Via di Scurreria, sulle tracce dei patrioti

Genova dai mille sguardi che amorosi e benevoli si posano su di voi, sguardi di Santi e di Madonne ritratti nelle statue collocate nelle molte edicole del centro storico.
Ci sono poi altri sguardi che appartengono alla storia e alla nazione intera, richiamano alla mente gesta eroiche che a volte paiono distanti nel tempo ed estranee al nostro quotidiano.
Evocano una parola caduta in disuso, negletta e quasi dimenticata: patria, una parola perduta che non si pronuncia quasi più.
Orgoglio dell’Italia e di Genova i nomi di coloro che si sacrificarono in nome di alti ideali, nella città di Mazzini, Savi e Ruffini troverete spesso tracce risorgimentali, i muri di Genova ancora raccontano quelle giornate.

Il tricolore - Genova

E se andrete in Via di Scurreria lasciate che su di voi si posi uno di questi sguardi, appartiene a una figura femminile graziosa ed armoniosa, la trovate proprio sopra ad una delle vetrine di un celebre negozio di abbigliamento, salendo la vedrete alla vostra sinistra.

Via di Scurreria

Ritta tra due cornucopie dalle quali fuoriescono frutti profumati e gustosi,  la fanciulla scolpita su quel marmo è circondata dall’abbondanza.
Lei indossa un manto che copre le sue fattezze, questa giovane donna fiera è una figura allegorica e rappresenta l’Italia Turrita, così detta perché  porta sul capo  una corona muraria con tanto di torri.
Fanciulla amata dai patrioti, l’Italia.

Via di Scurreria (3)

Con una mano regge il tricolore sul marmo potrete leggere questa frase: Italia libera, Iddio lo vuole e lo sarà.
Queste parole, come scrive lo studioso Leo Morabito, richiamano il motto delle Crociate, Dio lo vuole.
L’altorilievo risale al 1847, a giorni di furore, in quell’anno si vide una moltitudine di genovesi salire in corteo verso il Santuario di Oregina.
Era il 10 dicembre, era l’anniversario della cacciata degli Austriaci, alla testa di quel corteo c’era un giovane, Goffredo Mameli, trovate qui il racconto di quella epica giornata.
Tra i vessilli condotti dagli uomini in marcia, il giovane Mameli intona il Canto degli Italiani, destinato a divenire il nostro inno nazionale.
In nome dell’unità, in nome di un ideale per il quale egli sacrificò la sua vita.
In nome dell’Italia, colei che potete vedere nella strada un tempo percorsa dai patrioti.

Via di Scurreria (2)

A tavola con Giuseppe Mazzini

In quest’ultima settimana si sono svolte a Genova le giornate in memoria di Giuseppe Mazzini, il patriota lasciò le cose del mondo il 10 Marzo 1872 ed ogni anno la sua città lo ricorda con incontri ed iniziative a cura del Museo del Risorgimento che ha sede nella casa natale dell’esule.

Museo del Risorgimento

In questo 2015, in previsione degli eventi di Expo dedicati al cibo, si è pensato ad un nuovo particolare percorso.
Cosa veniva portato sulle tavole dei genovesi al tempo di Balilla?
E quali erano i gusti di coloro che hanno fatto l’Italia?
E Garibaldi cosa amava mangiare?
Mi riprometto di raccontarvelo presto ma oggi vi narrerò le preferenze culinarie di Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini (2)

Ritratto esposto al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Ringrazio la Dottoressa Ponte, direttrice del Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano e la Dottoressa Bertuzzi che ha accompagnato noi visitatori alla scoperta dei gusti dei padri della patria, il loro prezioso lavoro conserva e mette in risalto la nostra storia e il nostro passato.
E come possiamo conoscere i peccati di gola di Mazzini?
Grazie al suo ricco epistolario, in quelle sue lettere trovate il politico, il fervente patriota, il figlio che rimpiange la sua casa e la madre lontana, il pensatore e l’uomo, un uomo di nome Giuseppe Mazzini.

Epistolario di Mazzini

Epistolario di Mazzini
Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

A quanto pare non era proprio una buona forchetta, anzi con il cibo era abbastanza morigerato e tra il resto sembra che non amasse il vino, talvolta si concedeva una buona birra, in Inghilterra ebbe modo di apprezzare il punch.
Anche lui aveva qualche vizio: beveva molto caffè e fumava tanto.
Caffè e sigaro, quella era una delle sue abitudini e uno dei suoi ritratti al Museo Del Risorgimento lo immortala proprio con il sigaro tra le dita.

Giuseppe Mazzini

Fotografia esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Esule in terra straniera dovette adeguarsi a ciò che avevano da offrire i luoghi che lo ospitavano ma che rimpianto per i sapori di casa!
A Londra, scrive Mazzini, il latte è acquoso, per trovarne di buono bisognerebbe andar fuori città.
Qui al mattino di solito con il caffè prendeva pane e burro ma il pensiero andava sempre alle sue colazioni genovesi di un tempo!
Oh, la fragrante e deliziosa focaccia con la salvia che era solito mangiare a Genova, indimenticabile!

Focaccia con la salvia

Panificio Sebastiano

Molte delle lettere di Mazzini sono indirizzate a sua madre, Maria Drago, a lei racconta i dettagli di certi suoi pranzi, dalla Svizzera le scrive di aver gustato certi pesci di lago e un piatto a base di patate, ma le minestre locali non gli piacevano affatto!
No, a Mazzini piaceva il minestrone alla genovese, come lo capisco!

Maria Drago

 Maria Drago
Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

E là, in Svizzera, sentiva la mancanza dei biscotti del Lagaccio.
Allora era ospite della famiglia Girard, il nostro con le sue notevoli doti dialettiche riuscì a convincere le ragazze di casa a preparare per lui i tanto rimpianti biscotti.

Biscotti del Lagaccio

Biscotti del Lagaccio – Panificio Sebastiano

E là, in Svizzera, ebbe modo di assaggiare una deliziosa torta di mandorle e si premurò di inviare alla madre la ricetta.
E’ ancora nota come Torta Mazzini e magari potreste cimentarvi anche voi nella preparazione o se preferite potete gustarla da Marescotti, ho già avuto modo di scrivere di questa celebre torta e qui trovate appunto la ricetta e le notizie di quel carteggio tra Mazzini e sua madre.

Torta Mazzini (5)

Torta Mazzini – Pasticceria Liquoreria Marescotti di Cavo

E poi ancora, il nostro narra un pranzo natalizio in compagnia di amici esuli come lui, allora ad armeggiare con pentole e ingredienti fu Giovanni Ruffini e sulla tavola di Natale vennero serviti fumanti maccheroni asciutti, Mazzini odiava i maccheroni in brodo della tradizione.
E poi pesce, fagiano e stufato.
Da ultimo il plum-pudding che a Mazzini piaceva talmente tanto da scrivere: da vero barbaro ho mangiato più del puddding che del resto.

Giuseppe Mazzini (4)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

A Londra, dice ancora Mazzini, nessuno mangia le cervella fritte, lui invece le trova di suo gusto.
Però la pasta fresca, quella proprio non si trovava!
Il genovese lontano ha una madre presente e attenta, ancora a lei chiede di inviare a Londra un buon formaggio, le forme per fare i corzetti e la rotella per i ravioli.

Noccioladay (3)

Ristorante il Genovese

Londra, Pasqua del 1841, il nostro genovese pensa a una maniera per sentirsi a casa.
E scrive alla mamma, di nuovo.
Giuseppe vuole la ricetta della torta pasqualina, l’intenzione è quella di prepararla sostituendo alcuni ingredienti: niente bietole a Londra, Mazzini è costretto a ripiegare sulla lattuga o sulla scarola.
A volte bisogna proprio far di necessità virtù!

