Miss Fletcher e il meraviglioso mondo degli animali

Miss Fletcher con il mondo animale ha qualche problema.
Eh sì, devo dirvelo, ho paura dei cani i quali, per altro, mi ignorano bellamente.
A parte ciò, la meravigliosa fauna locale offre un vasto campionario di possibilità, apparentemente incredibili in contesto urbano.
Casa mia ha un grande terrazzo, gioia e felicità in estate!
Prendo il sole in beata solitudine, ascoltando la mia musica e sorseggiando tè freddo.
Certo, ci sono alcuni inconvenienti, da tempo ormai risolti, dotando ogni finestra di una fantastica zanzariera che tiene lontani esseri viventi di varia natura.
Mai detto di essere socievole, io.
Tra i vari ameni personaggi che scorazzano per qua, ricordo un ospite, in effetti assai sgradito, che si insinuò dietro un vaso di fiori.
Stavo comodamente sul mio divano, quando, d’un tratto, sentii una sorta di fruscio.
Ed io, curiosa e guardinga, andai a sbirciare tra il vaso e il muro.
Orrore e costernazione.
Una biscia.
Ecco, per una cosa simile io potrei anche far le valigie e trasferirmi in albergo, sappiatelo.
Ho la fortuna di avere per dirimpettaio un prode pompiere che, sprezzante del pericolo, afferrò il dannato rettile e me ne liberò.
Sì d’accordo, non era un boa né un pitone, ma gradirei non avere dentro casa esseri striscianti.
Certo che non posso chiamare il pompiere per un geco, mi rendo conto.
Non venitemi a dire che mangiano le zanzare, lo so, ma io in una stanza con uno di quei graziosi esserini attaccati al soffitto non ci dormo!
Al solo pensiero che possano camminarmi in faccia rabbrividisco!
E insomma, una volta ho quasi smontato la casa per riuscire a scovarne uno, mobili, letto comodino, tutto spostato, una notte d’inferno a litigare con il geco, poi alla fine, non so come, sono riuscita a farlo scappare, doveva essere stremato anche lui, poveretto.
E non so come una volta stavo guardando la tv, e scorgo in basso, lungo il muro un movimento.
Mah, sarà stata la mia immaginazione!
E poi, di nuovo, qualcosa che corre velocissimo. Che mai sarà?
Ladies and gentlemen, un topolino!
Ora non si offenda la mia amica Pigmy, ma un roditore in salotto proprio non fa per me.
Intendiamoci, non è che io abiti nella giungla, no, no, sono in città!
E’ che qui intorno c’è tanto verde, che bello, come si respira bene!
Ma la fauna non potrebbe gentilmente stare alla larga da casa mia?
Con la libellula che beatamente svolazzava per le mie stanze sono stata più fortunata, quella volta intervenne un altro vicino, che armato di racchetta da tennis, la posò sulle corde facendola volare fuori.
Decisamente un colpo di genio, non c’è che dire!
Quando poi vado in campagna, santo cielo!
Ecco, lì c’è veramente di tutto: scorpioni che passeggiano in bagno, pipistrelli che si infilano nella tromba delle scale, temibili ragni neri di dimensioni imbarazzanti.
Oltre tutto, in campagna, io sto all’ultimo piano, in un sottotetto.
E quando vado a dormire, sento qualcuno che mastica, secondo me nel tetto ci abita un ghiro, altrimenti non me lo spiego, si sente proprio rumor di ganasce!
A Zena questo non accade, per fortuna, però sul terrazzo c’è una comunità di lucertole, abbastanza timide a dire il vero, pertanto non si corre il rischio di trovarsele sul tavolo della cucina.
In estate, poi, qua accanto si sentono gracidare le rane.
Fanno dei coretti, da quel ruscello!
Ma batraci in corridoio, ad oggi, non ne ho ancora incontrati.
E certo, mi pare ovvio.
Viene chiunque ma i rospi no.
Scusate, ma non erano quelli che con un bacio si trasformano in principi azzurri?
E vissero felici e contenti?
Ecco, appunto.
Da queste parti mai visti.

