Palazzo Ducale: le antiche lapidi della Superba

Sono tornate sotto gli occhi della città, davanti agli sguardi dei genovesi.
Sono tornate nel luogo dove si trovavano, nel palazzo che fu un tempo dimora del Doge e cuore del potere, il nostro Palazzo Ducale oggi prestigiosa sede di mostre ed eventi culturali.

Sono affisse sui muri del Cortile Maggiore, dopo essere state a lungo conservate nel Museo di Sant’Agostino le epigrafi del passato di Genova sono state restaurate e sono divenute così ancor più preziose.

Narrano storie di uomini e della città, sono testimonianze antiche, alcune risalgono alla fine del’200, altre agli ultimi anni del ‘700.
Le lapidi collocate su questo muro si riferiscono a lavori effettuati in porto.

Munifici e generosi questi genovesi, alcuni spendevano le loro ricchezze per il bene della città.
E allora si tramandi ai posteri il nome di coloro che aprirono i cordoni della borsa per la Superba e per la sua grandezza, sia ricordato Bartolomeo Lomellino che nel 1778 donò molti dei suoi denari per l’ampliamento del porto.

Tra i tanti spicca un nome illustre inciso su ben 2 lapidi: è quello di Marino Boccanegra, fratello di Guglielmo che fu Capitano del Popolo.
E anche in questo caso si tratta di lavori per l’ampliamento del porto, Marino non vuole essere dimenticato e fa lasciare traccia del suo operato su questo marmo.
Correva l’anno 1295, quanto tempo è trascorso?

E il nome di lui si legge chiaramente, il nome di lui è ancora qui, nel cuore di Genova.

E ancora questa epigrafe è dedicata a Marino Boccanegra.

Troverete una legenda che vi spiegherà il significato di ogni singola lapide, ognuna è un frammento di storia, ognuna racconta giorni che non abbiamo vissuto.
E così scoprirete che questa epigrafe riguarda il prolungamento di Ponte Calvi effettuato nel 1590.

E quest’altra si riferisce invece la ristrutturazione dell’Ufficio dell’Annona nel 1694.

Sventola nel cielo azzurro la nostra Croce di San Giorgio.

E sul muro di fronte ecco altre testimonianze.

Anche in questo caso un’esaustiva legenda vi permetterà di comprendere il significato di questi marmi.
Uno di essi è la memoria di tempi difficili, all’epoca in cui queste nostre terre erano occupate dagli austriaci.
E in quel 1747 i devoti abitanti di Sant’Olcese misero in salvo le reliquie del loro Santo protettore, il nome di lui è qui scritto Urcisinus, la lapide riguarda proprio la traslazione delle ceneri del Santo.

E poi ancora, altri marmi riguardano illustri figure cittadine, altri ancora si riferiscono all’acquedotto della città.
Questo marmo, ad esempio, è testimonianza di certi lavori di pulizia che vennero fatti ad una vasca situata nella zona dell’Oratorio di Sant’Antonio della Marina.

Tra tante lapidi scritte in latino una è invece nella nostra lingua ed è quindi comprensibile a tutti.
Risale al 1724 ed era affissa sull’acquedotto presso la chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

Non ve le ho mostrate una ad una, se passerete al Ducale potrete vederle con i vostri occhi e magari anche a voi sembrerà che quel passato lontano sia poi, in realtà, ancora presente: è parte del nostro cammino, è parte della nostra storia personale.

Ed è rimasto inciso nel marmo, eterna memoria di un tempo distante.

Tra tutte queste preziose testimonianze una è di immensa importanza in quanto si riferisce ad un diritto fondamentale dell’uomo e a ciò che è da considerarsi valore assoluto per tutti noi: la libertà.
E allora non vi parrà tanto estraneo quest’uomo dall’animo nobile di nome Domenico, forse se potessimo parlare con lui capiremmo le sue buone ragioni.
E noi uomini di questo millennio troveremmo dei punti in comune con questa persona generosa che visse in tempi aspri e difficili.
Egli lasciò all’Ufficio preposto alla liberazione degli prigionieri l’ingente cifra di 200 Lire annue perché venissero spese per coloro che non avevano mezzi per liberarsi dalle catene della prigionia.
In nome di un diritto fondamentale di ogni uomo, nella nostra epoca come in quella di Domenico: in nome della libertà.