Torta Pasqualina

Friggitoria Carega

E sempre lei, la madre, gli mandava dolci generi di conforto, detti recilli, paste e confetti, frutta secca, datteri e pandolce.
Cresciuto nel tepore del clima mediterraneo, Mazzini ripensava a certi frutti che un tempo avevano deliziato il suo palato.
L’uva croccante e sugosa della Valpocevera, le pesche dolci, i fichi dei quali era goloso.

Fichi

E ancora, al Museo del Risorgimento troverete un foglietto, indirizzato all’amico Filippo Bettini, Mazzini lo prega di rimborsare la sorella Antonietta per l’acquisto di una scatola di canditi destinati a un’amica inglese.

Biglietto

Biglietto esposto al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Non è specificato dove li avesse acquistati ma noi genovesi, come ha suggerito la dottoressa Bertuzzi, abbiamo subito pensato a Romanengo ed alle sue pregiate confezioni.

Romanengo

Di lui potete leggere ogni cosa nel suo epistolario, nelle lettere che lui ci ha lasciato.
Tra quelle pagine trovate il politico, il fervente patriota, il figlio che rimpiange la sua casa e la madre lontana, il pensatore e l’uomo, un uomo di nome Giuseppe Mazzini.
Ora è un Museo, un tempo era la sua dimora.
E lì potrete ripercorrere i giorni della vita, le sue battaglie e le sue lotte, potrete conoscere le sue passioni e le testimonianze della sua grandezza.
E in qualche maniera anche voi potrete andare nei luoghi dove lui ha vissuto e sedervi a tavola con Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini (3)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Mrs Eliza Fletcher, l’amica di Mazzini

E’ la primavera del 1837, a Londra giunge, per un soggiorno di qualche settimana, Mrs Eliza Dawson, vedova dell’avvocato Archibald Fletcher.
Eliza non è più nel fiore degli anni, è una signora ormai vicina alla settantina.
A Londra incontrerà persone interessanti, come lei stessa scriverà nella sua autobiografia dove si legge che un giorno le venne portata una lettera di presentazione scritta da una delle sue altolocate conoscenze, con quella missiva si raccomandava a Mrs Fletcher un italiano appena giunto a Londra.
E questo è il ricordo del loro primo incontro:

…a young italian who at that time was a friendless stranger in London.
I found in the drawing room a young, slim, dark italian gentleman of very prepossessing appereance.
He could not then speak English and I very imperfect French; but it was impossible not to be favourably impressed at once by his truth and his sadness.

…un giovane italiano che a quel tempo era uno straniero senza amici a Londra.
Trovai in salotto un giovane gentiluomo italiano, snello e bruno, di aspetto molto attraente.
A quell’epoca lui non sapeva l’inglese e il mio francese era molto imperfetto; ma era impossibile non essere subito favorevolmente impressionati dalla sua verità e dalla sua tristezza.

(Autobiography of Mrs Fletcher, with letters and other family memorials)

L’esule è un genovese, l’esule si batte per una causa e per degli ideali per i quali ancora ricordiamo il suo nome, l’esule è Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini

Immagine tratta da “Della Vita di Giuseppe Mazzini” di Jessie White Mario
volume di mia proprietà

Eliza lo ascolta, lui non cerca di suscitare la sua compassione, le dice che vorrebbe avere accesso a una pubblica biblioteca per poter approfondire certi suoi studi.
Eliza lo osserva, è scossa, lo trova ombroso e cupo, lo vede così profondamente vicino alla disperazione tanto da temere che il giovane possa commettere un suicidio.
E cosa fa la gentildonna inglese?
Forte della sua saggezza e della sua esperienza scrive a Mazzini una lettera con la quale lo esorta a resistere alle difficoltà della vita e a mettere a frutto i suoi talenti e la sua forza interiore.
La risposta che riceverà sarà l’inizio di una nuova amicizia: da quel giorno, come lei stessa scrive, si incontreranno nuovamente.
Di lui Eliza apprezza la dedizione e la grandezza d’animo, la colpirà apprendere che l’esule si occupa dei bambini italiani a Londra, quei suonatori di organetto ceduti come schiavi dai loro parenti, per questi piccini Mazzini aprì la scuola di Hatton Garden della quale vi ho già parlato in questo articolo.

Giuseppe Mazzini (2)

La scuola di Hatton Garden
Immagine tratta da “Della Vita di Giuseppe Mazzini” di Jessie White Mario
volume di mia proprietà

Thus he became added to my list of heroes, così egli venne aggiunto alla mia lista degli eroi, scrive Eliza.
Ed è per le virtù del suo autore che le lettere del patriota vennero incluse nell’epistolario di famiglia, perché i discendenti di Mrs Fletcher potessero comprendere la ragione della ammirazione di Eliza per lui.
Ma cosa scrive Mazzini a Eliza nella sua prima missiva?
Cerca di spiegare a lei il suo stato d’animo, tenta di chiarire un malinteso, lui non ha mai pensato di togliersi la vita e così le scrive:

I am naturally triste, I am rendered more so by my position, by what I have suffered.
Io sono naturalmente triste, ancor più triste mi rende la mia posizione, ciò che ho sofferto.

Giuseppe Mazzini (4)

Fotografia esposta al Mueo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

E lo incupisce il pensiero della sofferenza causata alle persone amate.
C’è poi una considerazione che svela la sua grandezza e la sua personalità, sono parole che riguardano il senso della vita, i suoi scopi e certe priorità.

Despair, neutralizing activity, appears to me the highest point of selfishness. He who despairs of things and of men, and whom despair makes inactive or leads to quit life, is a man who has wished only to enjoy, and has made that his chief thought; not being able to do that, he destroys his life, either morally or materially, as the child does its plaything. Now, I do not consider life a game, but a very serious thing : it is an office to be fulfilled in the world.

La disperazione, attività neutralizzante, mi sembra il colmo dell’egoismo. Colui che dispera delle cose e degli uomini, e che dalla disperazione è reso inattivo o conduce una vita inerte, è un uomo che ha desiderato soltanto il godimento e ha fatto di questo il suo pensiero dominante; non potendo realizzarlo, distrugge la propria esistenza, moralmente o materialmente, come fa un bambino con il proprio giocattolo.
Ora, io non considero la vita un gioco, ma una cosa molto seria: è una missione che dobbiamo esercitare nel mondo.

It is virtue, and not happiness, which ought to be the aim of life.
E’ la virtù e non la felicità, che dovrebbe essere lo scopo della vita.

(Giuseppe Mazzini a Mrs Eliza Fletcher;
Edizione Nazionale degli Scritti di Mazzini, vol. XII).

Sono parole che si sentono raramente ai nostri tempi, quante volte sentite pronunciare la parola virtù?
In questa lettere si trova la grandezza di tutte le idee di Mazzini e la vera fede nel suo credo, lui rassicura la sua nuova amica, le scrive che è ben distante dal senso di disperazione, tra i suoi propositi c’è quello di far conoscere agli inglesi la condizione dell’Italia e le sue prospettive future, accenna anche a una sua prossima collaborazione con la rivista Le Monde.

