Un gelato alla fragola

Con questo caldo gusto volentieri un gelato alla fragola che mi riporta subito alle estati della mia infanzia e della mia adolescenza.
All’epoca erano diversi i miei gelati prediletti, è un po’ difficile fare una lista esaustiva, da bambina ero abbastanza golosa e quindi credo di avere una certa competenza in merito, modestamente.
Cornetti, ricoperti, coppette e granite, per ognuna di queste bontà c’era sempre un momento perfetto.
Vi ricordate quel ghiacciolo a quattro gusti diversi che si presentava con quattro strisce verticali?
Vi ricordate il cornetto al caffè?
E quello al whisky con l’uvetta sopra?
E il cono palla?
E il gelato con lo stecco di liquerizia?
E il croccante?
E la celebre, celebrata e leggendaria Coppa del Nonno? Per fortuna abbiamo ancora il piacere di poterla gustare, come del resto il mio delizioso gelato alla fragola che nella parte esterna ha la consistenza del ghiacciolo e l’interno di morbida panna, una bontà che mi induce nostalgiche riflessioni.

Andare a comprare il gelato, negli anni ‘70 e ‘80, era una sorta di rito del quale non si poteva fare a meno.
C’era il cartellone di metallo con le immagini di tutti i gelati e i relativi prezzi, non ho poi mai dimenticato l’emozione del frigo a pozzetto che si apre rivelando un universo di dolcezze senza fine.
Per non parlare della delusione che ti assaliva quando aspettavi il gelato da te prescelto e ti sentivi rispondere:
– È finito!
Come sarebbe? Io volevo proprio quello lì e mi state dicendo che ora dovrei scegliere un gelato diverso?
Da piccola avevo un debole per i gelati confezionati, lo ammetto, il gelato artigianale mi lasciava un po’ indifferente.
Ma poi, un giorno, tutto cambiò.
Ero al mare, nella solita località del ponente ligure frequentata da sempre dalla mia famiglia.
E là c’erano diverse gelaterie, una era molto rinomata per la qualità di suoi prodotti.
Ero una ragazzina, non più una bambina ma comunque è passato tantissimo tempo da quel giorno che ho impresso nella mente come un istante indimenticabile.
Quindi eccomi qui in coda, nel cuore dell’estate, c’è un sacco di gente che vuole comprare il gelato, tocca avere pazienza.
E poi finalmente arriva il mio turno e scelgo un gelato ad un gusto che non ho mai provato prima, mi pare un’assoluta novità: un gelato all’anguria.
Ed è una delle cose più buone che abbia mai mangiato, lo prenderò ancora, sempre in quella gelateria e poi altrove mai più, per timore della delusione, sapete com’è, vero?
E però sono passati decenni e quel gusto così gradevole e dissetante non l’ho mai dimenticato, è un ricordo delizioso, fresco e leggero come l’aria di certe estati lontane.

Il tempo delle Fiabe Sonore

Tutti quelli che sono stati bambini negli anni ‘70 hanno ancora una musichetta che gira per la testa, era una canzoncina che faceva proprio così:

A mille ce n’è
nel mio cuore di fiabe da narrar,
venite con me,
nel mio mondo fatato per sognar,
non serve l’ombrello,
il cappottino rosso, la cartella bella
per venir con me,
basta un po’ di fantasia e di bontà.

Le nostre amate Fiabe Sonore, come dimenticarle!
Erano per noi un momento di entusiasmante felicità: un libro illustrato con il testo della fiaba, un 45 giri e un mondo magico nel quale immergersi completamente.
Bastava un semplice mangiadischi colorato e partivano così quelle note ancora così care.

