L’estate e il calore del primo pomeriggio, nella regale strada che collega la Nunziata a Principe.
Nessuna folla, i soliti rumori del quotidiano, una prospettiva davanti.
E il passo di lei, leggero ma deciso, l’ho vista superare la bella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo e poi proseguire spedita verso lo sua meta.
Ho pensato che è sempre un dono grande conoscere il proprio percorso e saperlo seguire senza esitazioni.
Era un pomeriggio d’estate e con lo sguardo seguivo lei: una sorella in Via Balbi.
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Chiesa dei Santi Vittore e Carlo: la Cappella della Madonna del Carmine
È una delle cappelle della ricca Chiesa genovese dedicata ai Santi Vittore e Carlo in Via Balbi.
Marmi preziosi e sculture raffinate compongono questo luogo di devozione e bellezza, ai lati della statua della Madonna ci sono due tele di Orazio De Ferrari provenienti dall’antica e scomparsa Chiesa di San Vittore.
La Cappella della Madonna del Carmine ospita al centro una magnifica scultura opera di Filippo Parodi e risalente al 1678.
E la figura di Maria ha questa grazia eterea e questa leggiadria.
Qui dove vi sovrasta questo armonioso candore.
Maria ha l’ovale perfetto, il viso amorevole, lei ha le dita affusolate e stringe a sé con dolce sicurezza il suo piccolo Gesù.
La Cappella, nel suo insieme, è grandiosa e maestosa.
E si devono sempre allo scalpello di Filippo Parodi le quattro statue che adornano ulteriormente l’arco di coronamento dell’altare.
Sulla destra è collocata la statua di San Giovanni della Croce.
Sulla sinistra, invece, c’è la splendida Santa Teresa e di lei mi hanno colpita la gestualità e la bellezza del volto, il suoi manto e i suoi drappeggi paiono poi stoffa impalpabile.
Al centro sono infine posti due angeli che reggono un cartiglio con la scritta latina: Ecce signum salutis che significa Ecco il segno della salvezza.
Luminosa e così radiosa nella sua santità, la giovane Maria risplende di grazia e beltà.
Così materna e rasserenante trattiene a sé il suo piccolino che pare dimostrare la spontanea vivacità di tutti i bambini.
E così si ammira la raffinata opera di Filippo Parodi nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo in Via Balbi.
24 Aprile 1911: Madame Curie all’Università di Genova
Marie Curie giunse in un giorno di primavera, era attesa con curiosità ed interesse da tutti coloro che trepidavano per ascoltare la sua conferenza intitolata La Découverte du Radium.
Un evento di portata straordinaria, i biglietti erano naturalmente richiestissimi.
Fino a quel momento Madame Curie non aveva mai tenuto conferenze al di fuori di Parigi, eccezion fatta per il Congresso di Radiologia di Bruxelles del 1910, così si legge su Il Lavoro e su Il Secolo XIX del 24 e 25 Aprile 1911 dove sono riportate notizie relative a questa memorabile visita.
L’Istituto di Fisica della Regia Università mise a disposizione delle tessere a Lire 5 necessarie per prendere parte all’incontro in programma alle ore 21.00 del 24 Aprile presso l’Aula Magna della Regia Università.
La conferenza, come era prevedibile, suscitò partecipato interesse come mai si era visto in città.
Scrive il cronista del Secolo che intervenne un pubblico sceltissimo, i più brillanti intellettuali di Genova accorsero ad udire la scienziata geniale ed illustre.
Naturalmente Madame Curie fu accolta dalle più importanti cariche cittadine, ad accompagnare la scienziata erano la giovane figlia e una sua nipote.
Varcò la soglia, apparendo al pubblico come una creatura dal fascino particolare: era vestita di nero, “col pallido viso energico spirituale, quasi ascetico” così scrive il giornalista del Secolo.
Il pubblico la accolse tributandole un applauso ammirato e Marie Curie si apprestò quindi a parlare.
La conferenza durò due ore e mezza durante le quali Madame Curie, con l’assistenza del professor Garbasso, effettuò diversi esperimenti, a sua disposizione aveva diversi apparecchi di fisica e alcune macchine elettriche.
Parlò a lungo della sua scoperta del radio e tutti ascoltarono con muta ammirazione la sua sapienza.
La sua voce era chiara e piana, scrive ancora il giornalista, lei emanava una specie di forza misteriosa e immensa, era come una divinità del sapere e tutti restarono muti ad ascoltarla in una sorta di sacro e mistico silenzio.
Marie Curie, grazie ai suoi studi e alle sue scoperte, ricevette due Premi Nobel.
