellini.
Nell’aria fresca del mattino, semplicemente due.
Due amici per la pelle, due fidanzati, due viaggiatori.
Due studenti con lo zainetto sulle spalle.
Due esploratori urbani alla scoperta dei caruggi di Genova.
Due sportivi, naturalmente.
Due amanti dell’aria salmastra e della libertà.
Due percorsi da immaginare, due strade che procedono parallele.
Due, semplicemente due, in Via Lomellini.

Finestre d’estate e dei caruggi

Queste sono finestre d’estate e dei caruggi, così allegre e colorate e pronte ad accogliere la bella stagione.
Le finestre per me sono un antico amore, non c’è luogo dove non mi soffermi ad ammirarle.
Una tenda chiara, la ringhiera romantica, i fiori allegri e colorati.

Siamo in Vico alla Chiesa della Maddalena e poco più là ecco ancora una grata e un’infilata di vasetti che ospitano la vita.

L’estate poi è una sinfonia di colori e panni stesi che danzano nel vento in Piazza Lavagna.

E un candore di lenzuoli su Salita alla Spianata di Castelletto.

E ancora diverse genovesissime sfumature di grigio e di pietra a dire il vero identiche in ogni stagione.

E poi, alzando lo sguardo verso i balconi di Piazza Senarega sboccia generosa l’estate nei gerani dai toni accesi e vivaci.

E poi ancora vasetti e pianticelle, in Via Lomellini.
E qui, a poca distanza dalla casa natale di Giuseppe Mazzini, sventola un tricolore.
A una finestra di Genova, nei caruggi, in estate.

In Via Lomellini

In Via Lomellini, nella luce della tarda mattinata.
Tra i colori della frutta e le sfumature dei palazzi antichi.
Un’edicola, la casa di un patriota molto amato, la dimora di una santa.
La gente che passa, sempre numerosa in Via Lomellini.
Il profumo del pane.
I suoni, il tempo.
La quiete mistica dell’Oratorio San Filippo.
In Via Lomellini.
Camminando così, con una certa sicurezza, sotto il cielo della Superba.

Alzando lo sguardo in Vico degli Adorno

Alzando lo sguardo in Vico degli Adorno si trova, netto e chiaro, un simbolo della religione cattolica: è il trigramma di Cristo, le lettere IHS che indicano il nome di Gesù.

L’antico bassorilievo si compone di diversi elementi che sempre testimoniano l’autentica devozione che si ritrova in queste vie dalla lunga storia: una Madonna con il Bambino così è posta sulla sommità del bassorilievo.

Due figure reggono la ghirlanda che racchiude il simbolo di Gesù, ai lati di queste figure si distinguono le due lettere T e A.
Alla base è scolpita le seguenti parole in latino: pax huic domui che significano pace a questa casa.

E attorno ci sono anche alberi rigogliosi.

E ancora due stemmi ormai abrasi.

Alzando lo sguardo in Vico degli Adorno si ritrova una di quelle prospettive tipiche della città vecchia: le case dai colori caldi, un certa sicura genovesità.

E si ammira il chiarore del cielo lucente.

Vico degli Adorno è un breve caruggio e inizia da Via Lomellini, si trova proprio di fronte alla dimora natale di Giuseppe Mazzini oggi Museo del Risorgimento.
E così alzando lo sguardo in Vico degli Adorno si vedono le bandiere che sventolano davanti a quelle finestre e come sempre accade, in queste strade ricche di storia, un pensiero si rivolge a chi le ha percorse prima di noi: alcuni divennero personaggi importanti per la città e per la nazione, altri furono solo persone semplici che vissero le loro vite in un tempo diverso dal nostro.
E come noi, in un giorno distante, alzarono lo sguardo in Vico degli Adorno.

Le mistiche bellezze dell’Oratorio di San Filippo Neri

Vi porto ancora con me, nella mia amata città vecchia.
In Via Lomellini, strada antica e amatissima, risplende di luce dorata il settecentesco oratorio di San Filippo Neri collegato alla Chiesa attigua dedicata al medesimo Santo.

Per scoprire l’oratorio dovrete varcare questa soglia.