Quei libretti, erano poi impreziositi da magnifici disegni, le Fiabe Sonore vibravano nel loro universo incantato di creature meravigliose e sorprendenti: bimbetti avventurosi e principesse delicate, orfanelle intrepide e principi azzurri, c’erano foreste, laghi, castelli, casette nel bosco.
E incantesimi, magie, sassolini lasciati per terra per ritrovare la strada di casa, mele stregate, casette di zucchero e acciarini magici, nel mondo delle fiabe tutto precipita e poi si risolve, nel mondo delle fiabe gli animi nobili e i cuori generosi, alla fin fine, vengono sempre ricompensati.
Una su tutte era la mia fiaba prediletta, in passato ho già avuto modo di scriverlo: ho sempre avuto un debole per I fiori della Piccola Ida, quei fiori che tutti eleganti se ne andavano ogni sera spensierati a ballare.
Amavo la fiaba dei cigni selvatici e quella dei sette corvi, Pelle d’Asino e la Guardiana di oche, noi ascoltavamo queste vicende infinite volte e non ci annoiavamo mai.
Ogni tanto, ai mercatini, mi capita di trovare le Fiabe Sonore.
È un’eredità preziosa, secondo me.
E sapete come la penso?
Credo che quei volumi usati conservino tra quelle pagine anche i nostri lontani stupori, la meraviglia dell’infanzia, la gioia della scoperta e delle mille avventure di questo mondo incantato.
Anche da grande, come molti di voi, io non ho mai smesso di leggere le fiabe, è una magia che sempre ritorna e non ha mai fine.
E d’altra parte di ricordate come proseguiva la canzoncina al termine di ogni Fiaba Sonora?
Quel motivetto faceva così e noi non possiamo certo dimenticarlo.

Finisce così
questa favola breve se ne va.
Ma aspettate, e un’altra ne avrete.
“C’era una volta …” il cantafiabe dirà
e un’altra favola comincerà!

La Pigrizia per noi bambini degli anni ’70

Non so come sia per i bambini di adesso ma noi che siamo stati piccoli negli anni ‘70 eravamo abituati a certi riti e a certe parole che restavano impresse nella nostra memoria.
Ad esempio, chi ha mai dimenticato la canzoncina A mille ce n’è che introduceva le nostre amate Fiabe sonore?
E chi si scorda della Vispa Teresa?
E di certo a me rimasta stampata nella mente la leggendaria Pigrizia, indimenticabile!
Allora, chiaramente parlo della filastrocca La Pigrizia andò al mercato, quando ero bambina l’avrò sentita decine e decine di volte e ascoltavo sempre con interesse questa vicenda, forse speravo che prima o poi la Pigrizia sarebbe riuscita a prepararsi la cena!
E nella mia fervida fantasia naturalmente avevo dato un volto a questa enigmatica figura tante volte evocata.
Infatti per me la Pigrizia era una donna un po’ curva, con uno scialle grigio, piuttosto dimessa e con gli occhi tristi, la vedevo muoversi con lentezza, oserei dire proprio pigramente, ecco.
E poi mi immaginavo la casa della Pigrizia, un po’ cupa e dall’aspetto non tanto allegro.
E vedevo il fuoco che arde, l’acqua che scorre, il tempo immobile della Pigrizia in quella umile dimora.
Noi bambini degli anni ‘70 stavamo delle ore a giocare da soli sul tappeto della cameretta e a dire il vero non ci annoiavamo mai, il nostro immaginario era composto da personaggi delle fiabe e dei nostri cartoni animati e mi sembra che la nostra sognante fantasia fosse sempre in movimento.
Le filastrocche che ci insegnarono le mamme e le nonne sono saldamente ancorate nella nostra memoria, in quell’angolo di noi che ospita il ricordo dolce del sapore di certe merende, il rumore della corda da saltare e il cigolio della puntina del mangiadischi.
Là, da qualche parte, c’è posto anche per la Pigrizia.
E a dir la verità mi viene in mente ogni volta che vedo i cavoli dal besagnino, allora mi viene da sorridere e mi ricordo ancora una volta in più di lei.

La Pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò.
Mezzogiorno era suonato
quando a casa ritornò.
Prese l’acqua, accese il fuoco
si sedette e riposò.
Ed intanto, a poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena
sola al buio lei restò
ed a letto senza cena
la Pigrizia se ne andò.