Nel 1903, insieme a suo marito Pierre Curie e ad Antoine Henri Becquerel vinse il Premio Nobel per la Fisica.
In quel 1911, invece, le fu assegnato il Nobel per la Chimica.
Marie Curie è l’unica donna ad aver ricevuto, fino ad oggi, due Premi Nobel.
In un giorno di primavera di un tempo lontano ella attraversò le strade di Genova e parlò a coloro che erano accorsi ad ascoltarla.
E i fortunati che erano andati ad udire la sua conferenza conservarono per sempre il ricordo indelebile di questa donna unica e semplicemente straordinaria.
Finestre di marzo
E sono finestre di marzo e della città vecchia, finestre racchiuse tra antichi muri di pietra, davanti al mare e davanti al blu.
E così si specchia Palazzo San Giorgio su certi vetri in Via Frate Oliverio.
Sono finestre incantate che divengono specchi meravigliosi.
E custodiscono storie di naviganti, di antichi mercanti e di vicende lontane.
Tende bianche e il riflesso di un lampione a Caricamento.
E una finestra nella finestra, in Piazza della Raibetta.
E ancora bianco e nero della nostra Cattedrale in Via San Lorenzo.
E lassù cose degli ultimi piani e terrazzini e cielo azzurro.
Queste finestre di marzo sanno essere ammalianti e lucenti come laghetti tranquilli.
Così accade, nella nostra Via Balbi.
In Piazzetta San Carlo tendine chiare oltre i vetri e poi una tremula chiave sul muro e una piccola finestrella.
C’è tutto quello che c’è e quello che a volte invece svanisce e c’è tutto ciò che sai vedere e immaginare.
Sotto questa luce, queste sono le finestre di marzo.
Cose di Via Balbi
Ai tempi dell’Università Via Balbi era una delle strade che frequentavo più spesso.
Chiaramente andavo a lezione lì, noi studenti di lingue infatti ci dividevamo tra le aule di Piazza Santa Sabina e quelle della facoltà di lettere di Via Balbi.
Inoltre, di tanto in tanto, me ne andavo a preparare gli esami in biblioteca, a dire il vero quelle sessioni di studio erano arricchite da interminabili soste sulle scale con relative chiacchiere, risate e proposte per la serata, ricordo quelle mattinate sempre con tanto piacere.
In Via Balbi andavamo a fare le fotocopie di certi preziosissimi appunti, c’era poi anche una bella libreria che vendeva testi universitari e non solo quelli, io l’ho frequentata per diverso tempo ed era un posto un po’ speciale.
In Via Balbi acquistavo di abitudine certi vestiti leggeri freschi e coloratissimi perfetti per l’estate.
Da Via Balbi, come si sa, si accede alla bella Piazza dei Truogoli di Santa Brigida e all’epoca non era così restaurata come la vediamo adesso e anzi, allora pareva quasi una cosa a dir poco impossibile da immaginare.
In Via Balbi c’è anche la splendida Chiesa di San Carlo alla quale sono affezionata fin dai tempi delle scuole medie, a farmela conoscere era stata infatti la mia insegnante di religione che la frequentava con assiduità.
Via Balbi poi è la strada che porta alla stazione e così tutti noi, almeno una volta nella vita, l’abbiamo percorsa correndo perché c’era il rischio di perdere il treno.
Sono strani i luoghi tanto vissuti.
Ci ritorniamo sempre.
E non ci sembrano mai gli stessi, in un certo senso.
A volte i nostri ricordi sono come appannati, non riusciamo a focalizzare alla perfezione il quadro che tentiamo di immaginare.
Il tempo posa il suo velo sulle cose e tu non sai nemmeno dire quanti anni ti separino da quelle tue memorie che vorresti ancora più vive.
Via Balbi – Gennaio 2021
Dolce Gesù Bambino
Lo vidi l’anno scorso, era proprio questo tempo di dicembre.
Là, nella bella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo, nella nostra Via Balbi.
E c’erano le candele bianche, le stelle di Natale, la brillante lucentezza dell’oro e l’impalpabile lievità di un nastro celeste.
E poi quelle manine aperte e quello sguardo misericordioso, l’assoluta dolcezza di Gesù Bambino.
I segreti della Farmacia Mojon
Se girate per i caruggi certo conoscerete la Farmacia Mojon: si trova in Via di Fossatello ed è una farmacia moderna e molto fornita.
Oggi non vi parlerò dei suoi medicamenti o magari di rimedi segreti che possono giovare alla vostra salute, torno a scrivere di questa farmacia per quei segreti del suo passato, per le vicende lontane che racchiude tra le sue mura e per la valenza storica della famiglia Mojon.