Ultime dal cielo

Per vostra opportuna conoscenza, volevo avvisarvi di un evento alquanto increscioso.
Pare che lunedì scorso, intorno alle sei di sera, due asteroidi siano allegramente passati tra il nostro pianeta e l’orbita della luna.
E nessuno ci aveva avvertito!
Ansia.
Ah, beh, sapete com’è, pare che se ne siano accorti solo di recente, è per quello che non ci hanno detto niente.
E poi erano piccoli, niente di allarmante.
Eh, sì uno aveva un diametro di appena nove metri e l’altro tre, mica vi farete prendere dall’apprensione!
E poi, se anche fossero entrati nella nostra atmosfera, si sarebbero disintegrati seduta stante.
Punto.
E quindi non hanno ritenuto opportuno dirci nulla.
Ecco, una cosa non mi chiara: eventualmente, di che dimensioni sarebbero i pezzi di un asteroide di quel tipo che cadrebbero sulla terra in caso di sfortunato contatto con l’atmosfera?
No, così, giusto per sapere.
Ci terrei a far presente agli addetti alla torre di controllo degli asteroidi e di altri corpi celesti con manie suicide che quaggiù, sull’orbe terraqueo, circola gente balzana.
Tanto per fare un esempio, c’è persino chi riesce a capocciare contro uno gnomo in altalena, fate voi, vedete un po’ se non è il caso di mettere in guardia i popoli e le genti tutte!
Che oltretutto, se mi arriva anche un sassetto delle dimensioni di una mela, suppongo che mi piova sulla testa alla velocità di un proiettile e non mi sembra un’esperienza del tutto gradevole!
Ah, ma quelli della torre di controllo pare che abbiano detto che questa circostanza si verifica assai di frequente, pare che lassù, nel blu dipinto di blu, vagoli ogni specie di masso proveniente da non si sa dove.
Che poi a me affascina non poco lo spazio!
Uh, sì! Ogni tanto mi perdo a guardare immagini di mondi lontani e di satelliti, nebulose ed altre meraviglie, solo che gradirei che restassero lassù, ecco!
E forse quelli della torre non lo sanno ma quaggiù siamo romantici, ed anche parecchio.
E io non vorrei mai che una sera di queste capitasse l’irreparabile.
E uscimmo fuori a riveder le stelle.
E mentre siamo in contemplazione del creato e della sua grandezza, al buio, ci precipita sulla faccia un pietrone qualunque,  magari pure radioattivo, che la fortuna quando vuole ci vede benissimo, eh!
Ecco, nel dubbio, diramate un succinto comunicato stampa, così noi si sta a casa, no?
Che poi, in realtà, se uno si mette a cercare notizie dal cielo di eventi prossimi venturi, non è che se ne tragga grande conforto, eh!
Ad esempio, pare che nel febbraio del 2013 un altro dannato asteroide rappresenterà una seria minaccia per la terra.
Tuttavia, pare che gli scienziati non concordino su cosa accadrà, infatti le teorie sono due: o il dannato masso ci colpirà oppure ci eviterà.
Che mi sembra praticamente la stessa cosa, eh!
Ripensandoci, ritiro tutto.
Silenzio, silenzio!
Non diteci niente!
Lasciateci nella nostra beata ignoranza, sotto il cielo stellato che ci fa innamorare, con la speranza che, come sempre, lassù qualcuno ci ami.

Tecnici

Abbiamo un governo tecnico.
Professori, cattedratici, menti eccelse.
Gentilmente, per caso c’è un elettricista in sala?
No, perché da qualche tempo, a casa mia,  a volte salta la luce.
In genere di notte mentre dormo.
Finché sono tra le braccia di Morfeo, facciano pure quello che vogliono.
Di giorno però, gradirei non essere sprofondata nel Medioevo, grazie.
Una decina di giorni fa, alle nove del mattino, buio.
La luce è stata ripristinata intorno alle dieci e mezza, per scomparire nuovamente verso mezzogiorno.
Così ho pranzato nella penombra, senza nulla sapere di quello che hanno detto i vari Bersani, Monti, Fornero e soci.
All’uso, una gran bella comodità essere fuori dal mondo, intanto quelli lì preannunciano solo tregende, tanto vale spegnere l’audio.
Il fatto è che dopo breve, ti restano poche alternative.
Leggere non si può, guardare la tv neppure, navigare sul web neanche.
Che faccio, ricamo in penombra?
Sconforto e rassegnazione.
Bisogna che mi attrezzi, che impari l’arte della meditazione zen, giusto per coprire il tempo necessario al tecnico per raggiungere la centralina.
Ecco, appunto, il tecnico.
Ma quello che era andato alle dieci e mezza e aveva predisposto la riparazione che è durata manco il tempo di asciugarsi i capelli?
Tanto per capire, eh!
Almeno avvisate, programmate i guasti con regolare scadenza, e che caspita!
E se rimango col phon in mano e i capelli bagnati, eh?
Son cose in grado di guastarti una giornata, non so se vi rendete conto!
Anche perché poi quando li chiami, quelli dell’Enel, sono pure solleciti, nulla da dire!
E ti rassicurano:
– Stiamo mandando una squadra!
Ecco, io non l’ho mai visto un tecnico dell’Enel, mai in vita mia, ma quando sento queste parole mi immagino Bill Murray e Dan Aykroyd bardati di tutto punto con la divisa da blockbusters che avanzano intrepidi verso la centralina.
Ora che ci penso, la prossima volta quasi quasi mi apposto lì davanti e controllo, perché io un tecnico, lo giuro, non l’ho visto mai, a parte quelli con il loden che però certo non assolvono a questo genere d’incombenze!
Comunque, e luce fu, in meno di mezz’ora! Vedete quanto sono efficienti i tecnici!
E meno male!
Quando rimango al buio, il mio istinto sarebbe quello di comporre compulsivamente il numero della segnalazione guasti per ascoltare la vocetta metallica che ripete: si prevede di ripristinare il servizio entro le ore…
Non che serva a qualcosa ma è pur sempre una sorta di consolazione, hai come l’illusione che qualcuno, armato di cacciaviti, chiavi inglesi e ammenicoli vari, stia pensando a te, misero umano del terzo millennio sperduto nelle tenebre.
Tecnici: un giorno o l’altro ne vedrò pur uno.
Sempre ammesso che ci sia la luce, è chiaro.