Le scatole dei bottoni

In ogni famiglia, custodite in qualche luogo della casa, si conserva con cura la scatola dei bottoni.
A dire il vero io ne ho diverse, oltre a queste che vi mostrerò ne ho anche una più piccina dove ho sistemato tutta una serie di bottoncini colorati acquistati in anni recenti da me.
Nelle scatole dei bottoni si custodiscono poi anche i giorni d’infanzia e i sorrisi delle persone care, il rumore della macchina da cucire Singer della nonna, le merende con pane, burro e zucchero e molte altre dolci memorie.
Nelle scatole dei bottoni, inoltre, si tengono anche i bottoni, naturalmente.
E non sappiamo se li useremo mai: intanto li teniamo.
Le scatole dei bottoni di casa mia, quindi, sono queste due.
La scatola sulla sinistra credo sia nota a molti di voi, sono certa che molte altre mamme degli anni ‘70 l’abbiano usata a questo scopo ed è perfetta come scatola dei bottoni.
La scatola blu sulla destra, invece, è stata dipinta e decorata da me con la tecnica del decoupage.

E, come dicevo, le scatole dei bottoni celano un’infinità di ricordi e frammenti di vissuto comuni a molti di noi.
Era il tempo dei sandalini con gli occhietti e delle calzine bianche, era il tempo di Carosello e poi subito a letto, era il tempo del formaggino sciolto nella minestrina e della mela grattugiata che ci sembrava chissà quale delizia.
Era il tempo dei jeans al ginocchio, delle mani sporche di mirtillo nei pomeriggi d’estate trascorsi nel bosco, dei maglioncini in vita quando si andava in bicicletta.
E non saprei enumerare quanti bottoni abbiamo sfiorato nei tempi diversi delle nostre vite.
Alcuni si conservano in certe scatole, in quella blu teniamo in prevalenza quelli chiari e di tutte le misure, adatti alle camicie e ai maglioncini.

I bottoni delle giacche, dei cappotti e dei tailleur venivano scuciti con attenzione e poi erano tenuti insieme con un nastrino o con un filo molto resistente.
Non si sa mai: potrebbero servire.
E comunque c’è la scatola dei bottoni.
E là ci sono anche le memorie delle prime comunioni, dei pranzi di Natale e delle foto di famiglia, dei giorni in cui ti facevano i codini o le trecce, il ricordo del tempo delle ginocchia sbucciate.
E dei bottoni rossi, blu, color rame, argentati, verdi e neri, quadrati o rotondi, di ogni forma e misura.
Sono racchiusi nella scatola dei bottoni e quando la si apre, se si presta attenzione, pare di sentire in lontananza il cigolio della macchina da cucire della nonna.

The boys

“Ai nostri occhi la nostra infanzia era normale ma era tutto fuorché questo…”

Questa è la storia di due fratelli: i ragazzi Howard.
The boys – due vite, un’autobiografia è il libro scritto con passione da Ron Howard e Clint Howard e pubblicato in Italia da Baldini Castoldi.
Dei due fratelli il più celebre è certamente il maggiore, Ron Howard è un famosissimo attore e regista e impersonò anche Richie Cunningham in Happy Days e allora tutti noi forse lo consideriamo quasi come un amico, uno che in qualche maniera ha fatto parte delle nostre vite.
Prima di approdare su quel set Ron è stato un bambino prodigio, il libro è il racconto di quell’infanzia favolosa e dell’adolescenza negli anni ‘60 e ‘70.
I genitori di Ron e Clint, Rance e Jean Howard, si lasciarono alle spalle l’Okahoma e giunsero in California in cerca di successo nel rutilante mondo dello spettacolo: saranno proprio loro a segnare la strada per i due figli che fin da bambini mostreranno curiosità, interesse ed entusiasmo per il mondo del cinema.
Il libro è un racconto a due voci che tiene sempre il focus sull’importanza dei legami e degli affetti famigliari, è una storia che scorre rapida come la sceneggiatura di un film di Ron Howard il quale, oltre ad essere un attore di talento, diverrà poi anche sceneggiatore, produttore e acclamato regista di celebrati film come Cocoon e A Beautiful mind, giusto per citarne un paio.