I Mojon provenivano dalla Spagna, là era nato nel 1729 Benedetto che si laureò in farmacia all’Università di Madrid, fu lui il capostite di una famiglia di scienziati.
Illustre e stimato studioso, Benedetto venne a vivere a Genova e fondò quella farmacia che ancora porta il suo nome, all’epoca era una delle più importanti della città.
Benedetto ebbe diversi figli, tra di essi alcuni si distinsero come lui in scienze diverse come la chimica, la farmacia e l’anatomia: in particolare mi riferisco a Giuseppe, Antonio e Benedetto, tutti furono apprezzati e stimati per i loro studi.
Il loro cammino nel mondo si intreccia inesorabile con la storia di Genova e dell’Italia, ritengo così giusto ricordare, seppure in modo molto succinto, ognuno di loro.
Giuseppe fu professore di chimica all’Università di Genova, tra gli altri sono notevoli i suoi studi di mineralogia e quelli sulle malattie epidemiche verificatisi a Genova nel 1802, fu stimato membro di diverse società scientifiche.
Un giorno per caso, i miei occhi hanno trovato il suo nome.
Sbiadito, quasi illegibile, sulla stele del suo monumento funebre a Staglieno.
Narra appena di lui, del suo tempo in questa città e tra la nostra gente, è una tomba forse dimenticata.
A Giuseppe Mojon
nato in Genova l’anno 1772
professore di chimica
nella patria Università
dal 1802 al 1837
rapito all’Italia
nell’anno 64.mo di sua vita
Di Giuseppe e di suo fratello Benedetto si legge nel volume Storia della Università di Genova del P. Lorenzo Isnardi edito a Genova nel 1867 dalla Tipografia dei Sordomuti.
Benedetto fu medico e studioso di anatomia e patologia, fondò con altri la Società Medica di Emulazione e pubblicò uno studio sulla musicoterapia, importante anche un suo approfondimento sul dolore, fu autore di diverse pubblicazioni sulla fisiologia e di studi scientifici tra i quali uno dedicato al colera.
Benedetto ebbe per compagna di vita la milanese Bianca Milesi, donna volitiva ed eclettica.
Artista e scrittrice, fu amica di celebri pittori e si distinse per i suoi scritti dedicati alla pedagogia e all’educazione dei bambini, tema che le era molto caro.
Da coraggiosa patriota Bianca Milesi era un’appassionata appartenente alla Carboneria e nella sua tumultuosa esistenza diede più volte il suo contributo alla causa.
Giunta a Genova da Milano, in precipitosa fuga dalla polizia austriaca, conobbe nel 1825 Giuseppe Mazzini, qui incontrò anche Benedetto Mojon che amò sempre con sentimento autentico e vero.
Con lui andò a Parigi, per riparare al sicuro in tempi difficili, là Benedetto e Bianca morirono a distanza di poche ore uno dall’altra, colpiti entrambi da letale colera nel 1849.
Nel tempo della loro vita genovese vissero insieme in un prestigioso palazzo in Via Balbi.
Il terzo dei fratelli Mojon a distinguersi in ambienti scientifici si chiamava Antonio: fu lui a occuparsi ancora della farmacia e a portare avanti l’impresa di famiglia.
E un giorno, sempre in uno dei miei giri a Staglieno, mi è capitato di leggere il suo nome, anche questa volta è inciso su una lapide che ha subito le ingiurie del tempo.
Il nome dei Mojon ricorre poi spesso in in libro poderoso suddiviso in sette volumi: è il Diario Politico di Giorgio Asproni, deputato repubblicano che consegnò ai posteri il suo ricordo della storia d’Italia in forma di arguto e brillante memoriale.
Su queste pagine si trovano aneddoti, momenti importanti per la nostra nazione e a volte anche notizie curiose, il Diario Politico copre un periodo che va dal 1855 al 1876.
Asproni qui a Genova aveva un carissimo amico: si tratta di Giuseppe Mojon detto Pippo, il figlio di Antonio dal quale aveva ereditato la farmacia.
Tempo fa dedicai un articolo a questa loro amicizia, lo trovate qui.
Erano tempi di grande fermento, era l’epoca della spedizione di Pisacane e delle sedizioni mazziniane, nel libro di Asproni emerge anche il legame tra Pippo Mojon e Giuseppe Mazzini, a diversi livelli Mojon prese parte alla vita politica del suo tempo.
In quella farmacia, come in altre, ci si riuniva per discutere, per leggere i giornali, erano luoghi d’incontro sicuri.
