I cigni della Quinta Strada

“La New York dei teatri, dei cinema, dei libri; la città del New Yorker, di Vanity Fair e di Vogue.
Un faro, una guglia, un faro in cima a una guglia. Una luce che brilla continuamente in lontananza, visibile persino dai campi di mais dell’Iowa, dai monti del Dakota, dai deserti della California, dalle paludi della Louisiana. Un invito incessante. Un richiamo per gli insoddisfatti, una lusinga per gli illusi.”

Nel luccichio sfolgorante della Grande Mela si svolge la vicenda del libro I cigni della Quinta Strada di Melanie Benjamin pubblicato in Italia da Neri Pozza e Beat Edizioni.
Un romanzo della disillusione che si incentra sull’alta società tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, il mattatore sulla scena è lo scrittore Truman Capote, anche detto Cuore Sincero dai suoi Cigni.
I Cigni di Truman sono le indiscusse protagoniste del jet set newyorkese e rispondono ai nomi di Babe Paley, Slim Keith, Gloria Guinness, C. Z. Guest, Gloria Vanderbilt, Pamela Harriman, Marella Agnelli.
I Cigni sono le socialite, dettano le mode e le sue regole, una di loro si è inventata il vezzo di annodare il foulard alla borsa, sono belle, ricche, sofisticate, celebri ed eleganti.
Truman Capote, lo scrittore eccentrico e particolare, autore tra il resto di Colazione da Tiffany, è il loro amico e il loro confidente, tutti loro paiono vivere un’esistenza di agi dorati ma la felicità non è poi così scontata.
Truman ha un compagno ma nutre anche una predilezione particolare per uno dei suoi cigni: la miliardaria Babe Paley alla quale lo unisce un sentimento complesso e profondo, un misto di fratellanza, passione e attaccamento totalizzante.
La bellissima Babe, donna affascinante e di classe, è la moglie di Bill Paley, fondatore della CBS che l’ha resa immensamente ricca ma non le risparmia certo i tradimenti con le attrici che incrociano il suo cammino.
Babe ricambia l’affetto di Truman, a lui lo lega una sorta di misteriosa affinità:

“Truman era esattamente uguale a lei. Entrambi inconsueti, esotici, eppure al contempo così scombinati e ordinari.”

Ed è Babe, con la sua grazia raffinata, a comparire sulla copertina del libro.

Tra feste, mondanità e ricevimenti i cigni vivono la loro epoca dorata di esclusivi privilegi.
E Truman c’è, lui c’è sempre.
Ascolta, raccoglie le loro confidenze, custodisce le loro parole, fa tesoro delle loro memorie, trattiene i fili delle loro storie.
E traspare, sempre, un amaro disincanto che è il filo conduttore del romanzo:

Perché sotto la scorza della bellezza erano tutte maledettamente sole.”

Vita reale e finzione letteraria si intrecciano abilmente tra le pagine di questo romanzo dove fanno la loro comparsa diverse celebrità come ad esempio Frank Sinatra, Henry Mancini e Mia Farrow.
Un intero mondo è destinato ad andare in frantumi e crollano infine tutte le certezze quando un giorno si consuma il più perfido dei tradimenti: tra le pagine di Esquire viene pubblicato un articolo di Capote dal titolo La Côte Basque 1965.
Ah certo, Truman è stato astuto, ha usato dei nomi di fantasia ma i cigni si sono riconosciuti, ognuna delle sue amiche ritrova la propria storia messa nero su bianco e ora nota a tutti: si alza il velo sulle debolezze di ognuna, sui tradimenti e sui segreti sempre taciuti.
E questa è la fine dell’illusione, c’è un senso di perdita tanto potente da far pronunciare queste parole a una nostalgica Slim Keith:

“Mi ripeto quanto fosse meravigliosa la vita a quell’epoca, un’epoca in cui nessuno diceva la verità agli altri, senza che questo avesse la minima importanza. Era tutto bellissimo. Non è così forse? Tutto gradevole, elegante, raffinato.”

Si compie così il destino di Truman Capote e dei cigni, la Benjamin restituisce al lettore un romanzo avvincente dal ritmo sostenuto, dai dialoghi vivaci e fortemente evocativi.
Tutto svanisce e a tutto si ritorna con un senso di rimpianto, anche al ricordo di quella bellezza che ai cigni della Quinta Strada ha donato un senso agli istanti della vita.