Piccole regole di sopravvivenza urbana

Opere d’arte che decorano le nostre strade, le strisce pedonali vengono ignorate dai più.
Eppure caspita, son ben visibili!
E malgrado l’automobilista medio tenda a trascurarne la presenza, vengono apposte sull’asfalto con scopi tutt’altro che estetici, la loro funzione sarebbe quella di consentire l’attraversamento ai pedoni.
Il concetto è piuttosto semplice: un bipede si presenta di fronte alle strisce e gli altri, quelli muniti di rombanti motori sormontati sotto scintillanti carrozzerie, si fermano, permettendo così all’umano di raggiungere la propria agognata meta.
Ecco, così dovrebbe andare.
Dovrebbe, appunto.
Sulle inveterate consuetudini dei Niki Lauda nostrani ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia in dodici volumi, aggiornabile di volta in volta con varie amenità.
Le strisce pedonali, per parte loro, sono spesso palcoscenico di situazioni al limite del tragicomico.
Spesso purtroppo finisce in tragedia e su questo davvero c’è poco da dire, se non che l’incuria e la mancanza di rispetto delle più banali regole del viver civile andrebbero punite con pene draconiane.
In altre circostanze, invece, sembra di vivere in un film.
Osservateli bene gli automobilisti.
Tra quelli che si fermano, più o meno diligentemente, alcuni vi guarderanno con una certa aria di sufficienza, come dire, ti sto facendo un gran favore a fermarmi, vedi di darti una mossa.
Altri, invece, a premere il pedale del freno non ci pensano neanche: decelerano.
Il misero pedone comincia pertanto a porsi amletici interrogativi senza risposta.
Che faccio, vado? Aspetto? I due si osservano, occhi negli occhi per un istante, l’umano decide di sfidare la fortuna, e tenta di attraversare la strada.
Il caso vuole, ahimé, che l’altra corsia sia invece impegnata da un altro asso del volante, che sgommando prosegue bellamente per il suo cammino.
Il pedone esita, indietreggia, si ferma, avanza, tentenna,  inscenando così un simpatico minuetto a centro strada, al quale partecipano altri titubanti utenti.
Alcuni automobilisti, invece, hanno verso le strisce pedonali lo stesso atteggiamento del toro nella corrida.
A testa bassa puntano l’obiettivo con lo scopo di centrarlo, ne sono certa.
Alla sola vista di un umano in procinto di attraversare la strada, questi incauti piloti diventano delle belve, gli si iniettano gli occhi di sangue e a voi, miserandi utenti della strada che tentate solo di arrivare alla fine della giornata, riservano occhiatacce che hanno un chiaro sottotitolo: ma tu proprio adesso devi attraversare? Ma levati dai piedi!
Ne consegue un fuggi fuggi trafelato e spesso una sequela di irripetibili improperi da ambo le parti.
Che vita difficile!
Esiste poi la più temibile delle categorie, ovvero quegli individui che escludono a priori l’esistenza del prossimo, tanto sono concentrati su loro stessi: quelli che guidano telefonando.
Ecco, questi sono talmente presi nelle loro faccende, che proprio non vi calcolano, sappiatelo.
Eh, no! Hanno da fare, caspita! Parlano con la moglie, con l’amante di turno, con il collega, roteano gli occhi in qualunque direzione tranne che nella vostra!
Quindi attenti, se vedete qualcuno da solo al posto di guida e vi accorgete che sta predicando con assoluta convinzione su qualcosa che certamente muterà le sorti del mondo, state fermi.
Non azzardatevi a muovere un passo, rischiate grosso!
E men che meno fidatevi di quegli altri geni, i motociclisti che se ne vanno in giro con il telefonino infilato nel casco, per carità!
Fate conto che stia transitando un carrarmato senza freni, ecco, restate immobili sul marciapiede!
Che fatica vivere, eh?
E poi c’è da sottolineare che non in tutte le parti del mondo le cose vanno in questo modo, eh no!
In terra d’Albione i pedestrians godono del rispetto comune, lo sapete tutti.
E’ sufficiente fermarsi sul marciapiede in prossimità delle strisce pedonali, senza neanche posare il piede sull’asfalto, perché chiunque si fermi.
Macchine, camion, autobus, carrozze a cavalli, davvero chiunque.
Certo, se vi siete banalmente fermati perché sovrapensiero per i fatti vostri, eh, insomma non la prendono tanto bene!
Tuttavia, se non intendete divenire permanentemente sudditi di Sua Maestà, guardatevi bene di abituarvi a tale consuetudine.
Una volta rimpatriati, infatti, rischierete molteplici volte la vita, prima che il vostro istinto di autoconservazione si metta in moto facendovi alzare la guardia nei pressi di un attraversamento pedonale.
Eh, però, malgrado la loro grandeur, i cugini francesi su questo tema sono in grado di darci del filo da torcere!
Avete mai provato ad attraversare gli Champs Elysees, ad esempio?
Il semaforo che regola il transito dei pedoni ha una durata corrispondente a un nanosecondo, durante il quale dovreste essere capaci di raggiungere l’isola posta al centro della carreggiata. Occorre comunque un certo dinamismo e allora ecco frotte di giapponesi lanciarsi all’arrembaggio e accanto a loro manager in doppio petto che si esibiscono in scatti degni di Carl Lewis.
Eh, i francesi!
Li avete mai visti sfrecciare come schegge in Place della Concorde?
Avete mai visto come affrontano la rotonda dell’Etoile?
Mi ritrovai in quella piazza, una volta, a bordo di un taxi. Il tassista guidando a tutta birra, riuscì ad agghiacciarmi uscendosene con questa gioiosa esclamazione: si tenga forte, signorina, ora ci buttiamo nel traffico dell’Etoile!
Come, ci buttiamo? Non si potrebbe inserirsi cautamente in rotatoria osservando tutte le dovute precedenze ed evitando di schiantarci da qualche parte?
Arrivavano macchine da tutte le direzioni e in effetti ancora non so come abbiamo fatto ad infilarci là in mezzo, ma questa è un’altra storia, un giorno vi racconterò i tassisti della mia vita, che esperienze!
In tutto ciò un pensiero può essere di conforto: se riuscirete uscire incolumi dal traffico parigino, avrete superato uno degli esami più difficili, certo è una buona scuola.
Tornerete a casa, vi presenterete al solito attraversamento che ogni giorno affrontate e troverete il gradasso di turno che fa del suo meglio per complicare la vostra vita e magari riuscirete a gestire la situazione con maggior sicurezza.
Succede dovunque, ogni giorno.
Avanti, fatevi coraggio, guardate a sinistra, poi a destra e che il cielo vi aiuti!