Sono trascorsi molti anni da allora, oggi la farmacia appartiene a una diversa famiglia.
Per un caso del destino il mio precedente articolo è capitato sotto gli occhi della Dottoressa Zucca che appunto è proprietaria della Farmacia Mojon.
Da lei ho ricevuto un invito del quale ancora la ringrazio, la dottoressa mi ha detto che aveva da mostrarmi una particolarità della sua farmacia che non tutti conoscono.
E così eccomi in Fossatello, con tutta la curiosità del caso.
E guardo a terra: nel pavimento della farmacia c’è una botola.
Cari amici, io sono certissima che questo segreto fosse ben noto al deputato Asproni, come vi ho detto lui andava spesso a trovare il suo amico Pippo Mojon.
E ad esempio il 9 Luglio 1859 così scrive:
Stamani ho avuto un abboccamento a solo con Pippo Mojon, nella stanzina piccola dove ha la cassaforte della sua farmacia.
Ecco, ora io non saprei dirvi precisamente dove fosse la stanzina piccola, accidenti, magari lo sapessi!
So però che se aprite la botola della Farmacia Mojon trovate una scala che conduce a un ambiente sotterraneo e a quanto pare qui ci si riuniva in gran segreto, in quei tempi lontani quando Genova era la culla del Risorgimento e quando qui si cospirava per fare l’Italia con i cuori ardenti di amor patrio.
Lascio a voi immaginare le parole e gli sguardi d’intesa, i saluti solidali tra persone che condividevano certi ideali.
Accadeva molti anni fa in Via di Fossatello, questi sono i segreti della Farmacia Mojon.
Un angelo dalla bellezza gloriosa
Gli angeli, creature celesti rappresentate nella loro eterea perfezione dal talento di artisti e pittori.
A volte nelle nostre chiese e in certi magnifici affreschi il volo lieve di piccoli putti ci sovrasta, splendidi cherubini custodiscono altari di marmo prezioso.
E se visiterete l’antica chiesa dei Santi Vittore e Carlo in Via Balbi vedrete un angelo dalla bellezza maestosa.
Quasi come sospeso, nel suo mistico volo, emerge da una nicchia.
Ha ali grandi e ampie, braccia salde e forti, ha la certezza nello sguardo.
Ed entrando nella bella chiesa di Via Balbi che ospita anche la Madonna della Fortuna osservate alla vostra destra: là lo troverete.
Ha di fronte San Giuseppe che tiene tra le braccia il piccolo Gesù e pare quasi accogliere e volgere i suoi occhi verso i fedeli.
È l’angelo magnifico dalla bellezza gloriosa, con la sua mirabile leggerezza custodisce l’armonia perfetta di una chiesa genovese.
Sulla terrazza di Palazzo Reale
Genova dall’alto è sempre una magia incantevole, accade così di lasciarsi affascinare ogni volta che la si osserva da un punto panoramico privilegiato o magari da certi terrazzini sospesi sui caruggi, ancor di più vedrete lo splendore della Superba se andrete sulla terrazza di Palazzo Reale in Via Balbi.
Il sontuoso edificio fu dimora della nobile famiglia Balbi che lo fece costruire intorno alla metà del ‘600, in seguito appartenne ai Durazzo e poi fu reggia dei Savoia, sulla guida del Chiozza risalente al 1874 viene definito Palazzo della Corona.
Ai nostri giorni è un prestigioso Museo Nazionale e vi sono esposti opere d’arte e quadri di celebri pittori come Van Dick e Tintoretto, una passeggiata in quelle sue stanze è davvero un viaggio a ritroso nel fasto della Superba.
E poi, sotto al blu di Genova, ecco la magnificenza della terrazza.
Camminare qui svela prospettive privilegiate dello splendido palazzo.
E il nostro passato si mescola al nostro presente, da qui si vedono grattacieli, traghetti, mare e porto.
E campanili, gru, tetti scintillanti di grigio.
E le perfette armonie di un prezioso edificio genovese.
Oltre ai tetti aguzzi vi capiterà di scorgere la sommità di un struttura in ferro: è il giardino d’inverno che sovrasta Via Balbi e Via Prè e che vi ho mostrato in questo articolo.
E da quel tetto sul quale è collocato il giardino d’inverno ho potuto fotografare Palazzo Reale in questa maniera.
E ho veduto questa prospettiva della terrazza.
In luoghi come questo credi di poter immaginare quello che è stato e che ora non è più, resta a noi il dovere di difendere e valorizzare le bellezze che ci sono state lasciate.
Davanti all’orizzonte celeste e chiaro si stagliano i bianchi marmi.