Tomba di Giuseppe Mazzini

Cimitero Monumentale di Staglieno, tomba di Giuseppe Mazzini

 Conoscevo la storia di Eliza e la sua autobiografia ma vorrei raccontarvi come questa lettera sia arrivata tra le mie mani.
Un giorno ho ricevuto una mail che si apriva con queste parole: Dear Miss Fletcher.
Me l’ha inviata la Dottoressa Raffaella Ponte, direttrice del Museo del Risorgimento, la quale mi scriveva che la Dottoressa Bertuzzi, referente per la Didattica del Museo, leggendo il mio blog si era ricordata di Eliza Fletcher.
Che curiosa e piacevole omonimia, è vero?
Il libro nel quale sono raccolte le lettere di Mazzini si trova nella Biblioteca del Museo del Risorgimento, ringrazio la Dottoressa Ponte e la Dottoressa Bertuzzi per la loro cortese attenzione, per aver pensato a me e per avermi invitato la lettera di Mazzini alla sua amica inglese, vorrei che avessero visto il mio sorriso quando ho letto il nome di Eliza Fletcher.
Lei, l’amica inglese di Mazzini, ebbe cura del giovane patriota italiano, lo presentò al poeta Thomas Campbell e gli fece avere un permesso di libera entrata alle sale di lettura della biblioteca del British Museum.
E tramandò ai posteri il suo ricordo di lui in quell’autobiografia dove di lui si leggono queste parole, the prophet of the future unity of Italy, Giuseppe Mazzini.

Giuseppe Mazzini (5)

Monumento a Giuseppe Mazzini, Piazza Corvetto

Il Marchese Di Negro, la Villetta e i suoi celebri ospiti

Oggi questa pagina ospita un genovese illustre, amante delle arti e della poesia.
Mi pregio di presentarvi il Marchese Gian Carlo Di Negro e posso farlo grazie a un vecchio libretto che ho trovato in una delle librerie che con piacere frequento.
Una vita densa di eventi e di incontri, una famiglia di nobili origini, Gian Carlo Di Negro vide la luce nel 1769 in Via Lomellini, nel cuore della Superba.

Via Lomellini 4

Per un certo periodo la famiglia lo mandò a studiare a Modena, quando  Gian Carlo tornò a Genova era un ventenne dagli accesi entusiasmi che cercava amori trascinanti e che si dilettava in giochi, danze e corse all’impazzata in sella al suo cavallo.
E ben presto con due dei suoi più cari amici intraprese un viaggio alla scoperta delle città d’Italia.
I tre sodali, amanti delle arti e delle lettere, fecero una prima tappa a Milano e in quell’occasione conobbero niente meno che  Giuseppe Parini.
E poi fu la volta di Verona e Venezia, cercavano l’arte e la trovarono nei teatri della Serenissima dove rimasero incantati dalle famose maschere cittadine, si spinsero fino a Vienna dove la musica dei più famosi compositori risuonava in ogni luogo.
Quando Di Negro tornò a Genova si dedicò con fervore alla poesia, leggeva con interesse Dante e Ariosto.
Genovese assai legato alla sua città, provò amara delusione per la caduta della Repubblica di Genova e si tenne lontano dalle agitazione politiche del tempo, riprese così i suoi viaggi e vide Parigi, Londra, l’Irlanda e la Spagna, impreziosendo la sua arte poetica e arricchendo le sue conoscenze, viaggiò molto anche negli anni successivi, era un vero uomo di mondo.
Ed è in questo periodo che Gian Carlo acquistò la zona dove poi sorse la Villetta, ora divenuta parco pubblico, grazie alla quale ci ricordiamo di lui.

Villetta Di Negro

Il patrizio genovese fu poeta improvvisatore, così si  legge in questa sua biografia, esercitava quell’arte secondo la moda del suo tempo.
E a quanto si narra pare che avesse anche un certo talento per la danza, ebbe modo di farne sfoggio con Madame De Staël.
Lei lo affascinava e in suo onore Gian Carlo scrisse queste parole:

Il suo dir m’incantava oltre misura

E così le fece da guida tra gli splendori di Genova, la condusse a visitare la tomba di Andrea Doria nella chiesa di San Matteo.
E poi volle ascoltare i versi di lui, purtroppo non sappiamo cosa ne pensasse Madame De Staël dei componimenti del marchese.

Piazza San Matteo

Nell’autunno del 1805 Giancarlo prese in sposa Luigia Visconti dei Marchesi di San Vito.
Ah, questo matrimonio spezzò un cuore!
C’era un giovane che ardeva per Luigia, lei era stata il suo primo amore e questa unione era stata ostacolata dalla famiglia della fanciulla.
E lui, nel 1801, quando era appena sedicenne, aveva scritto un sonetto per la sua amata, questi sono alcuni di quei versi:

Opera è tua, donna, e del celeste puro
foco che nel mio petto accese il vivo
lume degli occhi tuoi

La passione non si spense, lui si tormentava e un giorno con gli occhi pieni di lacrime confessò a sua madre di amare quella fanciulla che abitava a Genova.
Era il 1807, quel giovane uomo era Alessandro Manzoni e in compagnia della sua genitrice se ne partì alla volta di Genova per ritrovare il suo perduto amore.
E ahimé, Luigia era già sposata con il Marchese Di Negro, la vita è crudele a volte!
E c’è una lettera nella quale Manzoni confessa la sua assai forte e pura passione per l’angelica Luigina.
Il matrimonio del Marchese durò poco, Luigia lasciò questo mondo pochi anni dopo le nozze, a Gian Carlo rimasero le loro due figlie, Laura e Francesca, detta Fanny.
E di loro vi parlerò presto, sono state protagoniste della vita cittadina, non a caso al Museo del Risorgimento si trova un bel ritratto di Laura, amica dei fratelli Ruffini e di Giuseppe Mazzini al quale era legato da profonda amicizia lo stesso Marchese di Negro.

Museo del Risorgimento (10)

Opera esposta all’Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento

E da patriota lui stesso si adoperò per aiutare i perseguitati politici.
Il patrizio genovese che amava comporre poesie in ogni occasione, fece della sua dimora la meta preferita dei letterati del tempo.
Acquistò il terreno sul quale  fu costruita la Villa  per 22.000 Lire e si impegnò ad istituirvi una scuola di botanica
La parte alta dei suoi possedimenti fu spianata per lasciar spazio a un edificio che divenne la sua magnifica dimora, con gli anni il giardino fu abbellito con i busti di genovesi illustri.
E vi teneva feste e conviti, ospitò qui tutto il jet set del suo tempo.
E in questi suoi versi il Marchese decantò i suoi fasti:

Riprese la villetta il suo splendore,
veniano i letterati a tutte l’ore
e i forestieri di ogni Nazione
visitavan la mia ospital magione.

E’ un elenco infinito di nomi, venne il poeta Vincenzo Monti che qui conobbe la bella Antonietta Costa, pittrice e donna di grande bellezza.
E poi Byron, George Sand e Stendhal, Cesare Cantù, Antonio Canova, Felice Romani, Camillo Sivori e Anton Giulio Barrili.
Vennero Pio VII e Carlo Alberto.
E tornò Alessandro Manzoni e vennero anche altri celeberrimi personaggi che non vi nomino, a loro desidero dedicare un ulteriore spazio, furono davvero numerosi coloro che ammirarono il panorama di  Genova dalla Villetta di Gian Carlo Di Negro.

