Nel tempo dell’estate sbocciano generosi i fiori dai colori sgargianti.
Da grande non ho mai avuto la tentazione di coglierli, mi piace ammirarli e vederli dondolare al vento sui loro fragili steli ma preferisco sempre lasciarli là dove crescono liberi e selvaggi.
Da piccola le cose erano un po’ diverse: la natura per i bambini è meravigliosa scoperta ed io certo non facevo eccezione.
Raccoglievo fiori, foglie, nocciole acerbe e frutti di bosco.
E tra le mie vittime predilette c’erano sempre le povere margherite: alzi la mano chi di voi non ha fatto m’ama non m’ama almeno una volta nella vita.
È proprio quella la sventura di questi semplici fiori: sono legati a questo giochetto che ci spingeva a spogliarli inutilmente di tutti i loro petali.
E così, nel tempo della mia età adulta, con un certo ritardo vorrei chiedere perdono a tutte le misere margheritine che hanno avuto la sfortuna di capitare tra le mie dita di bimba, poverette!
Allo stesso modo ritengo di dovere delle scuse sincere alle decine di soffioni nei quali mi sono imbattuta nella mia infanzia.
Ah, i soffioni, effimeri e caduchi, non me ne sfuggiva uno!
Io li vedevo ondeggiare sui prati e non sapevo resistere.
– Un soffione! – correvo subito a coglierlo, poi gonfiavo le guance più che potevo e soffiando fortissimo spargevo da tutte le parti quella candida leggerezza.
Che bellezza e che divertimento!
Cari soffioni della mia infanzia, non mi sono dimenticata quella gran soddisfazione, all’epoca si era veramente felici con poco, ogni tanto dovremmo pure ricordarcelo.
E tra le meraviglie di quei pomeriggi del passato rammento con particolare nostalgia una delle mie merende preferite e quelli che sono stati bambini negli anni ’70 certamente conserveranno questa dolce memoria.
Era come una piccola mattonella rettangolare, diciamo così, era delle dimensioni adatte per le nostre manine.
Era un biscotto delizioso: un wafer ricoperto di cioccolato e quando lo mordevi faceva crac!
Una bontà assoluta, un’autentica delizia, accidenti.
Dai, avete indovinato di cosa sto parlando?
Io facendo un po’ di confusione lo chiamavo Ravasai ma era universalmente noto come Urrà Saiwa.
Vedo i vostri volti illuminarsi di gioia, so bene che quel biscotto era apprezzato da molti di noi, io ne andavo letteralmente matta.
Ora poi non so per quale caspita di ragione ad un certo punto questa magnifica merenda è sparita dalla circolazione: ogni volta che ci penso me ne dispiaccio!
E in effetti da allora sono passati parecchi anni e tante cose sono cambiate.
Allora, dai, facciamo un patto, per così dire.
Io prometto di non sfogliare mai più le povere margherite come facevo una volta, del resto ve l’ho detto, ho smesso da parecchio.
E mi asterrò persino da soffiare sui soffioni, la tentazione è sempre forte ma ce la farò.
In cambio ridatemi subito il mio Ravasai, per cortesia: ancora adesso sarebbe la mia merenda preferita.
Buongiorno dall’Emilia.
Anche mio figlio da piccolo impazziva per i “soffiolini” come li chiamava lui : D
Però con questi si fa poco danno dai. .. in fondo si spargono i semi …
Per quanto riguarda gli urrà Saiwa mi unisco alla richiesta.
Buon fine settimana a te e a chi passerà.
Giusy
Sì, infatti, si contribuiva a spargere i semi ma sono talmente belli così come sono che è quasi un peccato soffiarci sopra!
Vedo che anche tu apprezzavi quella delizia dell’Urrà Saiwa, che bontà assoluta. Buon weekend a te Giusy, grazie.
Che simpatica ragazzina😊 Buon fine settimana, Miss!
Grazie Amaia, ero una bambina terribile eh! Buon weekend anche a te!
Miss, molto più furbe e previdenti erano le ortiche…
Haha, sì, in effetti quelle non si facevano toccare, delle vere lenze!
Ah soffioni e margherite sono un must dell’infanzia. Non riesco nemmeno a rammaricarmi per averne strappati tanti, ci ho fatto anche tante insalate nelle coppe del nonno 😉 questi sono sempre bei ricordi… bacioni!
Insalate nelle Coppe del Nonno? Oh caspita, Viv, io non ci ho mai pensato a farle, bisogna che provvediamo ❤
Un bacione a te cara!
L’hurra Saiwa all’inizio degli anni ’60 si chiamava ‘Ave Roma’.La nonna ogni tanto me ne portava uno dal mercato ed era una festa.Altrettanta festa era al tempo dell’università quando a turno si bigiava una lezione per andare a comprare gli Hurrà rotti e le nenette malriuscite allo spaccio della Saiwa.Ricordo ancora la nonchalance con cui una compagna offrì un biscotto al compianto prof Bronzini che aveva notato il nostro ruminare durante la lezione….
Sì, lo spaccio lo ricordo anch’io, era proprio parte di una diversa Genova.
Gli Urra’ sono da anni tra i miei rammarichi….neanche con il caldo estivo volevo rinunciarvi e inevitabilmente appena aperto l’ involucro quella copertura al cioccolato si scioglieva tra le
mani … I soffioni li chiamavamo le “barbe di Gesu'” li seguivamo con lo sguardo sino a quando facevano perdere le loro tracce…. Io ti confesso che ancor oggi amo fare “quel mazzolin di fiori” ….non estirperei mai una specie protetta o rara … Ma i fiori semplici di campo hanno da sempre decorato i centri tavola in famiglia 💐
Io no, i fiori li lascio nei prati, penso che stiano meglio lì dove sono!
Ma mïa’n pittin i gusti!! Da piccin a merenda gh’ea
Pan con o succou o ‘n pittin de marmellata se Annaba ben. Ciccolata pochissima e raramente… coscí I vwafer
Saiwa no m’ean mai piaixui…
Io anche pane, burro e zucchero ma il ravasai era il mio preferito comunque!
Carissima Miss Fletcher, un altro piacevolissimo tuffo nella memoria storica di tutti noi.
Che bello, quanti ricordi hai suscitato in me.
Un abbraccio Susanna
Grazie Susanna, un bacio grande a te!