La paziente

Avete presente quando ci si taglia con un foglio di carta?
Ecco, io sono originale; ho pensato bene, un po’ di tempo fa, di provare l’ebbrezza di tagliarmi non la mano, ma l’occhio destro.
Orrore e raccapriccio.
Se non siete già svenuti e se ancora non avete premuto quella piccola x in alto a destra per lo spavento, vi tranquillizzo.
E’ palese che l’incidente in questione non abbia avuto alcun tipo di conseguenza, altrimenti non starei qui a scherzarci.
In ogni caso, è successo.
E no, non chiedetemi come, sono quei colpi di genio che raramente si è in grado di decifrare!
Di preciso l’occhio mi bruciava, così sono andata al pronto soccorso.
No, non in uno dei grandi ospedali cittadini.
A meno che non mi ci trasportino in stato di incoscienza, su un’ambulanza con le pareti imbottite, gradirei evitare di infilarmi in posti del genere, mi viene ansia solo a pensarci.
E insomma, sono andata in un piccolo ospedale, parecchio decentrato e molto moderno.
Ecco, volevo dire che sono riuscita a perdermi anche lì.
Capisco che il mio non era un caso tragico, ma trovarsi a vagare per bianchi corridoi senza avere la minima idea di dove stessi andando, diciamo che non è stato molto simpatico.
Ne deduco che, se invece fossi andata nell’altro ospedale, quello grande, probabilmente starei ancora deambulando per i padiglioni alla disperata ricerca di un ambulatorio.
Quindi, se per qualche ragione dovessi ingiustificatamente assentarmi da queste pagine, vi pregherei di allertare una squadra di cani da valanga che venga a cercarmi dove, presumibilmente, mi sarò persa.
Non preoccupatevi, con tutta probabilità mi sarò solo spezzata un’unghia, il problema è riuscire a venir fuori dal dannato corridoio!
Io sono lievemente ipocondriaca e fino ad oggi, per fortuna, ho goduto di buona salute.
E non è che sia molto esperta di visite mediche, di dottori, anzi semmai!
Ricordo ancora una bellissima esperienza al pronto soccorso d’Imperia, ero poco più che ventenne e caddi malamente sugli scogli lesionandomi un piede.
Ad agosto. In riviera.
Avete una pallida idea di quanto tempo mi lasciarono seduta su una sedia in sala d’attesa? Secoli e secoli, in quanto la mia ferita, per fortuna, non rivestiva carattere d’urgenza.
Quando venne il mio turno, il dottore mi fece la domanda da un milione di dollari:
– E’ allergica a qualcosa?
Avrei voluto rispondere, agli ospedali, invece mi feci prendere dall’incertezza.
E gli risposi alla mia maniera:
– Che io sappia no, ma come faccio a saperlo? Se muoio, vuol dire che ero allergica.
Un ragionamento che, secondo me, non fa una piega.
Quando mi levarono i punti, operazione semplice e del tutto indolore, il medico di turno mi domandò perplesso:
– Ma ha ventitrè anni oppure sei?
Questo per darvi un’idea, ecco.
E poi sono sopravvissuta, infatti eccomi qua.
E mi sono pure tagliata l’occhio, tempo fa.
E quando si è trattato di cercare un oculista per fare una visita di controllo ed accertarsi che la lesione si fosse rimarginata, ho ingenuamente chiamato qualche numero a caso, solo che insomma, erano i primi di gennaio e caspita, non vorrete mica rinunciare alle vacanze di Natale, no?
Eh, che pretese!
Ho così contattato un ospedale cittadino, per sapere la tempistica sulla prenotazione di una visita.
E una gentile signorina ha subito messo le cose in chiaro:
– Guardi, prendiamo prenotazioni per luglio e agosto!
Ecco, a quel punto, una domanda mi è sorta spontanea e ve la trascrivo così come l’ho detta, puntini di sospensione a parte:
– Ma mi sta prendendo per il … ?
Ovviamente no, come immaginerete!
So che avrei dovuto esibire un aplomb di altra natura, ma è stato più forte di me, così sono, non c’è nulla da fare.
E certo finché non è grave, ci si scherza su, quando con la salute si hanno problemi seri, è tutta un’altra storia, non c’è più nulla da ridere, questo lo so.
Ecco, quelli è meglio non averli mai, lo sapete tutti.
E comunque, prima o poi sarà il caso che mi decida e che verifichi se effettivamente sono allergica a qualcosa.
Non si sa mai, nella vita e poi, con i dottori, è sempre meglio essere preparati.
C’è un vantaggio, però: se dovessero di nuovo abbandonarmi per un intero pomeriggio in un corridoio, se non altro avrò tutto il dannato tempo che voglio per pensare quale caspita sia la risposta giusta.

