Il Monumento ai Caduti di Voltri di Vittorio Lavezzari

Questa è la storia di un monumento perduto opera di Vittorio Lavezzari, artista di grande talento e autore di numerose suggestive sculture site al Cimitero Monumentale di Staglieno.
Realizzato a metà degli anni ‘20 e collocato in Piazza Gaggero a Voltri, il monumento celebrava il sacrificio di molti giovani voltresi mai più ritornati alle loro case dopo la I Guerra Mondiale.

Nelle straordinarie immagini che completano questo post potete vedere il bozzetto originale dell’opera, una preziosità della quale è proprietario l’Ingegner Vittorio Lavezzari, nipote del celebre scultore e qui lo ringrazio per avermi contattata e per avermi inviato tutte le fotografie di questo post che mi permettono di mostrarvi il lavoro del suo illustre nonno.

Lavezzari effigiò nel bronzo la drammatica figura di un soldato che in una mano regge una tagliente spada e nell’altra uno scudo.

È una figura intensa e potente, carica di drammaticità e di tensione rese ancor più percepibili proprio grazie alla postura del giovane soldato.

Nel 1941 l’opera di Vittorio Lavezzari venne inclusa nella campagna “bronzo alla patria” durante la quale molti monumenti vennero rimossi e fusi, il loro bronzo fu utilizzato poi per realizzare armamenti.
Così Voltri perse il suo monumento ai caduti, al posto di esso oggi è ivi collocata una scultura astratta di un diverso autore.
Rimane sul basamento la firma di Vittorio Lavezzari e l’opera dello scultore ancora si ammira grazie a questo bozzetto.

Così si stagliava nel cielo di Voltri la tragica figura del soldato pensata e realizzata dall’ingegno di Vittorio Lavezzari.

Dettaglio da cartolina di proprietà di Vittorio Lavezzari

Chiesa di San Pancrazio: un gioiello nei caruggi

È una piccola chiesa dedicata a San Pancrazio e sita sulla piazza omonima, nell’intrico di vicoli tra Fossatello e Sottoripa.
E qui, sull’altare, si erge la figura del giovane martire Pancrazio.

Le prime notizie di questa chiesa, come scrive l’Alizeri, risalgono al lontanissimo 1023, la chiesa fu patronato delle famiglie Falamonica, Calvi, Ricci e Pallavicini e furono proprio i membri di quest’ultima famiglia a farsi carico della ricostruzione quando la chiesa venne gravemente danneggiata dalle bombe del Re Sole nel 1684.
Scrive sempre l’Alizeri nella sua Guida Illustrativa del Cittadino e del Forestiero per la città di Genova e sue adiacenze del 1875:

Nel luglio del 1685, adunati i Pallavicini nel reale palazzo in numero 24, con a capo l’eccellentissimo Gio. Simone, stanziarono unanimi ch’ella si riedificasse in nuove forme e con decoro di cupola, assegnando al bisogno porzione dei fondi che possedea la famiglia sui cartularj della Banca di San Giorgio. Tra il maturar l’impresa e’ l conseguir dai Signori le richieste sanzioni, ebbe a correre un lustro.

Ed ecco la piccola chiesa, racchiusa tra le case dei caruggi, in questa zona che fu ampiamente colpita dalle bombe anche durante la II Guerra Mondiale, pure San Pancrazio subì nuovi danneggiamenti e le fu poi nuovamente restituito il suo splendore.

Nella volta si ammirano i delicato affreschi settecenteschi di Antonio Boni nei quali è effigiato San Pancrazio portato in cielo dagli angeli.

Sull’altare è posta, come detto, la statua di San Pancrazio opera magnifica di Filippo Parodi.

Una figura ieratica, solenne, rappresentata nella pienezza della grazia di Dio.

E sul Santo si librano dolci angioletti.

E si ritrova il segno del talento del Parodi, così spesso presente nelle nostre chiese genovesi.

Ed è poi di grande e mirabile pregio il trittico di San Pancrazio opera del fiammingo Adriaen Isenbrant.
Scrive la studiosa Maria Clelia Galassi nel volume Genova e l’Europa Atlantica edito da Banca Carige che al dipinto avrebbe contribuito un collaboratore che si sarebbe dedicato alla componente del ricco paesaggio dell’opera.
Nella parte centrale del trittico sono rappresentati Cristo, San Pancrazio e San Giovanni Evangelista.
Sulle ante laterali si trovano invece San Pietro e San Paolo.