Genova

 Fu ospite del Marchese il più celebre dei violinisti, Niccolò Paganini, in merito al quale si narra un episodio avvenuto proprio nella Villetta del Marchese.
Un giorno era lì ospite il compositore Kreutzer, aveva con sé un suo spartito particolarmente ostico da eseguire.
E sapete cosa successe?
Il giovane Paganini gli diede appena uno sguardo e eseguì quel brano alla perfezione, lasciando tutti a bocca aperta per il suo talento.
Non si tenevano solo feste e balli alla Villetta, il Marchese Di Negro, grande amico di Ottavio Assarotti, fu benefattore dell’Istituto dei Sordomuti e spesso apriva le porte della sua villetta ai piccoli ricoverati e regalava a questi piccini qualche ora di gioia spensierata.
Sempre in prima fila negli eventi culturali di questa città, fu membro della Commissione incaricata di organizzare il Congresso degli Scienziati Italiani che si tenne nel 1846.
E il fior fiore della scienza varcò così la soglia della Villetta, in molti parteciparono al sontuoso ricevimento tenuto dal marchese in quella occasione.
E poi il tempo passò, giunsero gli ultimi giorni, Gian Carlo Di Negro morì alla veneranda età di 88 anni.
E al suo funerale accorse tutta la città, tutti elogiarono la sua munificenza e la sua grandezza d’animo.
I genovesi, memori del valore del loro concittadino, espressero la volontà che la villetta fosse conservata con i busti, proprio come l’aveva voluta il Marchese.
L’area nel 1863 venne acquisita dal Comune di Genova e furono realizzate le grotte e le cascate.

Villetta di Negro (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

 La dimora del Marchese non esiste più, fu distrutta durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale, rimane il parco che di recente è rinato a nuova vita.
Con grande dispiacere di tutti noi la Villetta è stata a lungo lasciata al degrado.
Ah, io me lo immaginavo il Marchese Di Negro, chissà come ci guardava male da lassù nel vedere il suo parco così abbandonato!
Oggi non è più così, sarà fiero di noi!
Zampilla la splendida cascata e si cammina con piacere all’ombra degli alberi.

Villetta Di Negro (3)

A Villetta Di Negro ha sede il Museo di Arte Orientale Chiossone con le sue ricche collezioni, vi porterò lungo quei viali ad ascoltare l’acqua che scroscia, sarà il tema del mio prossimo post, prima ho ritenuto opportuno presentarvi il padrone di casa.
E se avete il desiderio di salutarlo di persona, lo trovate nel porticato inferiore di Staglieno, tra gli eminenti cittadini di Genova.
Se ne sta fieramente assiso lassù, pare quasi assorto nei suoi pensieri.

Gian Carlo Di Negro

Visse di operoso amore del buono e del bello, così si legge sul marmo,  un genovese illustre da ricordare.

Gian Carlo Di Negro (2)

Nelle sale del Museo del Risorgimento

A Genova c’è un Museo che racconta una parte importante della storia della Superba e della nostra Italia.
Vengono da questa città molti dei protagonisti del nostro Risorgimento, questa è la città di Mazzini, di Mameli e dei fratelli Ruffini.
E questa è la città dalla quale Carlo Pisacane partì  per la sua impresa che terminò in un bagno di sangue.
Il Museo del Risorgimento è uno dei luoghi da non perdere, qui si ripercorre il cammino della nostra nazione.
Il Museo si trova in un un edificio che è un vero e proprio simbolo di quel periodo storico, la casa natale di Giuseppe Mazzini.

Casa di Mazzini 3

Qui dove egli vide la luce, una targa è posta in suo ricordo.

Casa di Mazzini

Qui si rivivono quei giorni, tra opere d’arte e cimeli risorgimentali.

Casa di Mazzini 1

Porgo un ringraziamento particolare alla Dottoressa Raffaella Ponte, Direttrice del Museo del Risorgimento e Istituto Mazziniano, per la sua cortese disponibilità nel consentire la diffusione delle immagini.
Non sempre nei musei è permesso fotografare ed è davvero peccato, un racconto per immagini è  immediato e diretto,  è una  bella maniera per far conoscere certi tesori del passato, in questo caso è stato possibile e così vi porto con me sulle tracce dei patrioti.
Un percorso che parte da lontano, dall’epoca del piccolo Balilla.
La rivolta della gente di Portoria contro gli austriaci e i quadri che ritraggono quei momenti di furore.

Museo del Risorgimento (2)
Proclami, documenti, oggetti dell’epoca, si prova una certa emozione ad osservarli al di là del vetro.
Qui sotto, a sinistra, vedete il puntale che era posto sull’asta della bandiera di Balilla, a destra la lancia di una bandiera austriaca, trofeo di guerra strappato al nemico.

Museo del Risorgimento (6)

Emozione e coinvolgimento, quando ci si trova davanti a un triste reperto del passato.
Risale al 1800, al tempo del blocco di Genova, quando la città fu assediata dalle forze anglo-austriache e a Genova non giungevano più approvvigionamenti.
E’ una pagina cupa della nostra storia, allora molte persone morirono per la fame, ci si nutriva con quel che si trovava e si faceva un pane di colla, crusca, mandorle peste e miele.
Vedrete una macina e un tozzo di pane giunto fino a noi che fu conservato dal padre dello storico Marcello Staglieno.

Museo del Risorgimento (4)

E’ duro e faticoso il percorso della storia, ha il volto di alcuni personaggi carismatici capaci di trascinare le folle con la forza delle loro idee, ha il volto pensieroso e intenso di Giuseppe Mazzini.

Museo del Risorgimento

 Qui ci sono i suoi libri, il suo calamaio, le sue lettere, i suoi abiti, gli oggetti della sua quotidianità.

Museo del Risorgimento (3)

Ci sono i ritratti dei suoi sodali e di coloro che lo sostennero, dal suo amico fraterno Jacopo Ruffini a quella madre che tanto lo amò.

Museo del Risorgimento (7)

Un museo dove si incontrano volti che non dovremmo dimenticare, visi che dovrebbero esserci cari di persone che ebbero la potenza del pensiero e nessun timore di sacrificarsi.

Museo del Risorgimento (8)
Questo è Carlo Pisacane, l’eroe di Sapri.

Museo del Risorgimento (9)

E questa è l’indomita e appassionata Cristina di Belgioioso.

Museo del Risorgimento (11)

La storia la fanno gli uomini e le donne e numerose furono coloro che diedero il loro sostegno alla causa mazziniana, ad esempio la genovese  Laura Di Negno Spinola, figlia del Marchese Di Negro.

Museo del Risorgimento (10)

Nelle vetrine sono esposte lettere, fotografie, cimeli di vario genere.

Museo del Risorgimento 11a

Armi, abiti, documenti, i titoli di studio di Giuseppe Mazzini.

Museo del Risorgimento (12)

E qui una lapide ricorda che egli nacque proprio in questa stanza.

Museo del Risorgimento (13)

Un foglietto scritto di suo pugno.

Museo del Risorgimento (16)

Qui tutto parla di lui, della sua vita e delle sue vicende.

Museo del Risorgimento (17)

I ritratti, le sue lettere, le sue fotografie.

Museo del Risorgimento (14)

E un cimelio di grande pregio, sapete cosa c’è su questo foglio?
E’ il cifrario della Giovine Italia, questo era di Goffredo Mameli ed è un alfabeto segreto che veniva usato per scrivere messaggi che non dovevano essere compresi dalle autorità.

Museo del Risorgimento (18)

Dio e Popolo, le parole di Mazzini.

Museo del Risorgimento (19)

Il suo cappello, le sue bretelle, conservate gelosamente.

Museo del Risorgimento (20)

Un panno appartenuto a Carlo Cattaneo, caro ricordo conservato da Mazzini, venne usato per avvolgere la salma di Cattaneo, in seguito la salma di Mazzini stesso e infine quella di Maurizio Quadrio.

Museo del Risorgimento (21)

E poi ancora, al piano superiore, continua il viaggio nella storia d’Italia.

Museo del Risorgimento (34)

E c’è una musica che vi accompagna, risuona in tutte le stanze, su per le scale, in ogni angolo di questo edificio.
E’ questa musica, Il canto degli Italiani, il nostro inno, parole di Goffredo Mameli e musica di Michele Novaro.

Museo del Risorgimento (23)

Emozione intensa, suonava il suo inno e io avevo lì, davanti agli occhi, l’ultima lettera che Mameli scrisse a sua madre.