E in un libro che narra Hollywood e le avventure di due giovani attori non mancano certo le rivelazioni su alcuni segreti del cinema e su certi trucchi usati sul set, ad esempio ho trovato molto spassoso un aneddoto riguardante il piccolo Clint e un suo ruolo in Star Trek.
La vita di Clint non sarà poi sempre facile, sarà segnata infatti dalle dipendenze dalle quali, con forza e volontà, saprà tirarsi fuori.
E poi c’è lui, il fantastico Ron, il bambino con le lentiggini di Una fidanzata per papà di Vincent Minnelli.
Ron che appena da ragazzino si innamora di Shirley e sarà lei e soltanto lei la donna della sua vita.
Ron che cresce giocando sui set e che ci racconta di quando andava in bicicletta lungo i binari della ferrovia di Via col vento.
Ron che diviene una stella di prima grandezza in un film cult di un’intera epoca: American Graffiti.
Ron che infine veste i panni di Richie Cunningham in Happy days e la famiglia del telefilm sarà come una seconda famiglia.
Henry Winkler, interprete dell’indimenticabile Fonzie, sarà il suo migliore amico e sarà anche il padrino dei 4 figli di Ron.
Se amate il mondo del cinema questo libro è per voi, tra queste pagine si incontrano delle vere celebrità e si trovano episodi memorabili, è una lettura davvero piacevole.
E riguardo ai giorni di Happy Days Ron racconta che durante un tour promozionale le fan andavano in delirio per quei giovani attori: una ragazza una volta aveva gli tolse dalla testa il cappello da baseball che Ron corse subito a recuperare.
Straordinario poi un aneddoto che riguarda Henry Winkler che, sempre in occasione di un tour promozionale, si trovava su una limousine insieme a Don Most, l’attore che interpretava Raph Malph.
La folla impediva alla macchina di passare quando ad un tratto ecco cosa accadde:

“La crisi fu scongiurata solo quando Henry usò la sua voce da Fonzie per rivolgersi alla folla.
«Ora voglio dirvi una cosa», esclamò «vi dividerete come il Mar Rosso». Schioccò le dita come faceva in TV per chiamare le ragazze. La folla si aprì obbediente creando un varco verso l’auto.”

Ho letto questo libro con affetto e con un senso di gratitudine per queste memorie svelate e condivise con il pubblico di un pianeta intero,
Accade, a volte, che qualche stella lontana di Hollywood ci appaia più vicina, come una presenza del nostro vissuto.
E accade così che, in qualche modo, pensiamo un po’ anche a noi stessi, mentre magari ci ritorna in mente la scena di un film o risuona nella nostra memoria la colonna sonora di un telefilm che ci ha fatto compagnia in certi giorni della nostra vita.
E quella cosa lì, in una maniera che non so spiegare, è una dolce nostalgia.

Il tempo della mela grattugiata

A un certo punto della nostra infanzia, in quei gloriosi e mai abbastanza rimpianti anni ‘70, per noi bambini veniva il tempo della mela grattugiata.
Arrivava in genere a fine pasto e a volte anche a merenda, la mela grattugiata era uno di quei riti irrinunciabili per tutti noi.
Ed era, naturalmente, preparata amorosamente dalla mamma.
Ed era, ve ne ricorderete, uno di quei sapori dolci, domestici, semplici, densi di nostalgia e di bontà casalinga, una carezza confortevole e sana.
Per prepararla, come ben sapete, si usava un attrezzo meraviglioso ed era una bellezza vedere come funzionava quel magico aggeggio capace di trasformare una semplice mela in un’autentica delizia: per noi bambine con i codini era già uno spettacolo!
Sì, in effetti, noi che eravamo piccoli a quell’epoca ci entusiasmavamo con poco, bisogna ammetterlo.
E sapete, qui in questa casa di campagna, con mio autentico stupore, ho trovato nella dispensa proprio quella grattugia che si usava per la mela, so per certo di averne anche una di vetro a Genova.