È un’opera ricca di dettagli e particolari, secondo lo stile fiammingo, nello sfondo si riconoscono i monumenti di Roma che fu scenario della morte tragica del giovane martire Pancrazio che venne decapitato.

Armoniosa e lucente è la magnifica figura del Padre Eterno che tutto sovrasta.

Nella piccola chiesa si trova anche una scultura della Madonna della Misericordia.

È opera settecentesca del valentissimo Francesco Maria Schiaffino.

Sono poi presenti due dipinti che provengono dalle collezioni dell’Albergo dei Poveri.
Si tratta di una Madonna Immacolata di autore genovese e risalente alla prima metà del XVII Secolo.

Il secondo dipinto ritrae invece San Giovanni Battista ed è opera di autore genovese e risalente alla seconda metà del XVI Secolo.

La piccola Chiesa di San Pancrazio è aperta e visitabile in occasioni particolari ed è officiata a cura della Delegazione Ligure del Sovrano Ordine di Malta.

Tra le sue mura si ritrovano così i colori e i simboli dell’ordine.

E sulla facciata è affissa la Croce di Malta ad otto punte.

Questa piccola chiesa è davvero uno dei gioielli dei nostri caruggi, con le sue storie antiche e le opere preziose qui custodite.

Sotto il cielo chiaro di Genova e nel segno del Sovrano Ordine di Malta.

In nome del giovane San Pancrazio martire.

L’Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e Santi Re Magi

L’Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e Santi Re Magi si trovava nel cuore antico della città, alle spalle della Chiesa di Santa Maria di Castello e il suo nome deriva dalle diverse confraternite che vi confluirono.
La prima di queste Confraternite ebbe origine nel 1309 e nel 1344 si trasferì da Morcento al Chiostro di Santa Maria di Castello e prese appunto il nome di Confraternita di Santa Maria, i suoi membri si occupavano in particolare di assistere i poveri lebbrosi così bisognosi di aiuto.
Sul finire del ‘600 ad essa si unì la Confraternita di N. S. Della Misericordia, in seguito nel 1723 si aggiunse la Confraternita di San Bernardo e nel 1802 quella dei Santi Re Magi.
Tutte queste interessanti notizie sono riportate nel volume Gli Oratori di Genova – Un manoscritto del 1912 di Paolo Novella edito da Compagnia dei Librai nel 2002, da queste pagine scopriamo anche che l’antico oratorio era ricco di opere d’arte.

La storia dell’Oratorio si intreccia inesorabilmente alla storia della città.
Quando Genova venne bombardata dalla flotta francese del Re Sole nel lontano 1684 anche l’Oratorio subì molti danni venendo devastato da un incendio e diverse opere d’arte furono così distrutte dalle fiamme che si alzarono verso il cielo mandando in cenere statue e dipinti.

Novella ci racconta ancora dell’Oratorio risalente al ‘600 e alla sua epoca ancora esistente, narra dei magnifici affreschi di Lazzaro Tavarone che adornavano la volta e racconta poi dei dipinti ed opere d’arte qui condotti dall’Oratorio della Foce, erano opere di Mulinaretto, Bernardo Castello e Giovanni da Passano.
Lungo è l’elenco delle meraviglie che non possiamo più ammirare, qui c’era anche un dipinto di Luca Cambiaso intitolato Il martirio di San Bartolomeo.

Le pagine cupe della nostra storia ci conducono poi ai giorni tragici dei bombardamenti subiti durante la II Guerra Mondiale, questa zona fu pesantemente colpita e l’Oratorio con le sue ricchezze venne distrutto durante un bombardamento aereo nel 1944.
Questa zona del resto fu particolarmente colpita in quegli anni bui, ancora si conservano i ruderi dell’antica Chiesa di Santa Maria in Passione attigua all’oratorio e della quale ebbi modo di scrivere tempo fa in questo articolo.

Dall’antico Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e Santi Re Magi proviene il Crocifisso di Giambattista Bissone sito sull’altare maggiore della Chiesa della Santissima Annunziata di Portoria o anche nota come Chiesa di Santa Caterina da Genova.

La testimonianza dell’antico Oratorio resta poi anche nella targa marmorea nella quale sono incisi il nome della Confraternita e la data 1309 che ne segna così l’origine.

La targa è collocata sul civico 37 di Via di Santa Maria di Castello e così, percorrendo queste antiche strade di Genova, ancora oggi lo sguardo ancora trova la traccia di una lontana devozione e del perduto Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e Santi Re Magi.