Tempo previsto e imprevisto

Le previsioni del tempo, ecco è un altro tasto dolente che è per me fonte di eterna incertezza.
Ai tempi dei tempi, immuni dal dannato digitale terrestre e dai suoi diecimila inutili canali, da queste parti si captava la televisione Svizzera.
Ecco, ricordate le loro previsioni?
Domani: pioggia. Dopodomani: bello.
Secche, coincise e chiarissime.
Voglio dire, non davano adito a dubbi, almeno così mi pare.
Adesso, premesso che non discuto su quanto si siano evoluti i meteorologi nella loro scienza, i risultati, lasciatemelo dire, mi lasciano quanto meno perplessa.
Anzitutto voglio lanciare un urlo di dolore a nome di tutti i genovesi, per la maniera nella quale vengono fatte le previsioni regionali: vanno nel dettaglio sulla riviera di levante, poi su quella di ponente, quindi saluti, titoli di coda, sipario, fine.
Ecco, scusate, a me fa molto piacere sapere che a Imperia splende il sole e che a La Spezia invece ci si diletta sotto i fiocchi di neve, ma qualcuno vorrebbe gentilmente dirmi che caspita di tempo farà a Genova?
Noi si sta in mezzo, tra le due riviere, che volete! E caso vuole che questo sia anche il capoluogo della regione, sarebbe simpatico che ve ne ricordaste, qualche volta.
Invece no, tocca procedere per tentativi.
Comunque le previsioni sono sempre sibilline, su questo non c’è dubbio.
Facciamo un banale esempio: addensamenti sui rilievi, non si escludono precipitazioni anche sulla costa.
Ecco, adesso pensate al giorno del vostro matrimonio.
Siete all’altare, trepidanti sposine piene di speranze, il prete vi pone la domanda di rito: vuoi tu, eccetera, eccetera.
E voi, serissime, rispondete:
– Non lo escludo!
Ecco, cosa caspita vuol dire? O mi fornite un dato certo ed inconfutabile, oppure mandate in video una garrula signorina che squittisca felice:
– Salve, gentili spettatori! Non abbiamo la più vaga idea di che tempo farà domani, ma ci tenevamo tanto a salutarvi!
D’accordo, ve lo concedo, sto esagerando.
Però scusate, lo zero termico? E’ comparso così, dal nulla!
Prima avevamo il banale, semplice zero, poi è arrivato quell’altro, lo zero termico, ed è finita che si è preso tutti i meriti di tempeste, uragani e geloni ai piedi.
Siamo sicuri che ci si può fidare?
E la temperatura percepita? Ah, sì il grado di umidità, eccetera!
E insomma però se stai a sentire tutti i dettagli, alla fine ti manca l’informazione essenziale.
Domani piove oppure no?
Sapete darmi, almeno qualche vaga idea in merito?
Eh, chi può dirlo!
Comunque, un dubbio sempre mi rimarrà: coloro che in televisione leggono le previsioni del tempo, secondo me, detestano il genere umano.
Avete mai notato la loro espressione mentre preannunciano scenari da tregenda?
– L’Italia verrà attraversata da freddissimi venti siberiani.
E un luccichio luciferino attraversa lo sguardo del presentatore.
– Si prevedono gelate notturne.
Guardate com’è felice, mentre pronuncia queste parole, sprizza gioia da tutti i pori!
Soccomberete per il freddo, assiderati e con le estremità congelate, ma a lui poco gliene cale, lui sorride.
Già pregusta l’arrivo dell’estate quando, ai pochi superstiti, potrà festosamente annunciare:
– Buongiorno! Le temperature toccheranno i 45°, si prevede il transito di elefanti africani in centro città, i turisti posso accomodarsi sotto il palmeto, ultima oasi in fondo a destra.
Non aspettatevi comprensione, sperate solo nella vostra buona stella: che il colpo di calore non vi colga mentre lui, il presentatore,  sfodera uno di suoi impagabili quanto beffardi sorrisi.

