“Infatti quale sia la forza dei genovesi, quale la magnanimità, quale il vigore, non può più essere ignoto a a nessun popolo per quanto lontano: sono doti palesi e stanno per così dire davanti agli occhi di tutti in chiara luce.”
Anonimo – Collaudatio quedam urbis Genuensis (1430 circa)
L’avete vista Genova, nelle immagini che mostrano la sua notte infinita.
Non è ancora terminata, i torrenti hanno sommerso ogni cosa, un fiume di fango ha travolto certe strade.
Ancora, di nuovo.
Ancora, di nuovo, come nel 2011.
La vita spezzata, di nuovo.
In una notte che ancora non è terminata, di nuovo.
Una città impaurita, sfregiata, ferita, insonne di dolore.
Sullo schermo della televisione tremendi fotogrammi, quelle auto che galleggiavano sull’acqua, alcune avevano i fari accesi, tutti noi ci siamo domandati se ci fosse qualcuno a bordo.
Ieri notte i lampi illuminavano a giorno il cielo.
E continua a piovere.
Alcuni amici hanno raccolto in un articolo tutti i recapiti e link utili in questa circostanza, lo trovate qui.
Condivido ciò che loro hanno scritto: oggi nessuna polemica solo informazioni utili.
Ce la faremo, Genova si rialzerà, ancora e di nuovo.
La voce che parla di noi, ancora e di nuovo, è la sua.
Ci sono giorni nei quali sai perfettamente di cosa scriverai.
Guardi l’ora e ti domandi: l’anno scorso a quest’ora cosa stavo facendo?
Fuori piove.
Ci sono giorni nei quali ti ricordi ogni minuto alla perfezione, una sequenza di eventi, una catena di parole, i rumori, i movimenti.
Il 4 novembre è uno di quei giorni.
Alluvione, il cielo che cade su Genova, i fiumi che esondano.
E intanto fuori piove e il cielo è grigio.
Io ero qui.
A me non è capitato nulla di drammatico, solo una grande paura.
Ma è terribile vedere l’acqua che invade Piazza della Vittoria, quanto è veloce l’acqua?
Come sempre avevo la macchina fotografica nella borsa ma non mi è passato neanche per la mente di scattare qualche foto, quando sono arrivata all’altezza del mercato Orientale e mi sono voltata indietro sono semplicemente rimasta a guardare per qualche istante che mi è sembrato eterno.
Il vigile in mezzo alla strada, la marea giallastra che avanza, acqua, acqua, acqua.
Dappertutto.
E le sirene, i rumori concitati della gente, la pioggia e il caos.
Sono giornate che non si dimenticano.
E non si possono scordare le vite perdute, mai.
E l’odore del fango, quanto è pungente e persistente? Quanto ci metti a dimenticarlo?
Abbiamo avuto il fango e i suoi angeli, la vita offre anche questo, la visione della speranza.
In questi giorni pensavo alla pioggia.
La pioggia, la pioggia è musica, magia, ritmo.
La pioggia, come ogni elemento della natura, a volte si rivela violenta e furiosa, a volte distrugge e sconvolge, ma ciò che provoca maggiori disastri è la nostra incapacità di saper vivere a contatto con la terra che ci ospita, in armonia con essa.
E ci sono giorni, come questo, nel quale guardi il cielo e ricordi.
E speri che non accada più, qui quando piove si guarda verso le nuvole con una certa apprensione e con la speranza che non accada di nuovo.
Speranza.
Non bisognerebbe avere speranza, ma certezza che non accadrà mai più.
Sono stata a Staglieno, giorni fa.
Prima di entrare al cimitero uno sguardo al Bisagno è stato inevitabile.
Si presentava così il torrente che l’anno scorso si è trasformato in un mostro che tutto ha travolto.
E mi sorge spontanea una domanda.
E’ normale che nel letto di un torrente ci sia tutta questa vegetazione?
Oggi è il 4 Novembre, è trascorso un anno da quel giorno.
E quel giorno per Genova è stato tragico, acqua, acqua, acqua.
Dappertutto.
Abbiamo avuto una voce che ci ha consolato, questa voce.
La sua voce calda, sempre presente in queste strade, nei nostri caruggi.
La città si è rialzata e lui c’era.
Lui c’è sempre, non solo per me.
E io oggi non ho nulla di saggio da dirvi, in realtà.
Ma ci sono giorni che non si dimenticano, oggi è uno di quei giorni.
Fuori il tempo è grigio, è un normale mattino d’autunno.
C’è un cielo grigio perla, a tratti più scuro.
E in qualche modo devo concluderlo questo post e allora userò parole opposte a quelle che scelsi lo scorso anno.
Questa è Genova, come vorrei che la vedeste sempre.