E poi, poi noi che siamo stati bambini in quegli anni là ci ricordiamo perfettamente che il bello era anche mangiare la mela grattugiata senza metterla in una tazza ma prendendola direttamente da quella scanalatura che componeva la grattugia: quella cosa lì faceva proprio tutta la differenza!
E anzi, secondo me, la mela grattugiata mangiata così era più buona, non c’è alcun dubbio.
Non si sa dire come accada ma, senza che ce ne accorgiamo, a un certo punto della vita finisce il tempo della mela grattugiata.
Era appena ieri e, all’improvviso, è una stagione diversa.
E tuttavia guardandosi indietro resta quella memoria: una sbucciatura su un ginocchio, un fazzolettino in testa, le fossette sulle guance e la dolcezza della mela grattugiata.

Veicoli d’epoca a Fontanigorda: come nel nostro passato

Ad un tratto, brioso e sorprendente, il mezzo impegnò la curva e scese verso la centrale Piazza Roma, nell’estate di Fontanigorda: rosso fiammante, spiccava con allegria tra i colori della Val Trebbia.
Si tratta di uno dei mezzi storici che nella giornata di ieri hanno partecipato al consueto raduno che si tiene ogni anno a Rovegno, i mezzi hanno attraversato la valle e si sono fermati anche nella piazza centrale del paese.

A precedere l’autobus altri veicoli storici che appartengono al nostro passato.

Uno dopo l’altro, coloratI e vivaci, sono andati a sistemarsi in piazza.

Non mancava, chiaramente, la vecchia cara Cinquecento, compagna di molte avventure, gite e ricordi magnifici, anche mia mamma ne aveva una.

E così in breve tempo Piazza Roma si è riempita di questi fantastici veicoli d’epoca ed è apparsa come tante volte l’avevamo già veduta in altre epoche della nostra vita.
Fontanigorda, come nel nostro passato, come negli anni ‘70 e come nelle cartoline che conserviamo gelosamente, un tempo che pare vicino e anche distante.
Esiste una parte di noi, una memoria di come eravamo che resta come inamovibile ricordo proprio nel luogo in cui ci eravamo lasciati e nel quale, ancora una volta, ci ritroviamo.

È sufficiente una nota nostalgica, una maniera imprevista per suscitare un memoria sbiadita e tutto ritorna ciò che è stato, ancora.

Così ti ritrovi a camminare per questa piazza e ti sembra di essere ancora la bambina con i codini e il soldino per comprare il gelato.
Hai la bicicletta, ce l’hanno anche le tue amiche, due di loro hanno quella da cross!
Pensi che avrai tutto il tempo del mondo e tutto attorno c’è questo mondo qui, questa estate e questi colori.

E i ragazzi più grandi scelgono le canzoni nel juke-box, vanno di moda i pantaloni a zampa d’elefante e i sandalini blu con gli occhielli e la vita sembra infinitamente più semplice.

In un soffio tutto ritorna e sembra il tempo presente.
Basta una macchinetta turchese parcheggiata là, nei pressi della cabina del telefono, per far rivivere l’epoca dei gettoni e di quelle nostalgie.

Amo da sempre questa bella iniziativa che ogni anno si svolge in questa valle, la sosta in piazza è una gradita novità di quest’estate, in genere i mezzi d’epoca attraversano il paese senza fermarsi, quest’anno invece il viaggio nel tempo è stato quanto mai gradevole e particolare.

E allora, signore e signori, tutti a bordo: la nostalgia ci porterà là, nei luoghi del cuore, verso i nostri ricordi e nelle nostre memorie più dolci.

I ghiaccioli della nostra infanzia

I ghiaccioli della nostra infanzia sono ancora adesso per molti di noi indimenticabili.
Per noi che siamo stati bambini negli anni ‘70 il ghiacciolo era la merenda preferita per rinfrancarci dalle scorribande in bicicletta o dalle lunghe nuotate in mare.
All’epoca, quando andavamo al baretto, in realtà avremmo voluto comprare le patatine con la sorpresa e anche il ghiacciolo ma, come vi ricorderete, le mamme degli anni ‘70 erano irremovibili: o uno o l’altro!
E così, spesso e volentieri, sceglievamo un ghiacciolo fresco e coloratissimo.
Quello al limone, devo dirvi, non l’ho proprio mai considerato, invece mi attirava molto quello all’anice, più che altro per la tinta perfetta, il gusto invece non era proprio nelle mie corde.
La maggior parte dei ghiaccioli della mia infanzia, in definitiva, era alla menta oppure all’amarena.
E così eccomi sulla sdraio al mare con il mio ghiacciolo oppure seduta sulla panca di legno al Bosco delle Fate a Fontanigorda.