In viaggio, incontri e fughe

Secondo voi, a chi mai potrebbe capitare di partire per una gita, salire su un pullman e scenderne tallonata da un giapponese?
Signore e signori, ecco a voi le mirabolanti avventure di Miss Fletcher, viaggiatrice solitaria, il cui cammino, suo malgrado, incrocia spesso quello di marpioni provenienti dai cinque continenti.
Incauti ed improvvidi, aggiungerei.
Il suddetto orientale lo incontrai su un autobus che da Londra portava a Windsor.
Oltre ad ammorbarmi il viaggio con chiacchiere inutili in un inglese improbabile, quando arrivammo a destinazione il caso volle che Giove Pluvio stesse mettendo in atto una delle sue migliori performance, il temporale.
Io non avevo l’ombrello, il giapponese sì.
Era molto più basso di me, vi faccio notare. E sapete cosa fece lo stoico Kamikaze? Aprì il suo nero paracqua e, camminando un passo dietro a me, mi accompagnò al castello di Windsor riparandomi dalla pioggia mentre lui, imperturbabile, si infradiciava.
Un valletto, in pratica.
Ho sempre saputo, in fondo, di essere portata per fare la Regina e a proposito, doveste avere notizia di troni vacanti, gentilmente avvisatemi, sarà mia cura sottoporre ad accurata analisi regni e reami in cerca di una degna sovrana.
Dunque, dicevo. Situazione imbarazzante, eh! E non so come, o meglio non ricordo, ma me ne sbarazzai in maniera piuttosto sbrigativa, alla mia maniera, ecco.
Eh, sono gli inconvenienti che capitano a viaggiare da sola.
In genere mi domandano: americana? Perché? Mai capito, sinceramente.
E poi devo dire, me ne sono capitate di tutti i colori.
Londra, centro commerciale.
Scala mobile, in salita. Al lato opposto, in discesa.
Transita su quest’ultima un militare statunitense di stanza in Germania.
Cambia direzione e mi segue.
Beviamo un caffé, facciamo due parole, il giorno dopo lui riparte. Fine.
Ci siamo scambiati gli indirizzi, sì, a quei tempi ci si scriveva lettere, con carta e penna.
Bene, questo mi scrisse per anni, fino al giorno in cui, dolente e dispiaciuto,  mi annunciò che si trasferiva in Texas con la sua nuova fidanzata e che tra noi era tutto finito, io veramente non mi ero mai accorta che fosse cominciata, ad esser sincera.
Piccatissimo puntualizzò che comunque, negli anni, io pure avevo avuto i miei amori e lui non aveva mai avuto nulla da obiettare, e ci mancherebbe altro, mi viene da dire. Inoltre aggiunse che se proprio volevo scrivergli, avrei potuto spedirgli le mie missive presso una casella postale.
Ecco, fate voi. Uno visto dieci minuti per un caffé, e conosciuto su una scala mobile.
A Monaco di Baviera, invece, feci un incontro che da principio mi entusiasmò.
Lui era un dottore, laureato presso una famosa università e residente a Boston.
Molto gradevole di aspetto, un tipo molto yankee: jeans, cappellino da baseball, lentiggini, sorriso a trentadue denti e una buona dose di simpatia.
Il problema si è presentato quando mi ha chiesto da dove venissi, e no, non pretendo che uno che viene dalla terra dello Zio Tom conosca Genova, però quando ho detto la città di Colombo, ho visto un abisso nel suo sguardo. E ho avuto anche la testardaggine di insistere con la questione delle tre caravelle, la Nina, la Pinta e la Santa Maria, ma lui niente, tabula rasa, mai sentito nominare.
Sconforto.
E poi che si fa, un pomeriggio d’estate, in terra straniera? Un giro al museo!
Io, lui, il suo compagno di viaggio e la mia amica finlandese.
Oh, che opere d’arte! Ovunque si vada, il talento dei nostri artisti dà bella mostra di sé, dà lustro al genio italico ed orgoglio alla nostra nazione.
E tu sei lì, contempli estasiata un quadro di Leonardo, mentre l’uomo del nuovo mondo, titolato con tanto di Master presso una delle più prestigiose università americane, candidamente ti domanda:
– Who is Leonardo?
E poi, tanto per non farsi mancare niente:
– And Raffaello?
Brevi cenni sull’universo e sull’arte, in generale.
Ecco, probabilmente costui sapeva tutto sulla cistifellea e sui succhi gastrici che tuttavia non sono uno dei miei argomenti preferiti.
Beh, io però sono abituata a questo genere di domande! Ricordo perfettamente che una volta un fiero cittadino di Sua Maestà Elisabetta II mi chiese con assoluta convinzione:
– Ma come si chiama la Regina d’Italia?
Eh, cose che capitano!
Sappiate però, mie care fanciulle, che uno solo è il luogo dove vi sentirete lusingate, corteggiate e desiderate, senza che abbiate fatto nulla perché questo accada: Paris, la Ville Lumiere.
Io a Parigi ho riscontrato uno fenomeno davvero inusuale, che mi ha davvero sorpresa: ci sono i vitelloni, come in Italia negli anni ’50.
Vi fischiano per strada, vi fermano, vi parlano, vi offrono il caffé.
Bonjour Mademoiselle! E da principio ti senti quasi appagata di tutte queste attenzioni, è strano! Dopo un po’, francamente, non ne puoi più.
Accade soprattutto nella zona attorno agli Champs Elyses.
Stai beatamente camminando per i fatti tuoi e d’un tratto una macchina inchioda e qualcuno ti si propone.
Nel mio caso, persone di ogni genere: uno yuppie a bordo di una fiammante BMW, un rasta con le treccine fino alla vita, un tizio su una macchina scassatissima.
In Avenue Foch, poi, una sera feci uno strano incontro.
Stavo armeggiando con la cartina quando mi si avvicina un ragazzo e mi chiede di consultarla per trovare una via che sta cercando.
Attacca bottone, dice che abita poco distante.
Miss Fletcher, che sempre si distingue per il suo acume, si insospettisce.
Come mai uno che abita nei dintorni chiede informazioni a una straniera?
Continuiamo a parlare, il tizio non mi molla.
Ad un tratto gli suona il cellulare, lui risponde e si mette a parlare in inglese.
Capisco che all’altro capo del filo c’è una ragazza, sta partendo, chiama dall’aeroporto. Lui si arrampica sugli specchi, le dice che no, non può andare al Charles De Gaulle, che è sopraggiunto un contrattempo, ma la voce, uh la voce! Sembra davvero dispiaciuto!
Io sono sempre lì, con la mia cartina.
A un tratto comincia a tuonare, si mette a piovere.
Era estate, avevo ai piedi delle ciabattine di cuoio turchese, le gocce scendevano sempre più grandi, lui era sempre al telefono, io lo guardo e gli dico brusca: Ciao, devo andare!
Mi metto a correre sotto il diluvio e in lontananza sento lui che mi chiama, dicendomi qualcosa che non ho ben compreso.
Il giorno dopo l’ho incontrato, ma il tipo ha fatto finta di non vedermi e ha tirato dritto per la sua strada.
Mica hanno tempo da perdere i tombeur de femmes, cosa credete!
E’ una vita dura, in effetti, comunque io me la cavo sempre, anche grazie alla mia connaturata, ligure diffidenza.
E poi, c’è da dire che gli uomini italiani nell’arte del corteggiamento sono insuperabili, a qualsiasi latitudine.
Come il ristoratore napoletano, che incontrai sempre a Parigi, e che mi servì una sogliola al verde condendola di sperticate lusinghe e di melliflui complimenti nei confronti di questa connazionale, casualmente capitata nel suo locale.
Era un funambolo della parola, non c’è che dire.
Era italiano, appunto.  E noi, in ogni caso, ci distinguiamo sempre.