Museo del Risorgimento (24)

Ricordi degli uomini che hanno fatto l’Italia, questo piano è dedicato alle imprese di Giuseppe Garibaldi.

Museo del Risorgimento (25)

E ci sono i suoi cimeli, armi e oggetti di sua proprietà.
Una sua camicia e accanto il ritratto della donna dell’eroe, Anita.

Museo del Risorgimento (26)

Ricordi patriottici di un altro tempo.

Museo del Risorgimento (27)

E testimoni di giorni duri e dolorosi, come questo frammento di una palla di cannone risalente al 1849, rinvenuto in una casa di Genova.

Museo del Risorgimento (28)

L’Italia e gli uomini che l’hanno fatta, vastissima la collezione di divise garibaldine, tuniche e giubbe.
Tra le altre c’è la divisa di Antonio Burlando.

Museo del Risorgimento (29)

E visi, volti e vicende di italiani.

Museo del Risorgimento (30)

E poi tricolori, bandiere e decorazioni militari.

Museo del Risorgimento (31)

L’Italia delle Camicie Rosse e dell’Impresa dei Mille, ci sono sciabole, fucili e pistole, impossibile elencare ogni oggetto, sarà interessante scoprirli con i vostri occhi.

Museo del Risorgimento (32)

Celebri dipinti di importanti momenti storici, questo ricorda Mentana.

Museo del Risorgimento (22)

Numerosi oggetti appartenuti a Giuseppe Garibaldi in una vetrina.

Museo del Risorgimento (21a)

Ci sono persino le sue bocce.

Museo del Risorgimento (35)

E il suo viso spavaldo e fiero nei quadri che lo ritraggono.

Museo del Risorgimento (36)

E poi ancora, un’intera sezione è dedicata ai Carabinieri genovesi e qui troverete ancora altre divise ed altre armi, alcune di esse sono appartenute ad Antonio Mosto e a Francesco Bartolomeo Savi.

Museo del Risorgimento (38)

E mi è capitato di soffermarmi a leggere la targhetta su un fucile.
Spedizione dei Mille, 5 Maggio 1860,  sbarco a Marsala 11, Calatafimi il 15.
Resa inservibile da una seconda palla a Palermo.
Brivido.

Museo del Risorgimento (39)

C’è una sezione dedicata alla musica risorgimentale e in un’intera stanza sono raccolti documenti che riguardano il Monumento dei Mille a Quarto.

Museo del Risorgimento (40)

Il Museo del Risorgimento si trova in Via Lomellini, nel cuore del centro storico di Genova, qui trovate il sito con tutte le informazioni utili per la visita.
Sì trova nella casa dell’esule Giuseppe Mazzini che per tanto tempo fu lontano dalla sua città.
Qui si rivivono le gesta di chi ci ha preceduto di chi ha combattuto per la nostra bandiera e per l’Unità della nazione, è l’Italia dei patrioti del nostro Risorgimento.

Museo del Risorgimento (33)

Emma, l’amore inglese di Garibaldi

Un uomo dal grande fascino, un trascinatore di folle e un grande seduttore.
E così si può comprendere che le donne cascassero ai suoi piedi, è noto che l’eroe dei due mondi infranse molti cuori.
E di lui si innamorò anche una nobildonna inglese, Emma Roberts: vedova, aristocratica, non era una gran bellezza ma certamente era raffinata e di gran classe.
Si conoscono a Londra e lì si fidanzano, nell’anno 1854.
Ecco, in realtà pare che i due non avessero tanto in comune, dopo breve per Garibaldi venne il tempo di partire per Nizza.
E il matrimonio? Quando ci si fidanza poi ci si sposa!
E invece no, ancora non era tempo, Giuseppe tergiversava!
A Nizza Garibaldi si dedicò per un certo periodo ai piccoli piaceri della vita.
Andava a caccia e a pesca, pranzava in maniera semplice, certo non era un tipo troppo sofisticato.
E poi si dilettava con le partite a dama.
Finché un bel giorno, da Londra, giunse la sua nobile fidanzata.
Viaggiava con il figlio e con una cara amica, Jessie White Mario, colei che Mazzini aveva soprannominato Miss Uragano e della quale vi ho parlato in questo post.
E insomma, Emma aveva gusti ben diversi rispetto al suo Giuseppe, lei amava la mondanità e si dilettava con passatempi ben più raffinati, ad esempio le piaceva la musica e amava suonare il cembalo, peccato che il suono di quello strumento facesse cadere in un certo torpore il povero Garibaldi.
E a dire il vero, narrano le cronache che una volta lui l’abbia piantata in asso e invece di presentarsi a cena come convenuto se ne sia andato a giocare a bocce, pensate un po’!

Garibaldi

Monterosso – Monumento a Garibaldi

Eh, come si dice?
Chi si assomiglia si piglia, questi due non avevano proprio niente in comune!
E infatti di li a breve l’amore naufragò: accadde ancora a Londra, dove Garibaldi si recò nel 1856, non certo solo per incontrare Emma ma anche per altre ragioni politiche sulle quali soprassiedo, queste righe sono dedicate solo all’amore e a un fidanzamento fallito.
No, quei due non avevano certo grandi affinità.
E così lui prese armi e bagagli, lasciò la dimora di Emma e si presentò a casa di Jessie White Mario.
Pare che in quella circostanza l’eroe dei due mondi abbia confidato all’amica inglese il motivo di quella rottura:

Un servo ad ogni passo, pranzi che non finiscono più, mai l’ora di andare a letto… Un mese di vita come questa mi ucciderebbe…

Era finito un amore, forse con un certo sollievo per il povero Garibaldi, diciamolo.
I due rimasero buoni amici
Lui si fece costruire un cutter, a quanto pare con il soccorso economico della Roberts, a bordo della sua nuova imbarcazione Garibaldi per un certo periodo intraprese un fruttuoso commercio di legna e carbone.
E sapete che nome aveva dato al suo cutter? Emma, mi pare ovvio!
Forse non era proprio ciò che lei aveva desiderato, ma così va la vita, a volte.
Un amore divampato come un breve incendio, come le fiamme che mandarono in cenere il cutter di Garibaldi nel 1857.
Così va la vita a volte, l’amore brucia e poi si spegne.
E così accadde con Emma, l’amore inglese di Giuseppe Garibaldi.

5 Maggio 1860, le Camicie Rosse all’Albergo del Raschianino

5 Maggio 1860, i Mille di Garibaldi lasciano Quarto e si apprestano a compiere un’impresa che unirà l’Italia.
Vi ho già mostrato lo scoglio dal quale partirono le Camicie Rosse, lo trovate cliccando qui.
Questa è la città dei patrioti, la città di Mameli e Mazzini, la città che ospitò Pisacane e che diede rifugio a molti esuli e sono numerosi i luoghi del Risorgimento, ad alcuni di essi non viene dato nessun risalto.
E oggi vi porto a quei giorni, in uno di questi posti.
E non siamo soli, camminiamo per la città insieme a un giovane uomo: ha 22 anni ed è originario di Cairo Montenotte.
E’ arrivato da Parma, anche lui parteciperà all’impresa di Garibaldi!
Annota i suoi ricordi e così scrive:

Ieri sera arrivammo ad ora tarda, e non ci riusciva di trovar posto negli alberghi, zeppi di gioventù venuta da fuori. Sorte che, lungo i portici di Sottoripa, ci si fece vicino un giovane, che indovinando, senza tanti discorsi, ci condusse in questo albergo.
La gran sala era tutta occupata. Si mangiava, si beveva, si chiacchierava in tutti i vernacoli d’Italia.