E attorno a voi Genova.
Genova e le sue passate grandezze di prepotente bellezza.
Genova incastonata tra le colline e il mare, Genova di ardesie, finestre, comignoli, scalette, caruggi dei quali da qui non puoi vedere il fondo.
Genova con il suo vento, le nuvole bianche che scorrono sul palazzo appartenuto alla nobiltà cittadina e ora patrimonio di tutti noi.
Genova che si riflette sui vetri, Genova così come la osservano le fiere figure ritte sulla balaustra.
Nel tempo che è stato e in quello che verrà.
Passeggiando sulla terrazza, con lo sguardo che trova il mare, la Lanterna, la città operosa e in continuo movimento.
Sotto di voi vedrete parte del risseu che decora il giardino del palazzo ma questa è un’altra storia che presto vi racconterò.
Semplicemente Genova.
Con i suoi contrasti e i suoi splendori, nelle affascinanti prospettive di Palazzo Reale.
Camminando in Piazza della Nunziata, ieri e oggi
E accade, un giorno, di ritrovarsi in Piazza della Nunziata.
A dire il vero tutto appare come sempre è stato e questa rimane la piazza attraversata tante volte per andare all’Università, la mia porta d’ingresso per i caruggi, un luogo che frequento abitualmente.
Non è tanto diversa in questo scorcio di passato però non ci sono macchine e si notano due solerti spazzini intenti a pulire la strada.
Addossata al muro della chiesa si vede una piccola costruzione, gli arredi urbani di certe epoche mi sembrano sempre scelti con buon gusto.
E come al solito ci sono i manifesti pubblicitari, si legge anche la scritta bagni che ho ritrovato anche in altre immagini.
E in questo piccolo slargo così comodo nei pressi della Nunziata in un altro periodo della storia di Genova trovò la sua giusta collocazione il chiosco di un liquorista.
In alto i bicchieri, rincuoriamoci con un buon bicchiere di vino corposo!
E si cammina, in un tempo che non è più.
Un vecchio si regge al suo bastone, i ragazzini se ne stanno ritti in piedi sui gradini della chiesa e una giovane fanciulla osserva un po’ intimidita, lei potrebbe chiamarsi Amalia e magari chissà, abita in uno di questi caruggi vicini alla Nunziata.
E ha tutta la vita da vivere e tutti i suoi sogni da realizzare, ancora.
Si chiacchiera, in questo scorcio di tempo del quale noi non possiamo sentire i suoni anche se ci sembra di indovinare le voci e le parole.
E alcuni osservano con attonito stupore il lavoro del fotografo.
Eccole lì le due sorelle, io penso che siano tali, la più piccola porta la mano alla bocca, l’altra sembra quasi sistemarsi i capelli.
Ancora, in una diversa cartolina, si nota di nuovo il chiosco del liquorista e intanto la vita scorre come sempre.
Appoggiato alla base della colonna della chiesa, sulla sinistra, pare esserci uno degli spazzini, anche lui merita una pausa dal suo duro lavoro.
Le gentildonne si dirigono in chiesa, un bianco destriero trotta verso Via Balbi.
Sembrerebbe tutto esattamente come adesso ma c’è un uomo con un carro, il suo cavallo segna il ritmo di un altro tempo.
Ed è la mia piazza, quella di sempre.
Via Balbi sempre a piedi, in un senso o nell’altro.
E il mio liceo proprio lì dietro, in Via Bellucci.
E le corse per prendere l’autobus o la funicolare, accade sempre così, alla Nunziata.
Più bella ancora se la osservi sotto il cielo blu, lo stesso che avrà sovrastato i genovesi di un altro tempo.
Allora però c’erano le carrozze in sosta davanti alla chiesa, c’era un ritmo forse più lento ma certo più faticoso, c’erano parole che non possiamo sentire e desideri forse simili ai nostri.
E c’era una moltitudine di gente che attraversava la Nunziata.
Ognuno con i suoi pensieri, ognuno con la propria vita: una casa a cui ritornare, una famiglia, un lavoro, le gioie e gli affanni.
E così accade, un giorno, di ritrovarsi in Piazza della Nunziata.
E allora ti guardi intorno e osservi le persone che di fretta attraversano la strada.
Ognuno è immerso nel proprio presente, ognuno segue il battito del proprio cuore.
Proprio come sempre è accaduto, in quel tempo del quale non possiamo sentire i suoni, in Piazza della Nunziata.


































