People

Io spesso osservo le persone.
Funicolare, poca gente in giro.
Al capolinea sale un giovane uomo, ha una bicicletta.
La assicura al corrimano, sulla piattaforma al momento deserta e si siede di fronte a me.
E’ alto, slanciato, veste di blu, porta le Clarks, in una mano regge il cellulare, con l’altra, a tratti, estrae dalla tasca un secondo telefono.
Trascorre qualche minuto ed ecco arrivare altri viaggiatori.
Salgono due mamme, con i rispettivi figli, ognuno sul suo passeggino.
Si fermano sulla piattaforma, come previsto dal regolamento.
Una delle due, la meno attraente, si accomoda su uno dei sedili disponibili.
L’altra rimane in piedi, tiene fermi entrambi i passeggini, alle sue spalle la bicicletta.
E’ una ragazza molto carina, probabilmente sudamericana, è alta, sottile, ha un sorriso aperto e luminoso.
Mentre mi sto domandando come caspita faccia ad essere così in forma, avendo partorito probabilmente da pochi mesi, il giovane uomo alza lo sguardo nella sua direzione.
Lei ride, chiacchiera con la sua amica, parlano dei figli, della spesa, dei progetti per il weekend.
Sono entrambe allegre e solari, i bimbi sono tranquilli.
E lui, l’uomo della bicicletta, la osserva.
Lo capisco, in effetti lei è uno schianto, diciamocelo.
Ma lui non sembra avere un’espressione interessata, a guardarlo meglio.
E lei manco se n’è accorta, sposta la copertina, raccoglie una scarpetta, e intanto chiacchiera, chiacchiera, ma quanto parlano queste due!
Sapete come sono le giovani mamme, di ritorno dalla passeggiata ai giardinetti, ecco, così!
E lui?
Tiene lo sguardo fisso su di lei, a tratti lo distoglie e torna a smanettare sul cellulare.
E mentre la sta guardando, capisco.
E lui sì, sembra davvero un single incallito, non ha per nulla l’aspetto del padre di famiglia.
E adesso ho capito.
Non la sta ammirando, non è rimasto colpito dai jeans attillati dentro gli stivali, dal piccolo brillantino che luccica sulla narice della ragazza, dalla sua pelle ambrata, dalle sue movenze leggere.
No, non la sta guardando, la sta incenerendo.
E i suoi occhi leggo chiaramente queste parole:
-Urtami la bicicletta e poi vedi! Non t’azzardare a farla cadere…
Sapete come sono gli uomini, no. Insomma, i singles, alcuni di loro per lo meno.
Ma sapete, le mamme con i bambini non s’accorgono di nulla, sono troppo impegnate a non perdere il ciuccio, a rimettersi la borsa sulla spalla, a dondolare la carrozzina avanti e indietro.
Si viaggiava insieme, lui la fissava, con espressione sempre più allarmata e intanto si rigirava nervoso il telefono tra le mani.
E io ero lì, in attesa degli eventi.
Un colpetto alla bicicletta, la prego. Ma lieve, da non far danni, ecco.
E invece niente, per tutta la corsa siamo rimasti con il fiato sospeso, io e lui, mentre lei, l’oggetto di tanta attenzione, non ha battuto ciglio.
Il passeggino era a un centimetro dalla bicicletta, ma non è accaduto nulla, nemmeno un piccolo, banale incidente.
Poi le due mamme sono giunte a destinazione e mentre scendevano ho notato che lui continuava a fissarla, ma con uno sguardo diverso, pareva quasi sorpreso, come se si fosse improvvisamente accorto di quanto lei fosse bella e aggraziata.
Siamo ripartiti e lui è tornato a fissare il suo telefono, come da copione.
E la piattaforma era tornata deserta, nel frattempo.
Ma quando io sono arrivata lì, preparandomi alla mia fermata, ho visto che lui ha alzato di nuovo gli occhi.
E avreste dovuto vedere come mi guardava, che apprensione, che incupimento sul suo volto, il medesimo che aveva avuto per tutto il resto del viaggio!
E poi le porte si sono aperte, io sono scesa e il giovane vestito di blu è rimasto solo, finalmente!
Solo, solo con la sua bicicletta.
E sì, se  proprio volete saperlo, mi è sembrato davvero sollevato.