E passo dopo passo lo sguardo ritroverà quell’antica bellezza.

Sull’altare, candida e colma di grazia, è la figura marmorea scolpita da Pierre Puget, artista francese vissuto nella seconda metà del Seicento, a Genova sono numerose le opere che testimoniano il suo talento.

Questa è la Madonna Immacolata e così tiene le mani al petto, raccolta in mistica preghiera.

Se entrerete nell’Oratorio di San Filippo alzate poi gli occhi verso quella meraviglia di delicati affreschi che vi sovrasta.
Come scrive l’Alizeri, gli affreschi sono opera di Giacomo Antonio Boni che così raffigurò l’Assunta fra schiere di patriarchi e di profeti.

Sono affreschi densi di dolcezza e di grazia luminosa.

Lassù si ammira il mistero della Trinità.

Tra angeli che con leggiadria adornano l’Oratorio.

E ancora così si staglia la statua della Madonna Immacolata.

E con questa dolcezza scaturita dallo scalpello del Puget.

In un capolavoro di autentica armonia.

Ed è ancora il pennello di Boni ad aver ritratto San Filippo Neri in compagnia dei suoi amici.

Questo luogo antico e di gran pregio è oggi un auditorium dove si tengono concerti, conferenze e incontri.

Nella luce dell’Oratorio di San Filippo Neri, una bomboniera nel cuore del centro storico, notevole è anche il dipinto che sovrasta l’altare.

Si cammina in silenzio, accolti dalla gioiosa dolcezza dei putti che reggono i cartigli.

E confortati dal loro volo lieve e leggero.

Là, nell’Oratorio di San Filippo Neri, dove lo sguardo incontra infinite bellezze.

Il delizioso pane dei Kunkl: una storia di Genova

Questa è una storia che inizia in un giorno lontano e in un luogo distante: è una storia di successo, intuito e intraprendenza che si dipana per le vie della vecchia Genova.
E per raccontare da capo questa vicenda bisogna andare in Tirolo, a Neumarkt, in italiano nota come Egna.
Lassù, tra quelle maestose montagne, nasce il giorno 11 novembre 1813 Giovanni Martino Kunkl, in quel periodo il territorio di Egna è incluso nel Regno di Baviera ma, dopo breve, sarà unito all’Austria.
E proprio con il suo passaporto austriaco Giovanni Martino intraprende l’avventura della sua vita: siamo nel 1847 e Kunkl parte alla volta di Genova che diverrà la sua città di adozione.
Certo non sarà stato facile per un austriaco inserirsi in una città come la Superba che con gli austriaci, come ben sappiamo, aveva avuto un passato di contrasti politici.
Giovanni Martino però è un giovane di belle speranze, ha 34 anni e porta con sé la saggezza di una professione nella quale eccelle: Giovanni Martino è panificatore e porterà la sua sapienza nei caruggi di Genova, in particolare in quella Via Lomellini a me tanto cara.

Giovanni Martino non è solo, con lui ci sono la moglie Giuseppina e le prime tre figlie nate in Austria: Maria, Vittoria ed Enrichetta, a Genova vedranno poi la luce Anna e Stefano.
Restiamo in questi caruggi, qui dove Giovanni Martino inizia la sua fiorente attività, la prima traccia della sua presenza, naturalmente con riferimento alle Guide e ai Lunari di mia proprietà, è sul magnifico libro di Edoardo Michele Chiozza dal titolo Guida Commerciale descrittiva di Genova del 1874-75.
Qui il nostro Giovanni Martino viene annoverato come fabbricante di pane di lusso ad uso di Vienna e la sua attività si trova Via Lomellini 3.

Il tempo, poi fugge via veloce e, in un giorno fatale del 1877, Giovanni Martino Kunkl lascia le cose del mondo.
Naturalmente io sono andata a cercare traccia di lui nel nostro Cimitero Monumentale di Staglieno e così ho trovato il suo nome inciso nel marmo nella Galleria Inferiore a Ponente.
È una tomba semplice la sua, simile a quella di tanti genovesi del suo tempo che qui riposano.