A volte è facile cadere nella retorica, hai un pensiero, trovi le parole per esprimerlo, a chi ti legge appare banale e scontato.
Correrò il rischio, in questa occasione.
Francesca, Michele, Giacomo, Alice, Lucia, questi sono alcuni dei loro nomi.
Li chiamano angeli del fango, come quelli che con pala e secchi ripulirono Firenze durante l’alluvione del ’66.
Ora sono in prima linea, nei quartieri alluvionati di Genova, nelle strade di Marassi, in Piazzale Adriatico invasa dal fango.
E da questa melma sbocciano come fiori.
Stivali di gomma, pala, secchio, un paio di jeans e una giacca a vento.
Loro sono quelli che si fanno il piercing, poi si fotografano con la lingua di fuori e usano quell’immagine per rappresentare se stessi.
Sono quelli che, a volte, per scrivere usano la kappa.
Sono quelli che, secondo molti, non hanno più ideali, o se e ce li hanno, sono quelli sbagliati.
Ma è il destino dei giovani, c’è sempre qualcuno più adulto e più saggio di te che vuole insegnarti a vivere, anche se lui non ha ancora imparato.
Sono quelli che vanno a ballare ad ore impensabili, noi a quell’ora rientravamo.
Sono quelli che vivono attaccati a Facebook e al loro I-Phone.
Sono quelli che troppo spesso non comprendiamo, ma visto il mondo che stiamo lasciando loro, non possiamo certo lamentarci se, a loro volta, li sentiamo dire che non ci capiscono.
Sono quelli che, se va bene, troveranno un lavoro precario.
Sono quelli che per entrare all’Università devono sostenere un test d’ingresso; se non lo passi, fine del sogno, ancora prima di poterti cullare con le tue illusioni.
Stamattina ho visto una ragazza in televisione.
Scura di pelle, occhi di ebano, capelli neri raccolti in una coda, una splendida creatura, avrà avuto sì e no vent’anni.
Diceva che ieri è stata a spalare fango dalle nove alle quattro, oggi era di nuovo lì, con la forza dell’entusiasmo e con l’energia di una leonessa.
Sono tanti, più di tremila, sono instancabili, coraggiosi, alcuni sono minorenni, sono la consolazione di chi ha perso tutto, di chi ha visto la propria vita trascinata via dall’acqua.
Si sono organizzati autonomamente, hanno creato una pagina Facebook dal titolo: Angeli col fango sulle magliette.
L’immagine del profilo è il volto di Fabrizio De Andrè che si porta la sigaretta alla bocca e la sua mano è sporca, sporca di fango.
Ma chi sono quelli senza ideali?
Su quella pagina organizzano i volontari, forniscono indicazioni su persone disponibili ad ospitare chi è rimasto senza casa, coordinano le emergenze.
Sono al fianco della Protezione Civile, di altri volontari molto più adulti, di molti extracomunitari che ho visto lavorare alacremente accanto ai genovesi per ripulire la Superba, una città che amano e che è diventata anche la loro.
L’emergenza non è finita, ventidue famiglie sono state evacuate dalle loro case.
Nelle strade e nelle vie invase da questa fanghiglia ostile, dall’acqua sporca e marcescente, ci sono loro, gli angeli diciottenni con le magliette sporche, gli angeli che stanno insegnando a gente molto più grande di loro cosa significhi avere degli ideali.
C’è un cielo strano, azzurro spento, a tratti vira verso il metallo.
Piove.
Piove, per ora non troppo.
Piove, c’è un’ordinanza del Comune che vieta il traffico alle auto private.
Piove, a volte tuona, minaccioso.
Ogni luogo ha la sua voce, noi ne abbiamo una che ha saputo raccontarci come nessun altro mai.
Noi, a Genova, abbiamo una voce che narra della stazione di Sant’Ilario, di un vecchio professore che si aggira per la città vecchia in cerca di un’effimera gioia, di un pescatore che ha un solco lungo il viso, di una bambina con le labbra color rugiada.
Quanto ci manca la tua voce, Faber, ci sentiamo soli senza di te, ti pensiamo ed ogni volta che una tragedia sconquassa il mondo ci domandiamo come le avresti raccontate tu la vita, la morte, la lotta, la paura, il conforto.
E la tua voce, la tua voce profonda, unica ed inimitabile, è la nostra consolazione.
Siamo sospesi nell’attesa e ascoltiamo le tue parole.
Acqua che non si aspetta, altro che benedetta, Acqua che porta male sale dalle scale, sale senza sale, sale Acqua che spacca il monte, che affonda terra e ponte.
E piove, piove ancora.
Passano gli elicotteri dei vigili del fuoco.
Ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare quando ingorga gli anfratti si ritira e risale e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell’onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda.