Circonvallazione a Monte: guardando i tetti

Vi porto ancora per le strade del mio quartiere, a guardare i tetti, in questa stagione dolce le prospettive sanno essere incantevoli.
Così era, appena una settimana fa in Corso Firenze: chiarore di cielo azzurro e neve sui monti in lontananza.

E come vi ho già raccontato, in questa città di strade in salita che si inerpicano sinuose, i tetti dei palazzi delle vie sottostanti terminano in corrispondenza delle strade della Circonvallazione e così da Corso Firenze si vedono gli ultimi piani degli edifici di Via Pertinace.
E scalette, piante, terrazzini.

E tende per riposarsi all’ombra.

Rampicanti e quei colori cari a noi genovesi, bianco e rosso della Croce di San Giorgio.

Sventola nel cielo fresco di marzo la bandiera di Genova accanto al simbolo della Superba.

Disegni nell’aria e in lontananza la modernità.

E geometrie, castelli ed edifici ottocenteschi.

Ancora, su Ponte Caffaro.
Ringhiere, vasetti, gradini, bellezza vera sospesa lassù.

E più oltre, sulla sommità dei palazzi che si affacciano sul percorso della funicolare Sant’Anna, altre armonie di un altro tempo.

Tutti gli indizi della primavera, andando verso la spianata.
Un tettuccio, piante rigogliose, muri dai colori caldi.

E ancora foglie rosse, alberi, contrasti di Genova.

Una sdraio per riposarsi al sole, una palma e tantissimi vasi, vasi di coccio che ospitano la vita.

Camminando per le strade del mio quartiere.
Guardando i tetti e le prospettive della Superba.

Seguendo il sole in Salita Dinegro

Chiarori d’autunno in una via del centro di Genova.
Ogni volta che mi capita di passare in Salita Santa Caterina lo sguardo inevitabilmente cerca le bellezze di Salita Dinegro, ieri mattina questi erano i suoi colori travolti da una luce brillante.

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Gradino dopo gradino, fino in cima.

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Mentre il sole accarezza i muri e ravviva i toni.

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Alle mie spalle lo scorcio di Piazza Rovere.

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E poi la luce proietta a terra un disegno perfetto dai contorni definiti.
Io amo seguire il sole su per queste strade, non sai mai cosa potrai trovare.

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E ancora si sale.

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E mi guardo indietro mentre un bagliore intenso scintilla sotto le persiane aperte e al di là delle ardesie.

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E alcuni vetri diventano una magia di riflessi.

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Sguardi severi vigilano su certi portoni.

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E il calore lucente accarezza questi magnifici scalini delle Superba.

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Su un terrazzino, avvinghiata ad una ringhiera, la bandiera di Genova attende la potente tramontana per sventolare libera nell’azzurro.

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Non sono l’unica a seguire il sole, in Salita Dinegro ho trovato una farfalla posata su un gradino.

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Un volo, un battito d’ali, la leggerezza.
Ho seguito anche lei, su e giù per la salita.

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Una farfalla di novembre in queste giornate di autunno inaspettatamente calde.

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E ritorno ancora sui miei passi, guardando oltre l’archivolto.
Tra giallo e ocra, questa è una delle più incantevoli prospettive genovesi.

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Ancor più bella quando il sole la illumina e la inonda con il suo brillante chiarore e scende giù, gradino dopo gradino.

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Semplicemente grigio

Grigio.
Sfumatura di nuvole, iridescenza di conchiglia, a volte mare inquieto.
Indefinito e indicibile, come le risposte che non sai trovare, come quei pensieri incerti che restano in una parte nascosta di te, nella tua zona d’ombra.
Ma poi.
Basta un colpo di vento, sai.
E un cielo turchese e tutte le declinazioni del grigio.