Queste sono le memorie di Giuseppe Cesare Abba, parole che potrete leggere nel suo Da Quarto al Volturno – Noterelle di uno dei Mille.
Ma il luogo di cui parla dove si trova?
Tutti i genovesi conoscono la piazza sulla quale affaccia quello che un tempo fu il glorioso Albergo del Raschianino o della Felicità.
E anche i turisti ci passano davanti perché è proprio a due passi dall’Acquario, osservate la palazzata di Caricamento, un targa è situata proprio sopra l’edificio rosa.

Caricamento

Il Raschianino, qui si riunivano i volontari che sarebbero partiti sul Piemonte e il Lombardo al seguito del Generale Garibaldi.

Caricamento - I Mille

Tra i tanti accorsi a Genova c’è anche un ventiseienne, il suo nome è Giuseppe Bandi  e anche lui passerà in quell’albergo.
E a leggere le sue parole pare di vederla la Superba piena di giovani di belle speranze animati da un ideale comune:

Genova formicolava di gente; colà rividi ed abbracciai parecchi amici, e feci allegramente baldoria, pensando, tra le altre cose, che quella baldoria poteva essere l’ultima che godessi su questa terra.
Andatomene, ad ora tardissima, all’albergo, dopo aver cenato nel celebre Raschianino dove in quei giorni ebbero tavola e segreteria parecchi dei più intimi generali…

(Giuseppe Bandi – I mille)

Ricordi di un italiano che c’era, in quei giorni di maggio, al Raschianino.

Il Raschianino

Giuseppe Bandi che scrive di madri e padri venuti a salutare i loro figli e sono baci e fazzoletti che sventolano, abbracci e mazzi di fiori.
E narra di Garibaldi con il poncho e il cappello in mano mentre la folla muta osserva in silenzio, uno solo proferisce parola: è un attempato siciliano e i suoi quattro figli sono al seguito del Generale.
Il vecchio profetizza una vittoria trionfale e così sarà.
Giuseppe Bandi che ricorda le giornate trascorse in questa città e narra un suggestivo episodio.
Le donne genovesi portano le ceste cariche di carciofi da vendere al mercato, le tengono sul capo come usava a quel tempo.
Il giovane Bandi e il suo amico Ignazio Occhipinti hanno fame: mangeranno carciofi crudi a sazietà.
E quando i due compagni di avventura si rincontreranno ogni volta Occhipinti si rivolgerà a Bandi con questa esclamazione:

 “O Bandi, ti rammenti i carciofi?”

 Memorie di giovani che portarono una camicia rossa, molti di loro passarono dal Raschianino a Caricamento.
Non c’è un museo in quell’edificio, penso ci sia un’abitazione privata.
E non c’è un museo nella casa natale di Goffredo Mameli e nulla ricorda che in Piazza Valoria aveva il suo studio Alessandro Pavia, il fotografo che immortalò i Mille.
Lungo è l’elenco dei luoghi del Risorgimento che andrebbero rivalutati e riscoperti, oltre a essere una risorsa culturale e turistica lo riterrei un giusto tributo alla nostra storia e al nostro passato.
Ognuno ha la propria maniera di ricordare questo giorno, io ho scelto di portarvi al Raschianino, albergo che chiuse i battenti nel 1920.
E da ultimo vi regalo un’immagine, è tratta da un vecchissimo libro con le pagine ingiallite che ho acquistato su un mercatino.
E’ una bella faccia di italiano, un signore anziano dallo sguardo fiero e con dei folti baffi bianchi: questo è Giuseppe Cesare Abba di Cairo Montenotte.
Aveva 22 anni quando salpò dallo scoglio di Quarto, era il 5 Maggio 1860.

Giuseppe Cesare Abba

17 Marzo 1872, Genova saluta Giuseppe Mazzini

Pisa, 10 Marzo 1872.
A casa di Pellegrino Rosselli e di Janet Nathan, figlia di Sarah, nota mazziniana, c’è da tempo un uomo che si nasconde sotto falso nome.
Costui viene dalla Svizzera e si fa chiamare George Brown, è di salute precaria ed è giunto nella città toscana alla fine di febbraio, al suo capezzale arriverà il medico Agostino Bertani, ma per il paziente non c’è nulla da fare, questo sarà il suo ultimo giorno di vita.
Così muore Giuseppe Mazzini, è un evento che scuote e commuove, gli studenti dell’Università chiudono le porte dell’Ateneo in segno di rispetto e di lutto, interverranno persino le autorità ma i giovani sono inamovibili e diserteranno in massa le lezioni.

 

Giuseppe Mazzini

Si vuole preservare la figura sacra di Mazzini, il suo corpo verrà pietrificato a Genova e l’anno successivo verrà poi esposto al pubblico.
Ma veniamo ai ricordi di un uomo del tempo, Giorgio Asproni, autore di quel Diario Politico del quale vi ho già parlato.
Il 14 Marzo Asproni giunge a Pisa, è una giornata di pioggia battente, i mazziniani sono accorsi a onorare colui che Asproni definisce il cittadino più illustre di Italia.
Ci sono Nicola Fabrizi e Benedetto Cairoli che ha una ferita alla gamba e fatica a seguire il corteo funebre.
Ci sono Bertani, Quadrio e Campanella, come altri contemporanei Asproni nota la protervia di Sarah Nathan e di Giorgina Saffi, entrambe vorrebbero essere le sole donne ad accompagnare il feretro alla stazione.

Sarah Nathan

Immagine tratta da Della Vita di Giuseppe Mazzini di Jessie White Mario
(Volume di mia proprietà)

Per Mazzini arrivano segni di cordoglio da ogni parte, le rappresentanze consolari dei paesi del Sud America inviano corone di fiori.
Ed è il popolo a salutare questo grande italiano, gli aristocratici restano al chiuso delle loro case ma il popolo di Pisa espone le bandiere ripiegate con il crespo nero e i tappeti coi segni di lutto, così scrive Asproni.
E poi la partenza verso Genova, verso la città che diede i natali a colui che viene così onorato, Giuseppe Mazzini sarà sepolto a Staglieno vicino a quella madre che tanto aveva amato.
La nazione e la città sono in grande fermento, si temono disordini e manifestazioni, ci vorrà un lungo viaggio prima che la salma arrivi a destinazione, ad ogni stazione le si rende omaggio, così è a Lucca e a Bologna, a Parma e ad Alessandria.
E infine il feretro giunge a Genova e il 17 Marzo 1872 viene condotto al cimitero su un fastoso carro funebre disegnato appositamente da alcuni famosi artisti dell’epoca.
La città è a lutto, le navi in porto hanno la bandiera a mezz’asta, i teatri e i negozi sono chiusi in segno di cordoglio.
C’è una folla sterminata ad accogliere l’apostolo della Repubblica, le strade sono gremite di gente, i genovesi sono venuti in massa a salutare il loro celebre concittadino, ad accompagnarlo a Staglieno dove ancora riposa.
Ed è Federico Campanella a pronunciare il discorso davanti alla sua tomba.

Tomba di Mazzini

E oggi è l’anniversario di quel giorno e io vi porto lassù, dove dorme un genovese che in vita fu sempre lontano dalla sua città.
Oggi si celebra anche l’Unità d’Italia, proclamata il 17 Marzo 1861.
E’ il giorno del Tricolore e dell’Inno di Mameli, una data importante per la nostra nazione.

Tomba di Mazzini (2)

Attorno a Mazzini sono sepolti uomini e donne del nostro Risorgimento, tornerò ancora a parlarvi di questo luogo e delle persone che vi si trovano.
A breve distanza c’è proprio Federico Campanella, uomo politico e amico fraterno di Mazzini che pronunciò l’orazione funebre in quel giorno di marzo.