E piove, il giorno dopo, in lontananza si sentono delle sirene.
Acqua che ha fatto sera, che adesso si ritira bassa sfila tra la gente come un’innocente che non c’entra niente fredda come un dolore, Dolcenera senza cuore.
E la tua voce ci abbraccia, abbraccia tutta Genova.
Genova senza sole, Genova senza sorriso.
E quanto ci manchi, Faber, amico fragile.
Noi ci sentiamo soli senza di te, ma forse stiamo sbagliando. Tu non ci hai mai lasciati, tu sei qui, tra di noi.
Non aspettatevi parole belle, gentili, aggettivi che richiamano l’armonia e la bellezza che sempre ricerco.
Oggi è una giornata cupa, non c’è spazio per il sogno, per l’illusione, l’acqua dei fiumi sta travolgendo tutto, le strade, le piazze, i sogni, il fango ha cancellato il cielo e il peggio ancora deve venire, dicono.
Stamattina, sull’autobus, mi sono soffermata a guardare una bimba, aveva gli stivaletti di gomma, la mantellina colorata, la cartella sulle spalle.
Sono morte delle persone, ho perso il conto di quante.
E la bimba con gli stivaletti era biondina, con il visetto allegro, ai piccini piace pasticciare con i piedi nelle pozzanghere, far roteare l’ombrello e saltare schizzando l’acqua ovunque.
Ieri sera, rincasando, ho letto sui display luminosi di AMT che i cimiteri saranno chiusi fino alle 12 di domenica per allerta Meteo.
E le scuole? Aperte! Se qualcuno è in grado di spiegarmi quale logica ci sia in simili provvedimenti, gliene sarò grato, io non riesco a comprendere.
Così oggi, tutti a scuola, con gli stivaletti di gomma.
E’ inutile dire, vero, che la situazione si ripete ciclicamente da queste parti?
E’ superfluo ricordare che sul greto del Bisagno c’è una foresta incolta e che molti altri fiumi sono nelle medesime condizioni?
Io ero in ufficio, stamattina.
La pioggia cadeva, forte, battente, violenta, nera, prepotente.
E quando piove così, a Genova, è alluvione.
E’ arrivata, ed è stata l’apocalisse.
Ho pranzato con un collega, in un bar di Piazza della Vittoria.
Usciti da lì siamo andati a vedere se il sottopasso era chiuso, erano le 13.20 e il sottopasso di Via Cadorna era regolarmente aperto.
Siamo tornati al lavoro, ed è arrivata la notizia che il Bisagno stava esondando.
Sono uscita alle 13.40 circa, dirigendomi verso Brignole e sapete, la gente correva tutta nella mia direzione, io non ho mai visto la gente fuggire così, come quando nei film sbarcano gli alieni e tu scappi, non sai verso dove, ma sai solo che devi fuggire.
Cambio direzione, giro verso Via Venti, ma in Via Brigate Liguria l’acqua avanza, arriva già ai marciapiedi, e continua a salire, ad una velocità inesorabile.
Non ci sono taxi e non ci sono autobus, si può solo camminare.
Sono arrivata sotto il Ponte Monumentale, mi sono voltata e ho visto un vigile in mezzo alla strada, all’altezza del mercato orientale, sullo sfondo Via Fiume e Via Cadorna inondate dall’acqua.
Ho camminato ancora finché, provvidenziale, ho trovato un taxi che mi ha portata a casa.
Ciò che io ho vissuto è stato nulla, solo paura, spavento, impotenza di fronte all’imponderabile.
Altrove, e in quelle stesse strade nelle quali io ho camminato, si è scatenato l’inferno.
Fiumi d’acqua, macchine, moto, cassonetti trascinati via, una mamma e i suoi due bambini sono stati travolti e hanno perso la vita, altre persone sono morte, chi non si è ferito e non si è fatto male per mettersi in salvo ha dovuto faticare, camminare tanto, arrancare in mezzo a strade trasformate in torrenti, incespicare, cadere, rialzarsi.
C’è una televisione locale che tiene costantemente aggiornati i genovesi, sui Social Network ci sono cittadini che diffondono le notizie utili.
Oggi è una giornata buia per Genova.
Genova la Superba, splendente, luminosa, con i colori delle facciate che scintillano sotto il sole.
Io non avrei voluto mai farvela vedere così, com’è oggi.
Per chi non è di Genova, quella che vedete nelle prime inquadrature è Via XX Settembre, la strada che cominciava ad allagarsi, mentre io me ne andavo, e quando la telecamera gira, oltre l’insegna di Sephora, in lontananza si vede Via Cadorna, dove alle 13.20 il sottopasso era aperto.
Questa è Genova, come non avrei mai voluto che voi la vedeste, il 4 Novembre 2011.