“La meraviglia di appartenersi, di sentirsi accettati, apprezzati, desiderati.
La grazia di un fiore uno stelo di mughetti dalle campanelle bianche come la neve che spiccano sul verde lucido delle foglie. Un fiore reso ancor più prezioso dalla mano amica che ce lo offre teneramente, un dono capace di lenire il nostro dolore. … La bellezza di uno svolazzo di taffetà, di un tintinnio di campanellini, di un barbaglio di diamanti e smeraldi: la bellezza di un fiore di carta ancora intatto. La bellezza.”

Camminando nel passato di Portofino

Ritorniamo a camminare nel passato in uno dei luoghi più incantevoli della Liguria.
L’acqua chiara e fresca, le case alte e colorate e la bellezza inconfondibile di Portofino, borgo di pescatori e anche meta della villeggiatura.
Consultando la Guida Treves del 1911 si legge una caratteristica di questo luogo: l’ingresso anteriore delle abitazioni si trova al piano terreno mentre quello posteriore si trova al terzo o magari al quarto piano.
Dolce è la vita nella baia di Portofino, questa bella cartolina fu spedita nell’estate del 1915 alla Signora Cesarina che se ne stava a prendere il fresco in quel di Murta.
E così appariva, nella sua perfetta armonia, la nostra Portofino.

Uno scorcio della celebre piazzetta, i portici a donare ombra, le belle case alte.

Un fascino imperituro che ancora oggi conquista e cattura.

Una vela bianca, le barche, davanti alle finestre i panni stesi ad asciugare nell’aria frizzantina.

Consultiamo poi la Guida pratica ai Luoghi di soggiorno e di cura d’Italia edita dal Touring Club Italiano nel 1932 e avremo ulteriori indicazioni sulla nota località del levante ligure.
Tra queste pagine si legge infatti che Portofino conserva il suo aspetto unico e particolare ma certo non è priva di elementi di conforto dovuti anche all’intensa frequentazione.
I panorami straordinari e il clima mite ne fanno poi un luogo piacevole in ogni stagione.
Durante tutto l’anno, si specifica sulla guida, Portofino è prediletta da coloro che amano godere di un soggiorno semplice, tranquillo, riposante.
Ed ancora ecco le sue case da un diverso punto di vista, in un dettaglio di una seconda cartolina.

E le barche a vela, magnifiche e superbe, in attesa di prendere il largo.

E tutto attorno una fragranza di profumi tipici della macchia mediterranea e di questo tratto di costa come il mirto, il corbezzolo e l’ulivo generoso che diviene cornice di uno scorcio di impareggiabile bellezza.

L’acqua era calma, il sole brillava alto nel cielo, il verde degli alberi donava una freschezza ristoratrice e il tempo era dolce a Portofino.

I fratelli Lamb

“Uno dei passeggeri sulla carrozza per Stratford aveva avuto l’imprudenza di chiedergli: « Qual è dunque la vostra occupazione, signore?» Dopo averlo fissato per un istante in silenzio, Samuel Ireland aveva risposto: «Mi occupo del mestiere di vivere, caro signore.» ”

Raffinato, elegante, fortemente evocativo e squisitamente british, ecco un romanzo che delizierà gli amanti della letteratura inglese e gli estimatori della terra di Albione.
I fratelli Lamb è un raffinato romanzo storico scritto dall’ineffabile Peter Ackroyd ed edito in Italia da Neri Pozza.
Ackroyd, uno dei massimi autori britannici, offre uno spaccato straordinario della Londra del passato portando il lettore nel lontano 1795.
I protagonisti del suo volume sono persone realmente vissute: si tratta infatti dei fratelli Charles e Mary Lamb, entrambi autori di romanzi ed opere letterarie.
E tuttavia l’autore avverte il lettore: ha inventato personaggi e modificato le vicende della famiglia Lamb per amore della narrazione.
Per amore della narrazione: arte della quale Ackroyd è incomparabile maestro.