Una cartolina da San Nicola

E ritorniamo a camminare nel passato, oggi la mia macchina del tempo vi porterà in una zona della nostra Circonvallazione a Monte che conosco bene e frequento quotidianamente.
Qui trovo la farmacia, l’edicola, il supermercato e il negozio di fiori, l’ufficio postale e il fruttivendolo, è uno dei tratti più vivi di Corso Firenze.

E magari ci sembra anche strano ma in un tempo a noi sconosciuto si stampavano e si spedivano cartoline con questo scorcio del nostro quartiere.
La prospettiva è esattamente questa e anche allora doveva esserci un glorioso cielo blu e il consueto andirivieni della vita quotidiana.

In un frammento di vita che rimase così catturato nella cornice di una cartolina spedita negli anni ‘20: si notano in effetti ben poche differenze e certo non c’è il traffico della nostra epoca, ma malgrado questo la nostra San Nicola è ben riconoscibile.

E tuttavia c’è un dettaglio particolare che ha colpito la mia attenzione: si intravede appena un tratto della facciata della vecchia chiesa di San Nicola da Tolentino e si distingue chiaramente una delle statue che l’adornavano.
La chiesa fu colpita durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale e fu gravemente danneggiata, verrà poi restaurata e ampliata negli anni ‘60.

Allora, in quel giorno del passato, la vita scorreva con il suo solito ritmo nell’attesa del tempo che sarebbe venuto, ignari del futuro e dei suoi pericoli e sempre portando sempre nel cuore la luce della speranza che è il motore delle vite degli uomini.

In un tempo distante, nella nostra San Nicola.

Blanche e Claude

“Aveva gli occhi castani, grandi e luminosi, e Claude non era mai stato capace di resistere alla combinazione di capelli chiari ed occhi scuri. … Ma a fermargli il cuore non furono i colori della sconosciuta: fu il suo sorriso, così abbagliante, così spontaneo.”

Così avviene l’incontro fatale tra due creature destinate a condividere un percorso comune non certo privo di ostacoli: lui è il francese Claude Auzello e lei è l’americana Blanche Ross, protagonisti del romanzo Blanche e Claude di Melanie Benjamin edito da Neri Pozza.
È un giorno del 1923 e Claude, da vicedirettore dell’Hotel Claridge, accoglie l’ospite venuta da un lontano con le sue bizzarre idee: Claude si offre immediatamente di mostrarle la sua Parigi, quella città sarà poi lo scenario delle loro esistenze.
Claude Auzello e Blanche Ross sono due persone realmente esistite ma, come dichiara la stessa Benjamin, la loro vicenda viene proposta attenendosi alla realtà di fatti realmente accaduti e anche ricorrendo a divagazioni di fantasia.
Blanche e Claude, un amore tormentato e ricco di contraddizioni, due vite e un luogo prediletto: l’Hotel Ritz di Place Vendôme del quale Claude diviene direttore e che curerà con amorevole dedizione insieme alla sua Blanche divenuta sua moglie.
Ah, Blanche aveva sogni di gloria!
Lei era giunta a Parigi con il sogno di diventare una stella del cinema, ma poi le cose sono andate diversamente.
E così ecco Madame Auzello in quell’albergo esclusivo frequentato da Picasso, Cole Porter ed Hemingway, ormai quella sarà casa sua, sarà il posto del suo cuore, per tanti diversi motivi: il Ritz con i suoi lussi è culla che custodisce ed è un luogo prodigo di molte bellezze e gioie.

Blanche è diventata la regina del bar del Ritz e da allora non ha mai perso la corona.

Gli anni passano e si giunge a quel tetro 1940: è il tempo dell’occupazione tedesca e anche a Parigi le luci scintillanti si affievoliscono sotto le ombre cupe della storia.

