Il tondo di Natale

Il tondo di Natale è una poesia di Nicolò Bacigalupo, dove si narra quale fosse, nei secoli passati, il vero pranzo natalizio dei genovesi.
La poesia, ovviamente in dialetto, venne pubblicata nel 1901 sulla rivista “Il successo”.
Alcuni dei piatti e delle pietanze delle quali si narra in questo poemetto ancora oggi vengono serviti sulle nostre tavole, certo con più parsimonia rispetto a quei tempi.
Non usano più i lauti pranzi con innumerevoli portate, ma allora, nella Genova dei nostri nonni, le tavole delle feste erano il trionfo dell’abbondanza.
E allora andiamo indietro a quegli anni e immaginiamo i giorni che precedono il Natale.
Nelle case si è fatto il presepe, con la carta che ricorda il color delle rocce.
La sera della Vigilia poi, si esce e si va per caruggi e dappertutto ci sono banchi di dolci, di salumi e di verdure, di uova e di burro, ognuno espone la propria mercanzia e giù per i vicoli si riversa una fiumana di gente, ecco le giovani spose, ecco i bambini e le fanciulle ancora da maritare.
Si va alla messa di mezzanotte e poi il tempo si ferma, è Natale e la città si svuota.
Ogni famiglia si riunisce, tutti portano l’abito buono e la tavola è imbandita con il servizio migliore, ci sono le posate d’argento e al centro una grande zuppiera.
Si comincia con i maccheroni in brodo di cappone e poi, a seguire, si gusta proprio il cappone bollito.
Poi è la volta della fricassea di pollo, con fegatini, cuori, interiora e luganega, con il sugo nel quale bagnare il pane ed i crostini.
Eh, siamo buongustai da queste parti sapete!
E in tavola arriva l’aragosta e poi ancora il sanguinaccio, di nuovo con la luganega, le cervella e i filetti di vitello.
Su ogni tavola che si rispetti, poi, non possono mai mancare il tacchino arrosto né tanto meno le radici di Chiavari dal sapore amarognolo, condite con olio, un po’ d’aglio e una spruzzata di aceto.
E poi dolci in quantità: latte fritto e croccante alle mandorle, torte di pasta frolla e meringhe, pasticcini ripieni di marmellata che qui chiamiamo cobelletti e poi ancora pasta sfoglia e zabaione.
Da ultimo il pandolce genovese, sul quale per tradizione si conficcava un ramo d’alloro, da infilzare ben dritto, altrimenti porta sfortuna.
E poi ancora, si assapora la frutta secca e candita, torroni e frutta sotto spirito, pere allo sciroppo, mele e biscotti, ricotta di Voltaggio e per finire lo stracchino, molle e cremoso che si disfa nel piatto.
Questa miscellanea, scrive Bacigalupo, andrà a riempire il tondo, ovvero il piatto, che ciascun commensale porterà alla propria casa, di ritorno da questo banchetto natalizio.
Si sorseggia il rosolio, si brinda con l’Asti Spumante, in una casa di Genova, nel giorno di Natale, tanto tempo fa.


Pasticceria Liquoreria Marescotti di Cavo

16 pensieri su “Il tondo di Natale

  1. E non è a caso, cara Miss Fletcher che si chiami “cenone”! Ma caspita che ben di Dio, ce n’è per tutti, eh? Però questi pasti tradizionali sono davvero speciali, da non dimenticare. Non farò lasagne scongelate al microonde e poi ti racconterò la nostra cena 😉
    Baciotto Susanna

  2. Miss, ho un’intera enciclopedia di 12 volumi, di Genova scritta da Nicolò! Non è possibile. Me l’aveva regalata quella mia zia genovese che ha perso il marito, mio zio, sulla nave in guerra, ricordi? Incredibile. Bellissimo post sorellina, bellissimo.

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