Dunque, la vicenda del romanzo è tanto semplice quanto intrigante.
Il giovane Charles Lamb lavora per la Compagnia delle Indie ma aspira a divenire un celebre scrittore, la sorella Mary condivide con lui l’amore per la poesia e la letteratura, lei è una ragazza dal viso segnato dal vaiolo e vive per lo più nell’ambiente domestico.
Per un caso del destino i due fratelli Lamb si imbattono nel giovane William Ireland, libraio con il padre Samuel a Holborn Passage.
E sapete qual è la circostanza stupefacente?
Il giovane Ireland ha scoperto per ventura alcuni manoscritti di William Shakespeare e l’emozione per tutti loro è davvero incredibile!
Sui manoscritti e sulle presunte opere shakespeariane non vi svelerò nulla di più, sappiate comunque che il colpo di scena è sempre dietro l’angolo e che anche Ireland è realmente esistito.
Questo romanzo ha il profumo della carta e degli antichi manoscritti, vi è inoltre ancora una protagonista fondamentale e nessuno come Ackroyd è capace di narrarla in tale maniera nei nostri tempi: la città di Londra.
È una città a volte fosca, caotica, complicata, per le sue vie si muovono carri e calessi, in questa Londra si incontrano poi personaggi particolari:

“Jonathan Baker era un omino tarchiato dall’aria completamente esausta, con la bocca ripiegata verso il basso e le palpebre pesanti. A Samuel Ireland sembrò una sorta di Pantalone appena uscito da una commedia. Si presentò nell’ufficio con un bizzarro berretto a punta di datazione incerta.”

E i luoghi di Londra, poi, sono descritti in maniera indimenticabile:

“Il palco Amleto odorava di paglia fradicia, cordiale alla liquerizia e ciliegie. L’odore dei teatri di Londra. A William piaceva quell’odore e si sentiva inebriato dai profumi di essenze e unguenti che si levavano a ondate dalla platea eccitata e mormorante.”

In ogni riga di questo romanzo emerge, netto ed evidente, il talento narrativo di Ackroyd e spicca la sua innata capacità di affascinare e coinvolgere in maniera totalizzante i suoi lettori.
Su ogni evento descritto tra le pagine del libro aleggia la figura misteriosa di William Shakespeare, il Bardo è a suo modo anch’egli uno dei protagonisti del romanzo I fratelli Lamb.
Adorato, amato, riletto, i suoi versi sono mandati a memoria e per sempre immortali.
E le sue opere, all’improvviso divengono persino palpabili.
Ecco la sua calligrafia, ecco le sue maniere di scrivere, ecco i personaggi riconoscibili e ritrovati in certi manoscritti davvero straordinari: un’emozione destinata a mutare il destino di certe vite.

“Dunque Shakespeare aveva tenuto quel libro fra le mani… proprio come stava facendo lui in quel momento. L’assoluta reciprocità del gesto gli diede il capogiro.”

New York 1916

“Lasciò vagare la mente e le mani le andarono dietro, accerchiò la melodia, la inseguì, ci giocò, l’abbandonò e la riprese fino a quando quel che stava suonando non somigliava più alla musica sul leggio, fino a quando quella musica divenne jazz.”

Le dita che svelte si muovono sui tasti del pianoforte sono quelle di Monroe Simonov, inquieto venditore di canzoni sempre in cerca di successo e di una buona opportunità nella città che non dorme mai.
Monroe è uno dei protagonisti di New York 1916, superbo e intricato romanzo dell’autrice britannica Beatrice Colin e pubblicato in Italia da Beat Edizioni.
Il pianista vive una travagliata storia d’amore con Inez Kennedy, aspirante ballerina proveniente dal Midwest che sbarca il lunario come modella in un grande magazzino di mode.
Il loro è un amore fatto di contrasti, inganni e incomprensioni, di distanze e riavvicinamenti, di segreti taciuti e di imprevisti colpi di scena.
Inez troverà poi posto nella buona società sposando il ricco Ivory Price, magnate dell’areonautica sopravvissuto al disastro del Titanic, un uomo scaltro che non conosce timori.
Terza figura di rilievo è Anna Denisova, intellettuale di San Pietroburgo che nella sua terra ha lasciato un figlio tanto amato e mai dimenticato, Anna è animata da certi ideali e attende, in questo scorcio di inizio del secolo, che la sua patria sia liberata dallo zar.
Le vite dei tre protagonisti si intrecciano sapientemente nello scenario di un’epoca scandita dal ritmo di una musica nuova: è il jazz che prende piede nei locali e nei clubs, quell’azzardo di note che conquista e stravolge tutti i canoni fino ad allora conosciuti.