Blanche è una donna volitiva, di carattere, è indipendente e caparbia, a volte i suoi comportamenti sono ragione di forte preoccupazione per Claude, tra loro non mancano i contrasti.
Claude, all’apparenza più cauto e riflessivo, si trova a gestire le relazioni con i tedeschi che occupano il Ritz così come altri alberghi parigini, sono tempi difficili e ardui.
Questa è anche una storia di amore e fratellanza, di sofferenze e speranze: ed è una storia di Resistenza, di fughe precipitose, di letali pericoli affrontati a testa alta e con coraggio, di esperienze segnanti e cariche di angoscia.
Melanie Benjamin ha una scrittura fluida e scorrevole, a mio parere si districa con abilità in tematiche non certo semplici da trattare, fa ampio uso dei dialoghi e questo rende il suo romanzo una piacevole lettura.
Si seguono, insieme a lei, momenti di storia vera: dagli echi dello sbarco in Normandia alla liberazione di Parigi, giorno dopo giorno, con gli occhi di Blanche e Claude.
L’autrice delinea con un certo talento caratteri e personaggi, pure quelli secondari restano impressi per le loro peculiarità, indugia inoltre volentieri nel presentarci personalità realmente esistite: da Coco Chanel alla Garbo, da Ernest Hemingway alla fatale Marlene Dietrich.
Blanche e Claude è un romanzo ma anche vita vissuta, i due piani di lettura paiono intersecarsi alla perfezione e i protagonisti si riscopriranno diversi da come credevano.
È una storia di giustizia e di amore per la libertà, tuttavia non sempre è una storia di felicità raggiunte, nello scenario drammatico degli anni della guerra si compiono tragicamente i destini di molte persone.
E chi resta ha il dovere di ricordare e di ricostruire, di procedere a passi incerti sulle macerie del passato volgendo lo sguardo al futuro, in qualche modo.

Al Ritz tornerà tutto come prima. Perché è questa la sua magia: far dimenticare l’ultima scena alla quale abbiamo assistito prima di entrare nella sua opulenza, anche se quella scena ci ha mostrato i lati peggiori dell’umanità.”

Un cono gelato e la felicità

Una fresca delizia in un tempo nuovamente felice: è il 1946, dopo anni bui e difficili, si ritorna a guardare alla vita che verrà con ritrovato ottimismo.
Il futuro è una scommessa, si attende impazienti di arrivarci con fiducia e speranza nel cuore.
Ed è estate, è l’estate di un tempo nuovo.
E tu tieni tra le mani il tuo cono con quel gelato delizioso, la tua merenda preferita.
E certo, i gusti sono quelli classici: crema e cioccolato, nocciola e caffè, forse fragola e limone.
Questa dolcezza racchiude già la nostalgia che tu un giorno proverai: diventerai grande e ricorderai quell’estate di un tempo felice, la prima con una nuova idea di futuro.
Tu in calzoncini, sandali e camicia a maniche corte.
Dietro il bancone, tra mamma e papà, la bambina con le trecce sta lì in quella posa un po’ vezzosa con le mani dietro la schiena.
E tutti quei coni uno dentro l’altro!
E la scritta lassù, a vederla da lontano viene già da sorridere per la contentezza!
Ed è un tempo quieto, sereno e tranquillo, le sere d’estate scorrono lente.
E si sanno apprezzare davvero le piccole cose capaci di rendere bella la vita, sono attimi preziosi che non bisogna lasciarsi sfuggire.
Hai imparato che devi saper ridere forte, correre a perdifiato quando ti va, fare le capriole sull’erba e i tuffi spericolati nell’acqua, conosci la bellezza e la gioia di vivere.
E senza che nessuno te lo abbia detto sai già che, a volte, un semplice cono gelato assomiglia tanto alla felicità.

Ferragosto 1929 a Casa del Romano

Era il tempo della bella estate in una splendida località della Val Trebbia: tutti noi che amiamo questi posti abbiamo nel cuore la dolce armonia di Casa del Romano.
Prati verdi orlati da fitti boschi, in primavera poi tra l’erba fioriscono generosi i narcisi.
Era il tempo della bella estate del 1929 e a Casa del Romano giunsero tre giovani uomini: non so dirvi nulla di loro, a me sembrano villeggianti venuti dalla città, tre amici in gita in un posto forse caro anche a loro.
Il primo sulla destra, a mio parere, non sembra neanche avere l’abbigliamento giusto: camicia chiara, giacca e cappello posati sulla roccia alle sue spalle, in tasca l’orologio appeso a una catenella dorata.
Gli altri due uomini sembrano invece meglio equipaggiati per un’escursione sui monti, uno ha lo zaino sulle spalle ed entrambi stringono un bastone in una mano.
Era il tempo dell’amicizia, delle gioie condivise, delle ore trascorse insieme all’ombra degli alberi.
E poi si sale, forse verso l’Antola e dopo aver percorso insieme un lungo sentiero ci si ferma su un prato, dallo zaino escono gli involti con il pane casereccio, il salame e il formaggio.
E si ride, si scherza, si sogna, si immagina il futuro senza sapere che da lì a pochi anni la nazione sarà stravolta da eventi bellici ai quali nessuno potrà scampare.
Il futuro è un mistero, quando osservo fotografie di quegli anni inevitabilmente il mio pensiero va a quello che sarebbe accaduto dopo, al conflitto del quale queste persone erano all’epoca ignare.
Ed era estate, dietro a questa fotografia una mano accurata ha scritto queste parole: Casa del Romano, Monte Antola 15-16 Agosto 1929.
E c’era l’amicizia vera a unire questi cuori.
E forse era un legame speciale che nulla avrebbe mai potuto spezzare.
Era il tempo della bella estate del 1929.