Il ghiacciolo si mangia rispettando un rituale bene preciso che tutti i bambini di tutti i tempi conoscono sebbene nessuno sappia dove l’abbiano imparato: è uno dei segreti dell’infanzia, secondo me.
Dunque, il ghiacciolo appena scartato è proprio ben ghiacciato e dargli un morso lì per lì è anche un po’ complicato ma in estate, con il caldo, ci vuole poco perché si sciolga un poco.
Tutti i bambini di tutti i tempi hanno sempre amato succhiare via il succo del ghiacciolo fino a quando il ghiaccio diventa quasi bianco, è uno di quei diletti estivi che non si saprebbero definire e che sono proprio perfetti così.
Il ghiacciolo, poi, lascia un senso di freschezza incomparabile con qualunque altro gelato eccetto, naturalmente, la granita.
Ah, la granita!
Che bellezza quando si stava per finirla e sul fondo del bicchierino restava tutto il liquido da bere in un solo sorso come una gradita ricompensa, se ci pensate essere bambini era davvero fantastico, eravamo contenti con poco!
Ed eravamo felici di gustare il nostro bel ghiacciolo, quando stava per terminare rimanevano due pezzetti di ghiaccio attaccati ai lati del bastoncino e se non si era abbastanza svelti andava a finire che quel ghiaccio cascava irrimediabilmente sulla maglietta.
Se potessimo mettere in fila tutti i ghiaccioli della nostra infanzia avremmo una coloratissima e fresca sequenza e forse rivedremmo noi stessi con gli occhi felici, i codini, i calzoncini corti e i sandaletti blu.
Davanti al cartello dei gelati, in una mano stringiamo una monetina che ci garantirà la meritata freschezza e uno dei ghiaccioli della nostra infanzia.

Ricordi di Piazza Rossetti

I miei primi ricordi di Piazza Rossetti risalgono agli anni ‘70 e ai miei anni d’infanzia, da piccola infatti mi capitava spesso di recarmi in Piazza Rossetti in quanto la mamma andava da un medico che aveva il suo studio proprio in questa piazza della Foce.
Il dottore era come un amico di famiglia e lo ricordo come un uomo molto simpatico e particolare: quando veniva da noi a visitare la nonna mi suggeriva sempre di nascondere le carte delle caramelle sotto il tappeto, era il complice di piccoli misfatti!
E appunto aveva casa e studio in Piazza Rossetti.
In quei luminosi anni ‘70 poi a me quella piazza pareva molto moderna, molto americana e decisamente avveniristica.
Per dire, immaginavo che potessero passare da un momento all’altro lo Zio Bill con Buffy e Jody, i celebri protagonisti di Tre nipoti e un maggiordomo.
Ero infatti più che certa che, svoltato l’angolo di Piazza Rossetti, ci fosse là dietro la Park Avenue del telefilm, la fantasia dei bambini non ha confini e a me pareva tutto logico e molto plausibile.

In Piazza Rossetti c’è una fontana con l’acqua zampillante e in quegli anni là, quando andavo dal medico e guardavo fuori dalla finestra, mi sembrava di avere davanti un panorama grandioso e vasto e stupefacente ed era incredibile essere là, dentro a un telefilm!
A guardare la fontana dall’alto, poi, quanta meraviglia!

E poi, con il tempo, Piazza Rossetti l’ho vista in tante maniere diverse.
Tutti noi che siamo stati ragazzini a Genova negli anni ‘80 abbiamo memoria di certi pomeriggi trascorsi al Luna Park che era proprio lì di fronte e qualche volta, allora, siamo anche saliti sulla ruota panoramica e abbiamo visto quella Genova da lassù e non l’abbiamo mai dimenticata.