La Colin costruisce in maniera magistrale una trama ricca di dettagli e affresca una società che pullula di personaggi minori, la sua storia racconta l’amore, il senso dell’amicizia, le differenze sociali, il desiderio di integrazione e la disillusione dei propri ideali.
Mentre in Europa infuria la Guerra Mondiale, da questa parte dell’oceano si arruolano giovani soldati destinati a combattere in quel conflitto e tra costoro non mancano gli episodi di diserzione: Monroe è uno di questi e per lui, all’improvviso, ogni speranza pare crollare.
Nella postfazione del libro è l’autrice stessa a spiegare quale mondo abbia voluto descrivere: è quella città nella quale tramano rivoluzionari russi in esilio e anarchici di origine italiana, ognuno ha un volto e una storia che l’autrice narra con sapienza e senza tralasciare i dettagli.
Lo scenario è quella New York che la Colin sa descrivere con attenzione, rendendola viva e presente ai nostri sguardi:

Gli era sempre piaciuta quella parte di Brooklyn, le tende da sole dei negozi che pubblicizzavano servizi di tappezzeria, orologi, articoli da modista e torte di pecan, le tate con i bambini in carrozzina e le signore anziane, con i cagnolini imbacuccati in tessuti scozzesi, che indugiavano davanti alle vetrine analizzando sciarpe, cappelli o sontuosi modelli in gesso di torte parigine.”

Le vite dei protagonisti si snodano così in una ricchezza di situazioni diverse, tra intrighi e trame politiche, tra gli eventi che hanno caratterizzato un’epoca, dall’epidemia di spagnola all’avvento del proibizionismo.
Scivolano via avvincenti le oltre 400 pagine di questo libro nel quale la Colin restituisce al lettore la bellezza di un grande romanzo corale nel quale spiccano imperiose alcune voci più di altre.
Beatrice Colin, autrice di diversi testi teatrali e radiofonici per la BBC, costruisce una trama ricca e varia che sarebbe davvero una splendida sceneggiatura.
Il mondo cambia, la guerra giunge al termine e le vite di Monroe, Inez ed Anna si avviano verso esiti che il lettore non saprebbe immaginare.
Resta un finale sorprendente e inaspettato come quella musica nuova che risuona per le strade di New York.

“La vita è una serie di momenti inaspettati. Se questa fosse musica, si disse tra sé, sarebbe jazz.”

Una vita da ricostruire

Questa è la storia di una famiglia narrata attraverso gli sguardi di tre sorelle: Rike, Silvie e Florentine Thalheim sono le protagoniste del romanzo Una vita da ricostruire di Brigitte Riebe pubblicato da Fazi Editore e primo volume di una trilogia.
La vicenda si snoda a Berlino nell’immediato dopoguerra e la vita, per chiunque, è faticosa e complicata: la città è in cenere, il futuro è tutto da inventare.
Anche alle ragazze Thalheim il destino ha riservato una notevole cifra di difficoltà da fronteggiare: il negozio di mode della famiglia è stato travolto e distrutto dalla furia della guerra ma le ragazze sono intraprendenti, testarde e tenaci, riprenderanno le redini delle loro esistenze animate da un autentico desiderio di riscatto.
Rike, la maggiore delle sorelle, è la principale eroina di questo primo volume della trilogia ed è anche la prima a rimboccarsi le maniche, dal suo passato ha conservato gelosamente le forbici da sarta della mamma e tanti cartamodelli.

Così, grazie alla forza di volontà di queste sorelle e con la collaborazione della ritrovata amica Miriam l’attività di sartoria, piano piano, riprende vita e nell’autunno del ‘45 si terrà persino la prima sfilata berlinese tra le macerie.
La Riebe offre al lettore una storia sincera e credibile non priva di improvvisi colpi scena e quando si pensa di aver intuito lo svolgersi di una vicenda si finisce invece per scoprire nuovi inattesi risvolti.
Questo libro è una lettura piacevole che si ambienta in un periodo storico sul quale aleggia ancora la cupa e sinistra crudeltà della guerra e nel quale la città di Berlino subisce gli inesorabili cambiamenti di quegli anni.
La quotidianità delle ragazze Thalheim si intreccia così alle tematiche storiche che fanno da sfondo alla vicenda del romanzo: amori, speranze, segreti mai svelati si snodano pagina dopo pagina in una lettura gradevole e dotata a mio parere della giusta cifra di leggerezza.
La scrittura della Riebe è garbata e priva di ridondanze narrative, l’autrice poi si avvale spesso dei dialoghi che rendono la narrazione svelta, immediata e particolarmente efficace.
Il romanzo giunge ad una sua naturale conclusione che è anche il preludio delle vicende dei due successivi volumi ed io certamente li leggerò, dopo la lettura di questo primo volume mi sono affezionata alle tre ragazze Thalheim: oltre al racconto delle loro esistenze tra queste pagine si coglie la storia e il destino di Berlino, mentre la vita fluisce scandita dai battiti di certi cuori.