Buon 25 Aprile!

Il tempo è trascorso, inesorabile.
E ancora, sempre, occorre conservare la memoria, ricordare i volti delle persone, le azioni e le storie, le tragiche vicende accadute nel cuore buio del Novecento.
E quando tu non hai mai vissuto la guerra e leggi le tragedie e i drammi di quel tempo ti domandi come sia stato possibile.
E poi osservi le fotografie in bianco e nero: città rase al suolo, cumuli di macerie, distruzione e morte.
E polvere, sudore e pianti.
La liberazione di Genova, poi, è avvenuta prima del 25 Aprile grazie ai suoi valorosi partigiani.
E dopo tutto è iniziato di nuovo, ancora.
Con coraggio, con una fatica immane che le attuali generazioni non conoscono, noi che siamo nati e cresciuti in tempo di pace abbiamo ascoltato solo certi racconti, abbiamo letto libri e veduto documentari.
Abbiamo imparato.
E sappiamo che senza democrazia non esiste uguaglianza, fraternità e giustizia.
E senza democrazia non esiste verità.
E senza democrazia non esiste libertà.
E questo dobbiamo ricordarlo sempre e per sempre.
Buon 25 Aprile, buona Festa della Liberazione a tutti.

Piazza Colombo

La memoria

“Viviamo tutti, ma non sappiamo perché e a che scopo; viviamo tutti coll’intento di diventare felici, viviamo tutti in modo diverso eppure uguale.”
Anna Frank

27 Gennaio – Giornata della Memoria

Cimitero Monumentale di Staglieno

Era la primavera del 1943

Era la primavera del ’43.
Così si legge sul retro di due fotografie e altro non riesco a scorgere, sono state incollate su un album e poi rimosse, un cartoncino marrone è rimasto sopra ad altre scritte, probabilmente sotto sono indicati anche un nome e un luogo.
Ma era la primavera del ’43 e questo fa tutta la differenza.
Non riconosco un panorama o un piccolo dettaglio che possa farmi pensare che le fotografie siano state scattate in un luogo a me caro, anzi a dire il vero penso proprio che provengano da un’altra regione.
E tuttavia, come dicevo, era la primavera del ’43.
E lei ha questo sorriso che ha catturato il mio sguardo.
Era tempo di soldati, lutti, guerra, distruzioni, razionamenti, incertezze, paure, rifugi, notti buie, pianti e perdite.
E lei sorride, così.
Con la speranza nel cuore, forse.

E questo è ciò che ho pensato osservando questa fanciulla così graziosa.
Ha i ricci vaporosi, la giacca a quadretti, una camicia chiusa fino in cima, la gonna al ginocchio con le pieghe sul davanti, le scarpe con la zeppa.
E porta un soprabito chiaro buttato sulle spalle perché non fa poi così caldo in questa primavera del ’43, anzi forse a volte la bella stagione sembra lontanissima e puoi persino pensare che mai più ti soffermerai ad ammirare un tramonto o a ridere senza trattenerti, in tempi così difficili tutto può sembrare irraggiungibile.
E lei sorride, forse proprio per questo, perché il futuro sarà migliore e allora si cerca di attenderlo come meglio si può, diciamo così.
Altrimenti come fai a essere una ragazza nella primavera del ’43?
E allora sorridi, con tutta la gioia che puoi, perché la giovinezza e la vita hanno bisogno di speranze e di fiducia.
Dietro ci sono dolci colline, in quella primavera del ’43.

E c’è un muretto al quale appoggiarsi, tenendo stretta la tracolla.
Pensando che forse il tuo domani potrà ancora essere luminoso e felice, domani arriverà e allora tutti quei sogni che non hai mai svelato a nessuno diventeranno realtà.
Anche se, ve lo ricordo ancora, è quel tempo là.
Guerra, nemici, trincee, lettere dal fronte, fragori, silenzi improvvisi.
E lontano, dove non sai, il tuo futuro.
Anche se non lo vedi, da qualche parte c’è e ti attende.
E allora sei lì, davanti a quel muretto, qualcuno ti scatta una fotografia e tu sorridi ed è la primavera del ’43.