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Elegante, essenziale, riflesso d’argento.

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Grigio di metallo, casa improvvisata di timidi fiorellini.

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Tono della vita di una delle ultime coraggiose farfalle: lei non vuole arrendersi all’autunno e alla sua aria frizzantina, rimpiange già il tepore dell’estate.
L’ho trovata una mattina, quasi intirizzita, posata sulla zanzariera.
Fragile, così.

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Grigio chiaro, di lacca, nel misterioso silenzio di una porta chiusa.

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Una tenda abbassata, la luce fioca di un lampione.
E soltanto diverse vaghezze di grigio.

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Organza sottile, bianca e rosa, un refolo d’aria e un improvviso movimento.
Delicatezza di perla in una sola prospettiva.

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Grigio.
Di nubi gonfie di pioggia, di temporali, di mutamenti di stagione.
Ma poi.
Basta un raggio di sole che si posa sul mare, sai.
E tutto si rischiara e si illumina, in certe radiose declinazioni di grigio.

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Guardando i tetti da Palazzo Rosso

Di ardesie, caruggi e terrazzini.
In Via Garibaldi, già Strada Nuova, c’è un edificio che un tempo appartenne a una generosa genovese: Palazzo Rosso era la sua casa, lei volle donarlo alla città e ai suoi abitanti, oggi è uno dei prestigiosi Musei di Strada Nuova.

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Benvenuti nella dimora di Maria Brignole Sale, nobildonna e benefattrice che tanto si spese per la Superba, altrettanto fece il suo consorte, il Duca di Galliera, colui che lasciò a Genova ben più di un dono.
Di entrambi tornerò a scrivere, oggi vi porto ad ammirare la Superba da questo palazzo da lei tanto amato.

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Genova di edifici fastosi e di caruggi.
Accanto, grandezza e contrasti.

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E una balaustra, al di là dei vetri geometrie della città.

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Luce e grigio di ardesie, finestrelle e comignoli.

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Prospettive di vicoli e campanili in lontananza.

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Vedute visibili a tutti, oltre alle mirabili collezioni d’arte il palazzo offre ai suoi visitatori panorami mozzafiato.
Sventola la croce di San Giorgio issata sulla Torre Grimaldina, la sospinge il vento di mare.

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E poi ringhiere, pianticelle, cielo.

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Mediterraneo, in una mattina tersa e limpida.

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Rimane tutto in un sola immagine: il Campanile delle Vigne e un filo con i panni stesi,
la Torre degli Embriaci in lontananza e un verde rampicante.
In un solo scatto sacro e profano, la memoria dell’eroe e la semplice quotidianità.

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E tetti, rifugio di pigri gabbiani.

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E ancora si sale, fino alla sommità dell’edificio.
E sono scalette, riquadri di finestre, navi e sovrapposizioni di epoche diverse.

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Una ringhiera, gli abbaini, una scaletta tra le ardesie.

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Profili di curve, di strade, di maestosi palazzi.
E ancora non ho perso l’abitudine di cercare la mia casa quando lo sguardo si posa sulle alture.

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Il terrazzino.
Lassù.
Perso nell’azzurro.
Sopra i tetti, tetti della Superba.

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E ardesie e prospettive che scivolano via, verso l’orizzonte del mare.

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E la città reale e la città riflessa.

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Io so che da alcune case dei caruggi si gode di vedute simili a queste, ma questa particolare bellezza è offerta a tutti: è aperta al mondo, ai genovesi e ai visitatori di questa città.
Un dono di lei, Maria Brignole Sale.
La città di ieri e quella di oggi, i vicoli, il bigo, la vita del porto.

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Un tetto spiovente, tegole rosse, il vento inquieto.
Genova.