E qui, come già vi ho detto, riposa Maria Drago, la madre dell’esule.

Tomba di Maria Drago

E vi è una lapide a ricordo del padre di lui.

Giacomo Mazzini

Onore e gloria al figlio di Genova, Giuseppe Mazzini.

Tomba di Mazzini (3)

E le parole di un poeta in suo ricordo.

D'annunzio

Giuseppe Mazzini, il figlio di Genova, nacque in Via Lomellini, dove un tempo era la sua casa vi è il Museo del Risorgimento.
La sua tomba è circondata da bandiere, coccarde e tricolori delle associazioni operaie genovesi.

Tomba di Mazzini (13)

E allora forse non servono tanto le mie parole a ricordare un italiano così grande.
Voglio mostrarvi queste bandiere e tutto ciò che circonda l’ultimo luogo dove giunse Mazzini nella sua Genova.

Tomba di Mazzini (4)

E voglio usare altre parole, voglio unirle alle immagini dei tricolori e degli stendardi delle società mazziniane.
E ho la viva speranza che tutti voi le leggiate, sono parole importanti, sono le parole del Giuramento della Giovine Italia.
Le parole di lui che fu figlio di Genova.

Nel nome di Dio e dell’Italia,
nel nome di tutti i martiri della santa causa italiana, caduti sotto i colpi della tirannide straniera o domestica,
pei doveri che mi legano alla terra ove Dio m’ha posto e ai fratelli che Dio m’ha dati

per l’amore, innato in ogni uomo, ai luoghi dove nacque mia madre e dove vivranno i miei figli

Tomba di Mazzini (9)

per l’odio, innato in ogni uomo, al male, all’ingiustizia, all usurpazione, all’arbitrio
pel rossore ch’io sento, in faccia ai cittadini dell’altre nazioni del non aver nome né diritti di cittadino, né bandiera di nazione, né patria

Tomba di Mazzini (11)

pel fremito dell’anima mia, creata alla libertà, impotente ad esercitarla, creata all’attività nel bene e impotente a farlo nel silenzio e nell’isolamento della servitù
per la memoria dell’antica potenza
per la coscienza della presente abbiezione
per le lagrime delle madri italiane,  pei figli morti sul palco, nelle prigioni, in esilio, per la miseria dei milioni:

Tomba di Mazzini (7)

io, credente nella missione commessa da Dio all’Italia, e nel dovere che ogni uomo nato italiano ha di contribuire al suo adempimento
convinto che dove Dio ha voluto fosse nazione esistono le forze necessarie a crearla
che il popolo è depositario di quelle forze
che nel dirigerle pel popolo e col popolo sta il segreto della vittoria;

Tomba di Mazzini (10)

convinto che la virtù sta nell’azione e nel sagrificio, che la potenza sta nell’unione e nella costanza della volontà;
do il mio nome alla Giovine Italia, associazione d’uomini credenti nella stessa fede, e

giuro

di consecrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l’Italia in nazione una, indipendente, libera e repubblicana.

Tomba di Mazzini (6)

Di promuovere con tutti i mezzi, di parola, di scritto, d’azione, l’educazione de’ miei fratelli italiani all’intento della Giovine Italia, all’Associazione che sola può conquistarlo, alla virtù che sola può rendere la conquista durevole;
Di non appartenere, da questo giorno in poi, ad altre associazioni;

Tomba di Mazzini (5)

Di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse, nello spirito della Giovine Italia, da chi rappresenta con me l’unione de’ miei fratelli, e di conservarne, anche a prezzo della vita, inviolati i segreti;
Di soccorrere coll’opera e col consiglio a’ miei fratelli nell’associazione,

Tomba di Mazzini (8)

ORA E SEMPRE 

Così giuro, invocando sulla mia testa l’ira di Dio, l’abbominio degli uomini e l’infamia dello spergiuro, s’io tradissi in tutto o in parte il mio giuramento.

 Tomba di Giuseppe Mazzini

L’Osteria della Colomba, dove un tempo giunse un marinaio

Siete mai stati all’Osteria della Colomba? No? Che disdetta, cari lettori!
Strano, l’Osteria è piuttosto nota nei nostri caruggi.
Oh, ma che dico! A ben pensarci sto commettendo un errore, erano altri i tempi nei quali la gloriosa Osteria della Colomba era nel pieno del suo esercizio.
Andiamo in Vico De Negri, dalle parti di Piazza Banchi.
Lì, sotto la splendida edicola, c’è un breve caruggio, appunto Vico De Negri.
Un gioco di luce, il sole che batte e il contrasto dell’ombra.

Vico De Negri

Un vicolo nel quale si trovano diversi motivi d’interesse.
Alzando lo sguardo verso il cielo c’è una torre, è quasi imprendibile con lo sguardo tanto è angusto questo caruggio, sono prospettive complicate le nostre.
Ma se osservate bene potete intravedere la torre che svetta sui palazzi.

Vico De Negri (3)

E poi, proseguendo ancora, una tipica visione di caruggi.
E questi sono sempre scorci che amo mostrarvi perché sono l’essenza e l’anima vera di questi luoghi.

Vico De Negri (4)

Qui, una volta, si trovava l’Osteria della Colomba.
Andiamo indietro nel tempo, al febbraio del 1834, in certi anni di rivolte di popolo che infiammavano queste strade.
Qui, a pochi passi dal mare, a mescere vino che riscaldava i cuori dei rivoluzionari era l’ostessa Caterina Boscovich, insieme a lei lavorava come cameriera una certa Teresina Cassamiglia.
Oh, c’era un gran via vai in quei giorni all’Osteria, era tempo di sommosse nella città dei patrioti.
E un bel giorno si presentò un avventore abituale, già da tempo si faceva vedere all’Osteria, andava lì per far proseliti per la sua causa, era solito offrire la cena a quelli che incontrava e intanto cercava di coinvolgerli nel suo progetto, Teresina e Caterina lo conoscevano bene!
E sapete come accade, a volte le cose non vanno come dovrebbero.
Il personaggio in questione diverrà molto celebre in certi ambienti.
E’ un marinaio e un disertore, imbarcato su una nave della Marina Militare Piemontese l’ha lasciata accampando come scusa la necessità di ricorrere a certe cure mediche.
In realtà è implicato in un’impresa, un’insurrezione, il germe della rivolta avrebbe dovuto propagarsi di casa in casa, di città in città, ma il seme del cambiamento ancora non era pronto a germogliare.
L’impresa fallì, vi furono diversi arresti e il marinaio si trovò quindi bisognoso d’aiuto.
Doveva fuggire.
E chi poteva aiutarlo? Caterina, l’ostessa della Colomba.
E allora giù, a perdifiato nei caruggi, in Vico De Negri.

Vico De Negri (2)

Lui, il fuggiasco, è noto a tutti voi, la donna lo aiuterà, non sarà la sola a farlo, come lei in suo soccorso verrà un fruttivendola, una certa Teresa Schenone della quale vi ho già parlato qui ed anche un’altra popolana della quale presto vi narrerò.
Il fuggitivo è niente meno che Giuseppe Garibaldi.
In alcuni testi si legge che l’Osteria della Colomba si trovava in Vico Acquavite, dalle parti di Piazza Banchi.
In un libro a cura di Leo Morabito, già illustre direttore del Museo Mazziniano, è chiaramente specificato che tale vicolo ai tempi nostri corrisponde a Vico De Negri e al civico nr 8 si trovava l’Osteria della Colomba.