“Purtroppo non possiamo fermare il tempo, per quanto vorremmo: dobbiamo seguire il suo passo, a volte ci fa danzare, altre volte ci lascia cadere.”

Côte d’Azur

Le piante di agrumi in vaso fornivano una nota superiore intrigante che si mescolava alla fragranza dei pini. Lo scuro promontorio di Cap d’Antibes si stagliava sullo sfondo del cielo all’estremità orientale della grande baia disegnata da una curva di luci tremule che finivano per stemperarsi nell’illuminazione di Juan les-Pens a cinque chilometri di distanza.”

È nell’amena dolcezza della Costa Azzurra che scopriamo un luogo leggendario: lo Château de l’Horizon, magnifica villa in stile Art Deco fatta costruire nel 1932 da Maxine Elliott, attrice statunitense, donna volitiva e affascinante, protagonista della vita mondana della sua epoca.
Allo Château de l’Horizon e a quel mondo dorato è dedicato il volume Côte d’Azur. 1920-1960: gli anni d’oro della Riviera francese di Mary S. Lovell e pubblicato da Neri Pozza.
Il libro è il racconto straordinario di quell’ambiente così vivace ed esclusivo: allo Château de l’Horizon Maxine terrà feste, balli ed eventi mondani ai quali parteciperà tutto il bel mondo.
La narrazione ha inizio dagli anni ‘20, frizzante epoca di nuove eleganze e ricercate sensualità: vanno di moda i capelli a caschetto, i cappelli a cloche e gli abiti di seta impalpabile.
La Lovell, con impareggiabile raffinatezza e con magnifica competenza, interpreta lo spirito di quell’epoca e lo svela attraverso le vicende delle stelle del jet set che brillavano allora sulla riviera francese.
Il volume è infatti un’inesauribile miniera di vicende curiose e intriganti, non manca nessuno tra le pagine di questo libro: da Coco Chanel ad Elsa Maxwell, da William Somerset Maugham alla raffinata socialite Doris Delevingne, prozia dell’incantevole top model Cara.

E non manca Elsa Schiaparelli che della moda fu una vera icona: fu creato per lei il colore rosa Schiaparelli, così intenso da essere appunto definito shocking.
Grande protagonista di questo libro è poi Winston Churchill che era spesso ospite di Maxine al suo Château de l’Horizon, sono moltissimi gli aneddoti che riguardano lo statista.
Churchill era celebre per il suo tagliente umorismo e la Lovell narra che una volta un altro ospite gli chiese se avesse letto il suo libro e Churchill lapidario replicò: No, leggo solo per piacere o per trarne vantaggio.
I fasti dello Château de l’Horizon fatalmente furono, per un certo periodo, oscurati dalle cupezze della II Guerra Mondiale: in quegli anni parte della villa fu trasformata in atelier, le donne del posto producevano abiti per i poveri dei dintorni e in quelle circostanze Maxine fece usare i suoi abiti parigini e le stoffe preziose di cui erano fatti divennero pigiami e scamiciati per i bimbi meno fortunati.
La morte di Maxine, sopravvenuta nel 1940, rappresentò anche l’inizio di una nuova epoca per lo Château de l’Horizon che divenne di proprietà del principe Aly Khan.
È una nuova stagione di mondanità, Aly sposerà l’attrice Rita Hayworth, in un giorno di maggio, proprio allo Château de l’Horizon.
La Lovell racconta la loro vicenda appassionata, il loro sarà un sogno infranto e non un amore destinato a durare per sempre, per un certo periodo poi Aly avrà accanto un’altra celebre attrice di Hollywood: la diafana e sensuale Jane Tierney.
E poi viene narrato un amore giovanile di Gianni Agnelli e tra le pagine di questo libro trovano anche spazio le tormentate vicende di Edoardo Duca di Windsor e di sua moglie Wallis Simpson.
È davvero improbabile pensare di poter citare tutte le celebrità che troverete in questo magnifico volume: la Lovell, con la sua scrittura sapiente, asciutta e coinvolgente, vi porterà proprio là, allo Château de l’Horizon.
Côte d’Azur copre quarant’anni di storia di un luogo che non ha perduto il suo fascino: tutto è mutato ma ancora si cela la memoria di quegli anni gloriosi sulla riviera francese.