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Un dono di lei, Maria Brignole Sale.
Genova.
Guardando i tetti, da Palazzo Rosso.

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La Croce di San Giorgio

Oggi, 23 Aprile, è il giorno di San Giorgio, eroica figura che da molti secoli ha un posto speciale nel cuore dei genovesi.
La memoria di San Giorgio e delle sue gesta è scolpita sopra i portoni dei palazzi della città vecchia e se non sapete per quale ragione la sua immagine si trovi su certi edifici invece che su altri qui trovate la spiegazione e potrete leggere anche la storia avventurosa di questo Santo che sconfisse un terribile drago.

Vico dell'Oliva

E nel giorno a lui dedicato io desidero celebrare il Santo valoroso e anche il vessillo della Superba sul quale campeggia fiera proprio la Croce di San Giorgio.
Pe Zêna e pe Sàn Zòrzo, queste parole risuonano in questa città dagli albori della Repubblica di Genova.
Per Genova e per San Giorgio!

Bandiera di Genova

Genova celebre per le sue imprese, Genova temuta e rispettata.
Croce rossa in campo bianco, simbolo dell’eroismo dei Crociati in Terra Santa, la Croce di San Giorgio figura anche sulla bandiera inglese: sul finire del 1100 fu proprio la Repubblica di Genova a concederne l’uso al Re d’Inghilterra.
In cambio di moneta sonante il Doge della Superba si impegnava a proteggere con la sua flotta le navi inglesi che, battendo la celebre bandiera genovese, si avventuravano nel Mediterraneo all’epoca infestato da minacciosi pirati.

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Ancora adesso il simbolo di Genova La Superba sventola nelle strade un tempo percorse da valenti uomini di mare.
Non so dirvi quante volte ho incontrato la Croce di San Giorgio, scorgere questi colori per le vie della mia città suscita in me un autentico senso di appartenenza.
Bianco e rosso, l’ho veduto in ogni luogo, davanti una finestra di Campetto e sopra l’orologio che scandisce le nostre giornate.

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Simbolo di Genova e della sua grandezza.

Stemma di Genova

Sventola in cima alle torri di Porta Soprana.

Porta Soprana

Davanti al Palazzo che trae il nome proprio da San Giorgio, oggi sede dell’Autorità Portuale.

Palazzo San Giorgio

Ed è nel vessillo dei prodi Balestrieri del Mandraccio.

Balestrieri del Mandraccio

Di fronte al fastoso Palazzo della Meridiana.

Palazzo della Meridiana

Bianco e rosso, sul lampione che sovrasta una farmacia in Via della Maddalena.

Croce di San Giorgio

Nello stemma della città, a Tursi.

Palazzo Tursi

Sul faro che rischiara l’orizzonte ai naviganti.

Lanterna

In ogni modo, sempre.

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Davanti alla casa natale di un suo celebre figlio di nome Giuseppe Mazzini, colui che amava la sua Genova e anche il nostro tricolore.

Casa di Mazzini

Mossa dal vento, sulla sommità della Torre Grimaldina.

Torre Grimaldina

In quella magia di ardesie, abbaini e tetti dai quali affiorano misteriose torri antiche.

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Nello splendore del Salone del Minor Consiglio a Palazzo Ducale ancora sventola orgogliosa la nostra croce di San Giorgio.

Palazzo Ducale

La si scorge su certi cancelli, nelle luci di una sera d’inverno.

Piazza Banchi

Nelle grandi piazze, di fronte a vaste dimore.

Piazza della Nunziata

Nei semplici caruggi, nell’ombra nascosta dei vicoli.

Vico delle Camelie

E là, nel cielo blu che sovrasta Via Garibaldi.

Via Garibaldi

Nel giorno di San Giorgio, davanti al mare che bagna questa terra, simbolo di una fierezza che dovremmo saper conservare.
E in quelle parole che rimangono ancora nostre, fanno parte del nostro cammino nel mondo e della nostra identità.
Pe Zêna e pe Sàn Zòrzo!

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