A succedere a Giovanni Martino nella conduzione dell’impresa di famiglia sarà Stefano, il suo ultimo figlio.
Quando il padre muore, in quel 1877, Stefano è un giovane di 26 anni: dal padre ha appreso tutti i segreti del mestiere, custodendoli e mettendoli a frutto per il bene suo e della sua famiglia.
Ed è il nome di Stefano a comparire così tra le pagine dei libri e a rifulgere nel commercio della città.
Stefano ha talento, intuito e capacità imprenditoriale, espande l’attività con successo e lo troviamo citato sui lunari del Signor Regina del 1881 e del 1887 tra i fabbricanti di paste e galette e come proprietario di due negozi, il primo si trovava in Via Lomellini 61, nella parte alta della strada.

L’altro negozio era invece in Via Roma.

Il segreto del pane delizoso e rinomato in tutta Genova risiedeva nella scelta accurata di ingredienti di prma qualità.
Stefano Kunkl, infatti, ogni estate si recava in Austria o in Ungheria per acquistare la farina da usare per il suo pane: la sua farina aveva un alto potere lievitante senza agenti aggiunti, in pratica era l’equivalente della manitoba.
Fu così che il segreto dei Kunkl portò loro il meritato succcesso, nel 1899 si aggiunse un ulteriore punto vendita, citato ovviamente nel Lunario del Signor Regina, in Via ai Quattro Canti di San Francesco.

Stefano, con il suo innato fiuto per gli affari, fu poi talmente abile da divenire, insieme al figlio Silvio, stimato fornitore della Real Casa: l’attività di famiglia sarà infatti denominata Panificio Reale Stefano Kunkl.
E in punta di piedi entriamo nell’ufficio di Stefano Kunkl: qui lo vediamo insieme al figlio Silvio.

Fotografia di proprietà delle eredi di Silvio Kunkl

Come specificato, la fotografia è di proprietà delle eredi di Silvio Kunkl e mi è stata inviata dall’Architetto Chiara Kunkl che un giorno è capitata casualmente su queste pagine e ha così generosamente condiviso con me questa magnifica storia di famiglia che vi racconto, la ringrazio anche da qui per questo, le molte informazioni da lei fornite e le immagini di famiglia, unite alle mie ricerche a Staglieno e tra le pagine delle guide, mi permettono di narrarvi questa vicenda.
Ecco ancora Stefano Kunkl: lui è al centro della foto vicino alla moglie Angela e tiene in braccio una nipotina.
Accanto a Stefano siede Silvia, la moglie di Silvio che è in piedi alle spalle di lei, insieme ad altri parenti.

Fotografia di proprietà delle eredi di Silvio Kunkl

E riporto qui una frase tratta dal documento trasmessomi da Chiara Kunkl, queste parole riassumono interamente lo spirito dei Kunkl e il senso del loro operare: si tramanda che Stefano Kunkl raccomandasse ai suoi figli di dividere l’utile di ogni anno in due metà uguali fra loro di cui la prima doveva essere accantonata e reinvestita nell’attività mentre la seconda doveva obbligatoriamente e interamente essere spesa al fine di ricordare a se stessi quali benefici potessero portare un anno di duro lavoro.

Fotografia di proprietà delle eredi di Silvio Kunkl

Tra le notizie inviatemi da Chiara Kunkl c’è anche un articolo di Edilio Pesce dedicato allo storico panificio con l’elogio delle michette e delle rosette deliziose, con il rimpianto per gli sfilatini che si acquistavano uscendo dalla messa in San Filippo Neri.
E certamente da Kunkl avranno fatto anche la focaccia!
Va inoltre anche ricordato che furono i Kunkl a introdurre a Genova i libretti, un tipo di pane molto apprezzato dalle nostre parti.
E continuiamo il nostro giro per Genova, in cerca dei luoghi di Stefano e Silvio Kunkl.
Già nel 1913 avevano un negozio al 110 rosso di Piazza Soziglia, all’epoca i mei antenati avevano un negozio in Campetto, chissà quante volte avranno comprato il pane dai Kunkl!

Il negozio in Via Lomellini fu spostato poi al numero 48 rosso.

Il Panificio era in Via della Maddalena 29, ecco qui l’edificio.

Un altro panificio era in Vico del Fornaro, il caruggio dal toponimo perfetto!