Da grande…

Io quand’ero piccola avevo alcune solide aspirazioni.
Avete presente il varietà anni ’70, i tipici spettacoli presentati da Raffaella Carrà, il sabato sera dopo Carosello?
Ecco.
Milleluci o Canzonissima che fosse, quei varietà si aprivano sempre con un balletto e c’era la Raffa nazionale in primo piano, mi pare con Don Lurio,  mentre  dietro di loro danzava il corpo di ballo.
Poi venne l’epoca di Heather Parisi, della Cuccarini e di Alessandra Martinez.
La primadonna in pool position e alle sue spalle, come al solito, il corpo di ballo.
Era anche indicatore delle mode, oltretutto.
Negli anni ho visto succedersi pantaloni a zampa d’elefante, colori fluò, veli da odalisca e costumini ridottissimi.
Ecco, io da bambina avrei voluto diventare ballerina di fila.
Ora, a parte non avere alcuna propensione per la danza e per gli estenuanti esercizi che comporta, quel che mi pare strano, con il senno di poi, è l’aver aspirato a un ruolo di secondo piano.
Parrebbe più logico sognare di essere etoile alla Scala o prima ballerina del Bolshoi, o anche l’interprete indimenticabile di un tormentone come Cicale Cicale.
Si è disquisito per anni su quanto fosse brava Heather a tirar su la gamba, ricordate?
E le ballerine di fila? Quelle dietro, delle quali nessuno di noi sapeva i nomi? E loro? Siamo certi che non fossero in grado? No, non ci posso credere.
Ma lei era la stella, questo è il punto.
Però a me non passava neanche per l’anticamera del cervello la frase: vorrei essere Heather Parisi.
Eppure mi piaceva tantissimo, posso garantirlo.
Ma io no: ballerina di fila.
Eh, del resto da piccola avevo anche altri sogni.
Ricordate quei filmoni hollywoodiani, in genere ambientati a Manhattan, con quelle attrici dal vitino di vespa, che indossavano il tailleur con la gonna a metà polpaccio e calzavano tacchi vertiginosi?
Ecco, quei film.
E poi pensate: le centraliniste, quelle con la cuffietta.
In fila come api operose, a centinaia, con davanti questo pannello pieno di prese nelle quali  infilano lo spinotto per passare la chiamata.
E ancora, le segretarie: quelle che stavano tutte insieme in un enorme stanzone, dentro a un grattacielo.
Le si vedeva uscire dagli ascensori tutte insieme, garrule e festanti, poi ognuna si accomodava alla propria scrivania, con le unghie laccate di rosso battevano sui tasti della macchina da scrivere ed ogni tanto una tirava fuori lo specchietto dalla borsa e si risistemava il trucco e la pettinatura.
Ah, che meraviglia!
Ora, non vorrei sembrare poco coerente, ma a distanza di anni mi sembrano entrambe situazioni al limite dell’alienazione.
Le ragazze del centralino, con quel continuo trillar di telefoni e di “Prego dica…” come minimo si saranno garantite una quotidiana emicrania, per non dir del fatto che avevano a che fare di continuo con stuoli di cascamorti estremamente fastidiosi.
Riguardo alle segretarie, care lettrici, niente di personale, non offendetevi, ma una stanza piena di donne mi sembra paragonabile ad un girone dell’inferno dantesco.
Ora, ovviamente molto dipende da chi siano le fanciulle presenti, ma le rappresentanti del gentil sesso, in gruppo, sono quanto di più temibile si possa immaginare.
Se una stanza piena di maschi tende a diventare, la maggior parte delle volte, un luogo assai simile ad una caserma, con tutto il rispetto per la medesima, un locale gremito di femmine può riprodurre, in un battito di ciglia, un immediato effetto pollaio, e porgo le mie infinite scuse ai poveri pennuti chiamati in causa.
Non vogliatemene, è così.
Se invece siamo tutti insieme, loro, i maschi, moderano i termini quando si tratta di commentare il didietro della starlette di turno e noi evitiamo di perderci in inutili quanto estenuanti discussioni sulla messa in piega e sull’efficacia dell’ultima crema idratante.
Parentesi, detesto questo genere di inutili conversazioni e temo che, trovandosi in una realtà da film hollywoodiano, sarebbe praticamente impossibile evitarle.
Ma queste erano le mie ingenue e per fortuna insoddisfatte aspirazioni infantili.
E voi? Quando eravate piccoli, quali erano i vostri sogni?
Quando immaginavate il vostro futuro, cosa avreste voluto diventare?