“Il mondo di Maxine è ormai scomparso da tempo, ma ogni decennio porta un nuovo gruppo di persone tra queste ville incredibili; più ricche e forse meno affascinanti di quelle che popolavano la terrazza di Maxine, all’epoca in cui il peggior difetto era essere noiosi.”

Uno di quei giorni di marzo

It was one of those March days when the sun shines hot and the wind blows cold: when it is summer in the light, and winter in the shade.

Era uno di quei giorni di marzo in cui il sole splende caldo e il vento soffia freddo: quando è estate nella luce e inverno nell’ombra.

Charles Dickens – Great expectations


Via di Ravecca

L’ingratitudine nelle parole del Padre Antero

Oggi voglio riportare qui alcune parole che vengono da un tempo difficile e distantissimo, sono tratte da un volume straordinario che ho avuto l’onore di leggere più di una volta.
Di recente mi è capitato nuovamente di sfogliare questo libro e mi sono imbattuta in questo breve brano che desidero condividere come se lo scrivessi su un quaderno degli appunti.
Le parole che seguono sono tratte dal volume Li lazzaretti della città e riviere di Genova del MDCLVII scritto dal Padre Antero Maria da San Bonaventura, agostiniano scalzo che si prestò e si spese per la città di Genova e i suoi abitanti durante la peste del 1656, della sua opera e di coloro che lavorarono al suo fianco scrissi diverso tempo fa in questo articolo.
Sono sinceramente affezionata al Padre Antero, è come se lo avessi conosciuto di persona.
Il libro scritto da questo frate generoso è denso di parole potenti ed efficaci, lui sa restituire con vivezza momenti tragici ed episodi di assoluto coraggio che ancora ci commuovono.
Il libro è scritto in un italiano arcaico e a volte per noi difficile, risale a quel 1656 e così vengono anche usati caratteri particolari, ad esempio “non” è scritto “nõ”, la v è scritta come la u e in questi casi mi sono permessa di semplificare per rendere meno ostica la lettura: sono certa che il Padre Antero, se un po’ lo conosco, non se ne avrebbe a male, da uomo generoso e comprensivo ci terrebbe a farsi comprendere da tutti, persino da noi.
Il Padre Antero, da profondo conoscitore dell’animo umano, così definisce l’ingratitudine, sono parole perfette alle quali non ho nulla da aggiungere.
Le ha scritte lui, un amico vissuto in un’epoca distante.

“Gl’ingrati sono figurati ne pesci, quali non voleva Dio se gli offerissero in sacrificio. Li pesci son taciturni, onde ne nacque il proverbio, Pisce taciturnior, e l’ingrato, ò non conosce il beneficio, ò s’infinge di non conoscerlo ò ammutisse per non render le dovute gratie al Benefattore. Se getti alcun cibo al pesce, corre bensì a prenderlo ma subito fugge quasi sdegnandosi di più mirare chi l’hà nutrito; tale è l’ingrato che volentieri riceve il favore, e con straordinaria industria lo ricerca, ma ricevuto che l’hà, pare che sprezzi in beneficio, mentre si vergogna di riconoscere il Benefattore, confondendosi di confessarsegli obligato.”

La cattura dell’effimero

La mongolfiera raggiunse la lunghezza della catena e si fermò con uno strattone improvviso.
Cait aprì gli occhi. Il braciere ruggiva, la mongolfiera ondeggiava ancora nell’aria, il mondo era esattamente come lo aveva lasciato: Parigi in basso, il cielo in alto.

Eccola lassù Caitriona Wallace, a bordo della mongolfiera che dondola su Champs de Mars in un gelido mattino del 1886.
Caitrona, detta Cait, è una giovane vedova poco più che trentenne e proviene da Glasgow: a Parigi è giunta come chaperon di Alice Arrow e di suo fratello Jamie, due giovani scozzesi che Cait accompagnerà nel loro Grand Tour in Europa.
Così si apre la vicenda del romanzo La cattura dell’effimero di Beatrice Colin, un libro delizioso, vivace ed elegante pubblicato da Neri Pozza e Beat Edizioni.
Questa Parigi favolosa è una città in continuo mutamento e proprio su quella mongolfiera Cait conoscerà l’uomo che cambierà non solo il suo destino ma anche l’orizzonte della capitale francese: il suo nome è Émile Nouguier ed è il progettista della Tour Eiffel.
Nouguier è realmente esistito:  architetto e ingegnere civile, lavorò alla realizzazione di questa magnifica opera parigina.
L’imponente torre sarà visibile da tutta Parigi e sarà un’opera tanto straordinaria quanto effimera, infatti viene costruita in occasione dell’Esposizione Universale ma non si prevede che rimanga per sempre, ma solo per un definito arco di tempo:

Le cose belle erano ancora più belle quando non si riusciva a trattenerle? La torre non sarebbe durata a lungo: vent’anni. Paragonata ad altre strutture delle stesse dimensioni, era un battito di ciglia, un palpito del cuore, un fiore di ghiaccio.”

La torre è stupore, innovazione, modernità, la torre, come dice Émile Nouguier, è levità e aria, la torre sorgerà sotto i vostri occhi durante la lettura di questo romanzo.
E taluni la guardano con ammirazione, mentre certi illustri rappresentanti del mondo culturale e artistico parigino la osteggiano considerandola una bruttura indicibile.
Con stile e classe, la Colin vi porta in quella Parigi mirabolante con le sue eleganze e i suoi sfarzi, i suoi lati oscuri, i suoi mutamenti urbani e le umane debolezze dei suoi abitanti.
Tra le pagine del libro naturalmente incontrerete spesso anche Gustave Eiffel medesimo, d’altra parte i parigini sono stupefatti davanti all’idea della torre:

Dal primo giorno di scavi era un susseguirsi di carrozze che si accostavano al marciapiede di Quai d’Orsay per far scendere innumerevoli spettatori indiscreti, irritati, offesi. Uomini in bombetta passeggiavano piano lungo il cantiere o si fermavano sul bordo appoggiandosi al bastone da passeggio, in attesa di qualche accadimento. Le dame, le mantelle che ondeggiavano al vento come le penne su un’ala di corvo, affrettavano il passo coprendo il viso per proteggerlo dal fumo e dall’odore denso, inquietante e umido delle fondamenta.

In questa città palpitano gli intrecci avvincenti di queste vite: l’amore che sboccia tra Cait ed Émile reso complicato dalle differenze sociali, la leggerezza a tratti ingenua e a tratti capricciosa di Alice, le scapestrate avventure dell’inconcludente Jamie.
E le ombre del passato che oscurano la felicità, una serie di vicende secondarie e di personaggi che si muovono con disinvoltura nei diversi luoghi della capitale.
E questa città, questa Parigi favolosa e straordinaria, credo che l’autrice l’abbia studiata con attenzione e cura, trovo nella sua scrittura l’impronta dell’autenticità e la bellezza di saper evocare con vero talento un luogo e un’epoca lontana.
Non è frequente che mi appassioni di autori contemporanei ma questo romanzo mi ha letteralmente incantata, regalandomi qualche ora di autentico coinvolgimento in questa trama che troverei perfetta per la sceneggiatura di un film.
E così, come mai mi accade, ho cercato traccia dell’autrice per ringraziarla della magnifica esperienza di questa lettura e ho purtroppo scoperto che la Colin è mancata prematuramente nel 2019.
Sono stati pubblicati altri suoi due romanzi e li leggerò presto, sono certa che saranno altri viaggi emozionanti come questo.
Non potendo fare diversamente ringrazio da qui Beatrice Colin per la meraviglia della sua Parigi, per la sua Cait così appassionata, per il sogno della Tour Eiffel che diviene realtà sotto gli occhi meravigliati del lettore.
In questa Parigi che si svela come un incanto sfavillante tra le pagine di La cattura dell’effimero.

Gli allumeurs de réverbères erano intenti ad accendere lampioni a gas lungo i grandi viali alberati e le vie con le loro lunghe aste. Le luci scintillavano come orbite dorate, in contrasto con lo splendore della crepitante illuminazione ad arco voltaico di Place de l’Opéra.

Stella Nera – La Promessa

“Uscito dalla chiesa, Pietro attraversò Via Paleocapa e si infilò in Via Pia: diede un’occhiata veloce alle vetrine del cinema Astor dove i manifesti pubblicizzavano i prossimi film in arrivo. La percorse senza fretta, ammirando i palazzi che incombevano sulla stretta via con l’impiantito di pietre, i portali che risalivano al Medioevo. I negozi erano aperti, due vigili discendevano la via mentre il locale “Vino e Farinata” aveva la saracinesca alzata a metà. Giunse in Piazza della Maddalena, si fermò e si guardò intorno; sull’angolo di un palazzo c’era una statua della Madonna con un omino in ginocchio. Qualche anno prima era stato a Genova, ma Savona gli pareva di una pasta differente, una città con un volto che non riusciva mai a cogliere.”