Tutte queste notizie sono presenti sui lunari del tempo, nel 1926 c’era un Panificio Kunkl anche in Via Frugoni, traversa di Via XX Settembre.
E sul Lunario del 1902 si trovano pure i numeri di telefono.
Per dire, il negozio di Via Lomellini aveva il numero 341 e a leggerlo ho pensato: ora chiamo e ordino un chilo di libretti!

La vita non era facile per nessuno, in quel tempo, come in tutte le famiglie anche i Kunkl ebbero i loro tragici lutti.
Come vi dissi da principio, Giovanni Martino Kunkl aveva avuto 5 figli.
La seconda figlia Vittoria morì a soli quattro anni e la terza, Anna, spirò appena ventunenne.
La primogenita Maria si sposò e lasciò questo mondo ad appena 24 anni, io ho trovato la sua tomba nella Galleria Inferiore a Ponente del Cimitero Monumentale di Staglieno.
È collocata in alto, questo rende difficile la lettura della lapide e allora, in memoria di lei, la riporto per intero.

A Maria Lanfranchi nata Kunkl
figlia e sposa affettuosa ed esemplare
che immatura morte rapiva
il 6 Aprile 1867
lo sposo e i suoi desolatissimi
quale attestato di affetto questa lapide consacrano

Stefano Kunkl morì nel 1913 e in seguito alla sua dipartita il figlio Silvio prese in mano le redini dell’Azienda e divenne presidente dell’Associazione Panificatori ed insegnante, tramandando così alle nuove generazioni i segreti per fare il pane.
A Staglieno ho trovato anche la tomba di Stefano Kunkl, egli riposa nella Galleria Frontale, accanto alla moglie Angiolina.
La loro tomba è opera dello scultore Luigi Orengo.

I viaggi nel passato rappresentano l’emozione di ritrovare i luoghi che non abbiamo veduto e di osservare i volti di coloro che non abbiamo conosciuto: eppure in qualche modo ci sembrano vivi e presenti, ci osservano da un’immagine in bianco e nero e si raccontano, con sincerità e verità.
Ringrazio ancora di cuore Chiara Kunkl per aver permesso a me e a voi questo percorso a ritroso sulle tracce di Giovanni Martino e della sua numerosa famiglia.
C’è ancora un piccolo tratto di strada da fare insieme, proprio là, in cima a Via Roma.
In quello slargo oggi denominato Largo Eros Lanfranco e un tempo noto come Largo di Via Roma.
È un giorno qualunque di un tempo distante: due eleganti genovesi passeggiano vicine, chiacchierano tra loro amabilmente.
Osservate con attenzione alle loro spalle e dietro al signore con la bombetta: si vede un negozio, non è del tutto visibile l’insegna ma se ne legge chiaramente una parte, S. Kunkl, spiccano in particolare i caratteri gotici.
Ecco qui il favoloso negozio di Via Roma più volte citato e ritrovato nelle guide, l’immagine è un dettaglio di una cartolina che di seguito trovate pubblicata interamente e appartiene all’amico Stefano Finauri che qui ringrazio.

La memoria e il ricordo sono ricchezze da custodire, raccontare certe storie significa far tornare tra noi sorrisi, sguardi e vite di un altro tempo.
E quando passate in Via Roma rammentatevi che là, accanto all’imbocco di Galleria Mazzini, un tempo si sentiva il profumo del pane fragrante dei Kunkl, memoria preziosa del passato della nostra Genova.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Una mattina nella Chiesa di San Filippo Neri

Era di mattina.
Là, nella bella chiesa di San Filippo Neri, in Via Lomellini.
C’era questa luce, in realtà a colpirmi è stato davvero il colore del legno di queste sedie, la loro brillantezza, la cura con la quale sono tenute, così lucide e perfette.
Era di mattina, sul presto.
E forse, da lì a poco, qualcuno si sarebbe inginocchiato nel confessionale in cerca di ascolto, pace e comprensione.
C’era questo silenzio, il senso di un tempo sospeso.
L’attesa.
Le sedie disposte con questa armonia.
C’era questa pace, nel chiarore di una chiesa nei caruggi di Genova.