Vico De Negri (6)

Uno dei tanti luoghi del Risorgimento che sarebbe meritevole di segnalazione e di menzione perché anche qui si è fatta la storia.
Nulla vi condurrà qui, soltanto il vostro interesse e la vostra curiosità, soltanto il vostro amore per ciò che è stato, per quel passato sul quale abbiamo costruito il nostro presente.
La storia non è fatta solo di battaglie e di trattati, di eserciti e di sovrani, anche le ostesse le besagnine hanno fatto la storia.
Era un giorno di febbraio.
E un marinaio bussò all’Osteria della Colomba.

Vico De Negri (5)

Deputati e ballerine nell’Italia del Risorgimento

Vi ho già parlato di Giorgio Asproni, originario di Bitti, in Sardegna,  fu un eminente uomo politico, nel periodo in cui si faceva l’Italia, un fervente repubblicano e un membro attivo del Parlamento.
Ha lasciato, in eredità, un testo molto importante, il Diario Politico, edito da Giuffrè.
E  come si può intuire, si parla della politica del tempo, del Parlamento, di come si facevano le leggi, è lo specchio scrupoloso di quel periodo che Asproni visse da protagonista ma questo è anche un diario, intimo e privato, non pensato per essere divulgato ai contemporanei e voi non potete immaginare cosa sia stato capace di tramandarci Giorgio Asproni.
Quando uno frequenta il bel mondo, l’alta società, secondo voi, tornato a casa, cosa annota sul proprio amatissimo diario?
Ma naturalmente le storie che ha sentito e visto accadere, con una certa salace ironia.
Asproni viaggiò molto, visse a Napoli, a Firenze, a Genova, a Torino, sono i luoghi della politica del nostro Risorgimento e l’autore, oltre a soffermarsi ampiamente sulle varie notizie storiche di grande rilievo, sul taccuino di viaggio della sua vita ha annotato episodi e vicende davvero insoliti.
E allora, signori, benvenuti nel Risorgimento.
Ci sono patrioti, eroine, camicie rosse, rivoluzionari.
E un principe un Savoia, che, guarda un po’, ha l’abitudine di coltivare frequentazioni non proprio ortodosse.
Asproni riferisce una conversazione con Vincenzo Ricci, anch’egli politico e sentite cosa va a combinare un certo principe.

5 Febbraio 1867, Firenze

Mi ha raccontato lo scandalo di una ballerina che, vestita cavallerescamente, voleva in Brescia assistere ad una rivista militare passata dal Principe Umberto; era da lui invitata per lettera, che la ballerina aveva mostrato alla signora alla quale chiedeva gli abiti che essa non aveva. La Questura, con dispiacere del Principe, ad evitare lo scandalo la mandò via.

Uh, la ballerina! E la questura! E l’incauto blasonato deluso! Ma senti, senti!
E poi c’è una contessa e  pare che abbia avuto una vita piuttosto movimentata. Beh, che volete! Un tempo questa nobildonna era davvero bellissima, ora dice Asproni, è un po’ appassita. Pensate, da giovane era amica di un famoso cardinale e adesso? Adesso se la intende niente meno che con Vittorio Emanuele! Ma non sono tutte rose e fiori per la contessa, state un po’ a sentire cosa dice Asproni.

14 Maggio 1867, Firenze

Ci ha detto che la incalzano perchè parta e che la trattano ignobilmente. … Essa chiede che le paghino i debiti; invece la sfrattano per ordini di polizia. Io le ho detto che non ha che due vie di salvezza: o trovare il modo che il re accomodi tutto o dare pubblicità ai documenti che sono laidi e turpissimi.

Certo che Asproni dava certi consigli, e chi l’avrebbe detto!
Documenti turpissimi? Ma un po’ di prudenza? Ma insomma! Un re che si fa prendere in castagna in questa maniera, ma santo cielo!
E Garibaldi che tipo era? Certo pieno di spirito, d’altra parte, cosa vi aspettate da uno che aveva battezzato i suoi asini Pio IX, Francesco Giuseppe e Luigi Napoleone.
E certo non era privo di autoironia. A quanto si legge, Garibaldi racconta che una volta, mentre si trovava nel Pacifico, si trovò in mezzo a nugoli di zanzare, e non riuscì in nessun modo a liberarsene, prima si avvolse in un mantello, poi accese il fuoco e disdetta volle che a un certo punto gli sovvenisse necessità di espletare certi bisogni.  E insomma, si tirò giù i pantaloni e venne assalito in maniera orrenda da migliaia di zanzare!
Per poco non ci divorano l’eroe dei due mondi, non so se vi rendete conto!
Poi c’è un certo Tecchio, che poverino, un giorno, si sente male.

6 Luglio 1867, Firenze
Lo hanno curato i medici Bertani e Palasciano. Tecchio è smilzo, avanzato in età. Si è preso in seconda moglie una ballerina, che lo sfinisce.
In uno di questi attacchi ci resterà e poi diranno i preti che è il dito di Dio.

Di nuovo una ballerina, ma allora è dalla notte dei tempi che sono in voga certe abitudini! I padri della patria se la spassavano, non c’è che dire.
C’è un uomo politico che, decisamente se l’è vista brutta.
Ecco l’episodio, una vera chicca.
A un dibattimento si fronteggiano un certo Mancini e un tale Toscanelli.
Quest’ultimo accusato dal primo di prendere le notizia dal trivio, ribatte che lui il trivio non lo frequenta, né col cuore, né con la persona.
Stupore degli astanti, qualcuno avrà compreso a cosa si riferisce il Toscanelli?
Lo spiega Asproni, con dovizia di particolari, leggete bene cosa scrive.

7 Aprile 1869, Milano

 Il Mancini è donnaiolo. Una volta faceva l’amore con una propria cameriera. La moglie tanto lo spiò che lo sorprese in letto e in atto con la medesima. Il Mancini, levatosi in camicia, correndo dietro la moglie gridava: Lauretta mia, il cuore non c’era, non c’era il cuore. E la moglie a sua volta: c’era il c….o! Stasera il Toscanelli raccontava l’aneddoto a tutti nel caffé.

Sì, la parola con i puntini di sospensione è quella che pensate.
E ora vi prego di pensare a questa moglie, questa donna meravigliosa e piena di arguzia.
Noi pensiamo alle donne dell’Ottocento e le immaginiamo timide, tremanti, fragili.
Ce le figuriamo delicate, deboli femmine che si nascondono dietro un ventaglio, diafane creature ondeggianti negli abiti ampi e setosi.
E lei, la signora Mancini, se ne esce con questa frase?
A parte che poi, secondo me, tutta la scena è spassosissima.
Asproni, beffardo e pungente la scrive e la descrive con una perizia incomparabile.
Il Toscanelli, infame, va narrando la vicenda a destra e a manca, e io me lo vedo, perfido, dentro al caffé, mentre se la gode a diffamare l’avversario davanti a un folto pubblico.
Lui, il fedifrago, tenta una faticosa rimonta con quelle parole strappalacrime.
E poi lei, la grande, unica impareggiabile Laura Mancini, lei: dura, chiara e netta.
E, concedetemelo, semplicemente grandiosa.
Questo ed altri aneddoti si trovano in quel libro dal titolo serissimo, il Diario Politico di Giorgio Asproni, lo avreste mai detto?
Con le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, speravo che venisse dato maggior rilievo a questo personaggio, a mio parere molto importante, il solo che abbia scritto una cronaca così lunga della nascita della nostra nazione, un autore che narra, in maniera mai scontata, grandi e piccoli eventi della nostra storia.
Non ha avuto, e me ne dispiaccio molto, il risalto che merita.
Io personalmente, sono contenta di averlo scoperto e ormai lo considero un amico, il mio amico Giorgio Asproni, che  con i suoi scritti riesce ad appassionarmi e a farmi sorridere, molto.
E a ricordarmi che, in fondo, gli uomini non cambiano mai.
Non sembra anche a voi?