Savona, 1987: una città e i suoi misteri.
Tre amici, tre ragazzi che condividono l’esperienza dell’obiezione di coscienza.
Un dipinto del Bernini scomparso da molti anni, un uomo sparito di recente senza lasciar traccia e un enigma che si dipana tra le pagine di Stella Nera – La promessa, secondo volume di una trilogia scritta da Marco Freccero, il primo romanzo della serie si intitola Stella Nera – Le Luci dell’occidente e ve lo presentai tempo fa in questo post.
Torniamo così alle vicende intricate che hanno come scenario Savona e i suoi dintorni, va detto innanzi tutto che i personaggi restano impressi con le loro caratteristiche e le loro personalità: ho letto questo secondo volume a distanza di un anno dalla prima parte e ho riconosciuto i volti e caratteri come se li avessi incontrati l’altro ieri.
Marco Freccero si avvale di una bella scrittura asciutta e coinvolgente, efficace e piacevolmente priva di inutili ridondanze, ambienta inoltre le sue storie in uno scenario che ben conosce rendendo così la vicenda credibile, autentica e appassionante.
C’è un uomo scomparso, dicevo: è quel Leonardo Perrone che dopo essersi cacciato in un grosso guaio pare davvero essere svanito nel nulla.
E c’è un dipinto che tutti cercano da molto tempo, è un’opera di una bellezza unica e straordinaria sparita nel 1943 proprio a Savona: è l’Ecce Homo del Bernini sul quale tutti fantasticano, cercando di immaginarne i dettagli.

E c’è anche una scrittrice, una professoressa in pensione, lei ha scritto un libro sull’Ecce Homo del Bernini: un libro nel libro, pagine su pagine.
Il dipinto con il suo magnifico mistero, riconduce alle cupe vicende della II Guerra Mondiale e alla cieca crudeltà di quel tempo e qui risiede, a mio parere, il filo conduttore della trilogia.
In questa scrittura che si sostiene con magnifico equilibrio, in realtà, sullo sfondo, spicca un tema universale: la lotta tra il bene e il male.
E la ricerca della comprensione dei meccanismi dell’umano sentire, pur nell’impossibilità di trovare sempre una spiegazione.
E del resto così si legge tra le pagine di questo romanzo.

“Abbiamo a che fare con la creatura più folle dell’universo. L’uomo.”

Peccato, dolore, perdono, fede: sono argomenti che di volta in volta affiorano dalle pagine del romanzo, ritornando come interrogativi che travalicano la storia per condurre a inevitabili riflessioni:

“Ma si può ammirare la bellezza, amarla. E uccidere. Non è una magia, la bellezza.”

Quel dipinto poi pare essere la chiave di volta di tutta vicenda: pensate che c’è persino una persona che lo ha veduto!
E sa anche raccontarlo, descriverlo e ammaliare i suoi ascoltatori, non sarò certo io a guastarvi la sorpresa ma sappiate che quel quadro racchiude in sé la maestà della verità.
Scorrevole, avvincente e ricco di misteri, questo secondo episodio della trilogia di Marco Freccero pare traghettarci verso un esito che non sappiamo immaginare, l’autore infatti è un maestro del colpo di scena e sa tenerci abilmente con il fiato in sospeso.
Se desiderate anche voi immergervi nelle vicende di Stella nera vi rimando al blog di Marco Freccero, qui potete trovare tutte le informazioni per poter acquistare i volumi finora pubblicati in formato digitale o cartaceo.
Quando il romanzo giungerà alla sua conclusione ritroveremo anche la traccia di Leonardo Perrone?
E il dipinto del Bernini verrà finalmente rinvenuto?
Saranno forse Davide, Filippo e Massimo, i tre ragazzi obiettori di coscienza, a svelare un intrico che pare irrisolvibile?
Non ci resta che attendere che si calmino le acque, che scenda il vento e che la linea dell’orizzonte compaia finalmente chiara e netta.

“Alle spalle del padrone di casa una grande finestra si apriva sull’Isola di Bergeggi, mentre la superficie del mare spumeggiava. Contro il vetro si sfracellavano le gocce di pioggia scaraventate da un furioso vento di scirocco.”