E poi ricordo Piazza Rossetti per gli aperitivi con le amiche e per la grande profumeria con tante vetrine, era una delle mie mete preferite quanto passavo da quelle parti.
E poi in questa piazza ha trovato posto una frequentata libreria, anche se io ricordo pure la sua prima sede che era nella vicina Via Ruspoli.
E insomma, il tempo passa e non si capisce nemmeno come succeda: un giorno sei bambina, nel salotto di casa tua, con te c’è un dottore brillante e gioviale che ti suggerisce di nascondere le carte delle caramelle sotto il tappeto.
Poi tutto diventa ieri, anche se non si comprende proprio come accada.
Il tempo fluisce, come l’acqua che scorre nella fontana di Piazza Rossetti.

I miei 45 giri di Sanremo e ricordi sparsi degli anni ’70 e ’80

Ricordi.
Ricordi sparsi, un po’ appannati e a volte invece vivissimi.
Ricordi della nostra musica e dei 45 giri del Festival di Sanremo che si andavano a comprare nel rimpianto negozio di Ricordi, che gioco di parole!
Ora i 45 giri di quegli anni là sono un magnifico cimelio, così ne ho scelti alcuni dei miei per ritornare a quel tempo insieme a voi.
Erano gli anni ‘70, a quell’epoca lì avevamo le televisioni senza telecomando: a pensarci ora pare persino strano!
Io non rammento l’anno preciso in cui il telecomando divenne un oggetto di uso comune, ho invece una memoria perfetta di me bambina scocciatissima perché devo alzarmi dal tappeto per andare alla TV a cambiare canale.
Era il 1976, io avevo 10 anni, Felice Gimondi vinceva il giro di’Italia e la Regina Elisabetta regnava sul trono d’Inghilterra.
Di quel Sanremo conservo il 45 giri di quello che sarebbe diventato uno dei singoli più venduti dell’anno: Linda bella Linda dei Daniel Sentacruz Ensemble.
Venne poi il 1977, il 1 Gennaio andò in onda l’ultima puntata di Carosello, Jimmy Carter fu nuovamente eletto presidente degli Stati Uniti e la Regina Elisabetta era sempre sul trono d’Inghilterra, adorata regina, ci ha accompagnato per tutta la nostra vita!
Divago, lo so, è inevitabile.
Sanremo quell’anno fu presentato da Maria Giovanna Elmi e da Mike Bongiorno e sorrido tanto pensando alla biondissima fatina della TV amata da tutti noi bambini e all’allegria del nostro caro Mike.
Quell’anno a Sanremo trionfarono gli Homo Sapiens con la loro canzone Bella da morire, devo dirvi che me la ricordo ancora bene!
Oltre al 45 giri dei vincitori, quell’anno però mi aggiudicai anche Miele, il brano proposto dal complesso Il giardino dei Semplici.

Facciamo un salto in avanti, al 1980: fu l’inzio di un decennio per me straordinario, ripenso sempre con gioia a quel tempo là.
Quell’anno a presentare Sanremo c’era il fantastico Claudio Cecchetto, toccò di nuovo a lui anche l’anno successivo.
La vittoria fu conquistata da Toto Cutugno ma io comprai il 45 giri di Su di Noi di Pupo e sì, è una delle canzoni che ancora saprei cantare.
In quel 1980 ero già un po’ più grande e sul palco di Sanremo salì un gruppo che mi conquistò letteralmente: erano i Decibel con la loro Contessa, uno straordinario Enrico Ruggeri dalla chioma biondo platino e con gli occhiali scuri d’ordinanza ci affascinò tutti con quel suo brano; Chi sei contessa? Tu non sei più la stessa.
E infine ecco il 1981.
Lei fu indimenticabile.
Bellissima, con quei capelli lunghi e folti, la frangetta e gli occhi grandi, il viso perfetto.
E la voce, la voce di Alice, inconfondibile tra mille.
Quanti anni sono passati da allora? Più di quaranta, anche a scriverlo non sembra proprio vero.
La voce di Alice, le note e le parole della sua canzone Per Elisa accompagnarono i nostri giorni turbolenti, giovani, felici, complicati e a volte invece facilissimi e spensierati.
Erano quei giorni là, era la musica dei nostri 45 giri, quella che ancora risuona nei nostri ricordi.